C’è un rischio serio in Italia: il clericalismo.
Bisogna lanciare l’allarme proprio noi cattolici perché a uscirne con gravi danni sarà soprattutto la Chiesa.
Nel mio piccolo mi batto da tempo contro l’anticlericalismo, contro l’intolleranza laicista che vorrebbe imbavagliare la Chiesa e contro il tentativo di sradicare il cristianesimo dalla storia del nostro popolo. Ma penso che ora la Chiesa debba temere anche il fenomeno opposto, il tracimare della gerarchia – a cui competono compiti diversi – in campi che sono prerogativa dei laici cattolici, come Benedetto XVI ha ripetuto anche sabato scorso, come ha affermato il Concilio e come ha definito la stessa dottrina cattolica.

Faccio un esempio. Ieri il Corriere della sera pubblicava una intervista al cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del Consiglio vaticano per la famiglia, sui vari temi d’attualità italiana, dai Pacs al “caso Welby”.
Già questo assiduo interventismo dei cardinali di Curia nei media sui problemi italiani è un segnale preoccupante (il giorno precedente su Repubblica si esibiva, sugli stessi temi, il cardinale Lozano Barragàn del Pontificio consiglio degli operatori sanitari).
Preoccupante perché in qualche modo svalorizza il ruolo dei vescovi italiani, ai quali semmai compete intervenire sulle questioni del nostro Paese. Inoltre perché dà un’immagine inquisitoriale della Chiesa che Benedetto XVI ha sempre rifiutato. E perché – soprattutto – in queste interviste di solito i prelati usano gli argomenti più sbagliati, argomenti “di fede” e d’autorità, anziché “di ragione”. Usano argomenti che sembrano scelti appositamente per suscitare la reazione “anticlericale” dei non cattolici (sui Pacs per esempio è la Costituzione che andrebbe citata e spiegata e vorrei sapere se Scalfaro e i dossettiani, da sempre guardiani della Carta, ora difenderanno l’art. 29 sulla famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”).
Poi questi interventi dei porporati sono preoccupanti perché sembrano dimenticare che la Chiesa deve innanzitutto illuminare le coscienze e vincere lì la sua battaglia: sarebbe illusorio imporre per legge dei valori che non si sono saputi proporre alle coscienze e che sono rifiutati dalla maggioranza. Ma c’è di peggio.

Ieri, dicevo, sul Corriere, Luigi Accattoli, parlando della legge per le convivenze civili, chiede al cardinal Trujillo: “Lei dunque non è disponibile a dialogare su questa nuova frontiera?”. Risposta: “Non è vero, dialogo! Al Consiglio per la famiglia abbiamo ricevuto il ministro Rosy Bindi e ora andremo al ministero della Famiglia per reciprocità, a continuare il dialogo”.
Il giornalista chiede ancora: “Avete trattato delle coppie di fatto?”. Risposta: “No, il primo incontro è stato sulla denatalità, poi parleremo dei bambini, delle politiche familiari e infine delle coppie.
Ritengo sia da lodare la creazione di quel ministero, che segnala l’intenzione di fare della famiglia un oggetto specifico dell’attività di governo”.

Sono parole sorprendenti: fanno credere veramente che le leggi dello Stato italiano discendano da una trattativa fra le istituzioni della repubblica e quelle della Città del Vaticano. Cosa devastante innanzitutto per la Chiesa, oltreché per la sacrosanta laicità dello Stato.
A che titolo avvengono questi incontri? Sembrano alquanto impropri.
Benedetto XVI, proprio sabato scorso, dopo aver giustamente criticato l’ideologia laicista che pretende di imbavagliare la Chiesa e cancellare il cristianesimo dalla vita pubblica, ha affermato che esiste tuttavia una “sana laicità” che tutti noi dobbiamo difendere.
Essa, dice il Santo Padre, “implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica.
Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica.
Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo” ha aggiunto il Papa “sarebbe un’indebita ingerenza”.
Quelle riunioni fra il ministro e il consiglio vaticano su quelle leggi appaiono dunque una “indebita ingerenza”.
C’è anche una considerazione storica da fare. Da fine Ottocento è nato anche in Italia un forte e importante movimento cattolico che ha espresso addirittura il partito pilastro della democrazia italiana.
Da quando la Dc è stata spazzata via la gerarchia si è trovata ad andare oltre i propri compiti pastorali.
Talvolta ha supplito meritoriamente, ma se esagera danneggia la Chiesa. Compito della Chiesa è sollecitare la rinascita di un forte movimento cattolico, movimento di laici, di padri, madri e figli, perché i cattolici italiani (come cittadini eletti o come elettori) sono titolati a far pesare le proprie idee nella formazione delle leggi.
L’eccesso di protagonismo del clero – malgrado il gran parlare del “ruolo dei laici” nella Chiesa post-conciliare – arriva all’assurdo: il cardinal Trujillo mesi fa è arrivato a pretendere di definire lui quale sia il numero giusto di figli che ogni famiglia deve avere (più di due), cosa che la Chiesa si è sempre ben guardata dal giudicare. La tradizionale dottrina cattolica esalta invece la libertà e la responsabilità dei battezzati.

Anche la laicità delle istituzioni non è una concessione che la Chiesa fa, obtorto collo, alla modernità, ma anzi è un dono del cristianesimo alla storia umana. La laicità vera è entrata nella storia proprio col cristianesimo. Ci sono ragioni teologiche profonde.
Le ha ribadite Benedetto XVI nel discorso di sabato, citando la “Gaudium et spes”, sottolineando che “tale autonomia è una ‘esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore.
Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine’ ”.

Il Concilio ha sottolineato, ma non inventato il ruolo del laicato cattolico e il tema dell’autonomia del temporale (in fondo lo stesso Maritain si rifà a San Tommaso).
Curiosa infine – la notizia del Corriere – perché riguarda il ministro Bindi, una che proviene da quel mondo cattoprogressista che da sempre sbandiera la laicità e la maritainiana autonomia dell’ordine terreno.
La Bindi invece di cercare una soluzione condivisa in Parlamento (anche con i cattolici e i moderati del centrodestra, com’è accaduto per legge 40) si riunisce col cardinal Trujillo. Perché?
Sembra che il centrosinistra voglia tener buone le gerarchie ecclesiastiche, con un ossequio formalistico, mentre vara politiche distruttive della famiglia e dei valori tradizionali e lo fa a costo di eccedere in clericalismo.
Di recente una dichiarazione di Napolitano incitava a trovare “soluzioni ponderate e condivise” con “le più alte gerarchie”: naturalmente esortava la Chiesa a cambiare le sue posizioni, ma stupisce che il Capo dello Stato prospetti, sia pure con una frase ambigua, una sorta di “patteggiamento” fra Stato e gerarchia vaticana sulle leggi.

E’ evidente che questo connubio di clericali e anticlericali si trova concorde nel seppellire quella cultura cattolico-liberale e quel “movimento cattolico” che nel Novecento, da Alcide De Gasperi in poi, è stato il pilastro della democrazia italiana. Come diceva Charles Péguy siamo presi fra due curie: le curie clericali e quelle anticlericali. E non può venirne molto di buono né per il Paese, né per la Chiesa.

Fonte: © Libero – 12 dicembre 2006

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