PAPA (E) RE

Milena Gabanelli e Andrea Ducci, sul Corriere della sera (24/11), hanno raccontato una vicenda molto interessante: “Il tesoro dei Savoia nascosto in Bankitalia”.

Il sottotitolo spiega meglio di cosa si tratta: “Lo scrigno con 6.732 brillanti e duemila perle fu consegnato da Umberto II a Luigi Einaudi all’indomani del referendum, 75 anni fa. Vale 300 milioni di euro, ma oggi a chi appartiene?”.

Proprio a quella vicenda storica ha dedicato tre capitoletti Vittorio Messori nel suo nuovo libro “La luce e le tenebre. Riflessioni fra storia, ideologie e apologetica (Sugarco).

Nel volume, che fa parte della messoriana collana “Vivaio” ed è un’altra straordinaria miniera di notizie storiche, l’autore fa riferimento alle memorie del marchese Alfredo Solaro del Borgo, che fu amministratore di Umberto II e che fu mandato in Vaticano perché il giovane ex sovrano e i suoi familiari, “visto il sequestro cui erano sottoposti i suoi beni”, quando nel 1946 dovettero partire per l’esilio, “risultavano privi di denaro”.

Così Pio XII provvide a far loro un prestito, riservatissimo e senza interessi, poi con gli anni restituito.

Messori commenta severamente: “76 anni prima, il bisnonno di Umberto II era entrato a cannonate nella Roma del papa, si era installato da padrone nel suo palazzo, aveva cacciato i religiosi dai conventi, ne aveva confiscato i beni, aveva demolito decine di chiese per erigere ministeri e tracciare nuove strade. Ed ora, eccoli qua: il padre scappato dal Quirinale di notte… tremando per paura di cascare in mano ai tedeschi e abbandonando al loro destino le forze armate cui aveva imposto di morire gridando: ‘Savoia!’; il figlio cacciato dal Quirinale dalla volontà popolare… Eccoli, dunque, a chiedere l’elemosina del successore di Pio IX, trovando – invece che una meschina rivalsa – le porte e la borsa della Chiesa aperte”.

Commento duro, quello dello scrittore cattolico, ma che fa riflettere.

PROFEZIE

Dalle memorie di Falcone Lucifero, “Maestro della Real Casa”, Messori scopre poi che Umberto II, nella casa di Cascais, dove visse in esilio, tenne sempre, “sino alla morte”, alcune lettere sopra al comodino della sua camera.

Erano le missive autentiche che don Giovanni Bosco aveva inviato al suo bisnonno, Vittorio Emanuele II “per dissuaderlo dalle leggi anticlericali prima del Piemonte e poi del Regno d’Italia”. Lettere nelle quali “si prospettavano persino castighi divini”.

Messori ricorda che il santo piemontese era “ispirato dai suoi sogni inquietanti” e in quei suoi scritti destinati al sovrano “si annunciava persino la fine della dinastia dei Savoia in quanto regnanti”.

E’ noto che san Giovanni Bosco aveva doni particolari, anche di profezia, e quelle lettere avevano suscitato una certa preoccupazione a corte, ma – scrive Messori – “non si era voluto ascoltare la voce di Dio attraverso il suo messaggero”, così quelle politiche anticlericali non furono ritirate: facevano parte del progetto sabaudo che poi avrebbe unificato l’Italia fino alla presa di Roma.

Messori ritiene che quelle lettere sul comodino dell’ex re fossero “un memento malinconico sul quale Umberto, sincero cattolico, voleva evidentemente meditare a ogni sera e a ogni risveglio”.

RE-FERENDUM

Messori rammenta infine che molti dubbi sono stati sollevati sul referendum che ha assegnato la vittoria alla Repubblica, nel 1946, ma osserva che ancor più dubbi furono i plebisciti risorgimentali per i quali “i Savoia divennero re d’Italia”. Una curiosa nemesi storica referendaria?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 26 novembre 2021

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