VESCOVI E COMUNISTI CONTRO LA PACE DI TRUMP
Perfino due critici duri di Donald Trump, come Marco Travaglio e Giuliano Ferrara, gli riconoscono il merito della straordinaria impresa del Piano di pace per Gaza.
Il primo ha scritto: “molti pro Pal hanno accolto la notizia che riempie di gioia Gaza e Israele con un misto di fastidio e cordoglio… Chi vaticinava che Trump avrebbe riempito il mondo di guerre non può ammettere che ne ha fermata almeno una”.
E Ferrara, ieri, dopo anni di attacchi a Trump, ha riconosciuto che, nel suo viaggio lampo in Israele ed Egitto per varare il Piano, Trump è stato “destinatario di decine di ovazioni e di lodi iperboliche, per una volta credibili e meritate”.
Eppure c’è chi non ci sta. Per esempio Il Manifesto, “quotidiano comunista”(così si definisce nella testata) e Avvenire, il giornale della Cei del card. Zuppi.
L’editoriale di Alberto Negri sul “quotidiano comunista” e quello di Giorgio Ferrari sul quotidiano clericale sprizzano negatività fin dal titolo: “Una tregua dai volti illusori” e “Un’alba fragile in Medio Oriente”.
Non solo scelgono di vedere solo il bicchiere mezzo vuoto (che ovviamente c’è sempre quando si inizia un cammino di pacificazione), non solo riducono a nulla il bicchiere mezzo pieno (per il quale tutto il mondo gioisce), ma soprattutto attaccano i pacificatori.
D’ora in poi Gaza verrebbe imposto “un protettorato d’affari”, il “comitato d’affari trumpiano”, “una sorta di condominio da gestire con gli arabi ricchi”, scrive il “quotidiano comunista”.
Il buon senso dovrebbe ricordare che fino ad oggi a Gaza dominava Hamas. Non è meglio un provvisorio commissariamento che ricostruisca Gaza, dando lavoro e cancellando il crudele regime di Hamas?
Del resto anche il giornale clericale canta la stessa solfa: “Blair e il genero di Trump Jared Kushner hanno ruolo di faccendieri”, la Gaza di Trump “ha messo l’acquolina in bocca a tutte le monarchie del Golfo”. E – aggiunge il giornale di Zuppi – “Abu Mazen, invitato dall’Egitto al tavolo di Sharm” aveva l’aspetto “di un commensale ammesso per decenza alla tavola delle potenze coloniali che decidono per lui”.
Il quotidiano della Cei definisce proprio così coloro che hanno imposto la fine della guerra: “potenze coloniali”. Il quotidiano comunista concorda: “i palestinesi sono comparse”.
Ma quali palestinesi per Il Manifesto e Avvenire dovrebbero essere attori protagonisti? Quelli di Hamas? O l’Autorità nazionale palestinese, che è screditata per il suo stesso popolo (come ammette lo stesso Manifesto)? Quella leadership palestinese che ha rifiutato più volte lo stato palestinese, che ha dato pessima prova di governo e non conta nulla a Gaza? Oltretutto in questo momento a Gaza le diverse fazioni palestinesi si stanno scontrando sanguinosamente…
Allora non è più sensato, per il momento, affidare il governo transitorio di Gaza a un comitato di tecnocrati palestinesi apolitici come prevede il Piano di pace di Trump?
Avvenire arriva a scrivere che “una pace, tardivamente imposta sopra una simile catasta di morti non è cosa su cui troppo festeggiare”. Un ragionamento assurdo: proprio perché si è messo fine alle morti e alla prigionia degli ostaggi si festeggia. Come si festeggia ogni volta che finisce una guerra. Inoltre Avvenire, che lamenta la “pace tardiva”, dimentica di ricordare che c’era Biden fino al gennaio di quest’anno e Trump in soli sette mesi è riuscito a fare un vero e proprio miracolo diplomatico. Perché attaccarlo invece di dargliene atto?
Non solo. La guerra è stata iniziata da Hamas il 7 ottobre 2023, e in ogni giorno di questi due anni Hamas avrebbe potuto mettervi fine, semplicemente rilasciando gli ostaggi. Ma non lo ha fatto. È quindi ad Hamas che va imputata la prosecuzione della guerra e “la catasta di morti”. Chi ora ha costretto Hamas alla resa e alla liberazione degli ostaggi dovrebbe meritare gratitudine, non duri attacchi.
Oltretutto il Piano di Pace di Trump, sottoscritto da Netanyahu, dimostra che l’obiettivo di Israele era veramente la liberazione degli ostaggi (e la liberazione di Gaza da Hamas) e non è mai stato l’eliminazione dei palestinesi. Anche su questo qualcuno dovrebbe fare un’autocritica.
Se l’ostilità del “quotidiano comunista” verso Trump, verso il suo Piano di pace e verso Israele è facilmente spiegabile nell’orizzonte ideologico anti-occidentale del “quotidiano comunista”, condiviso da gran parte della sinistra delle piazze, come si spiega la linea simile del giornale della Cei?
Semplice. Esso rappresenta le gerarchie clericali bergogliane che hanno tuttora il potere nella Chiesa. Quelle che – come il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin – ritengono che pregare per la pace (come continua a chiedere il Papa) sia poca cosa e sia bene andare alle manifestazioni ProPal.
Del resto il cardinale Ravasi è arrivato a dichiarare che “queste manifestazioni laiche mi hanno ricordato per alcuni versi le processioni cattoliche la cui funzione, davanti alla miseria della città, è quella di guardare al futuro e alla pace. Non a caso in questi giorni abbiamo visto portare simboli e stendardi”.
Lasciamo stare le violenze, il porporato sta parlando di manifestazioni come quella nota per l’oltraggio alla statua di Giovanni Paolo II (la scritta “fascista di merda” più falce e martello), per gli slogan pieni di odio e per gli striscioni come quello orribile sul 7 ottobre.
Per paragonare tutto questo alle “processioni cattoliche” che celebrano l’Eucaristia e cantano inni alla Madonna bisogna avere le idee molto, ma molto confuse non solo sulla politica, ma anche sulla fede. Questa chiesa ormai deragliata e a rimorchio delle mode e dell’estremismo di sinistra è appunto la chiesa bergogliana.
Il Papa, con delle dichiarazioni solitarie, ci ha messo una toppa. Maurizio Molinari ha spiegato che, per il successo del Piano di pace di Trump, “fondamentale è stato il riposizionamento del Vaticano. Leone XIV ha riposizionato il Vaticano in Medio Oriente in tempi rapidi rimediando ai gravi errori commessi dal predecessore”. Ma è solo una toppa provvisoria.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 15 ottobre 2025