Batoste? In fondo a Sinistra. I socialisti francesi sconfitti da Sarkozy. Quelli spagnoli strapazzati dai Popolari. E il centrosinistra italiano sbaragliato dalla Cdl nel voto amministrativo di domenica. Sostiene Fassino che si tratta di “un campanello d’allarme”. Giordano, segretario di Rifondazione comunista, corregge: “semmai è una campana”. Precisamente da morto. Ma per chi suona la campana? Chi è il “reo”? La colpa della sconfitta – secondo i sindaci del centrosinistra battuti – è del governo e di chi ha preteso, quando ci fu la crisi, il ruolo di timoniere unico: il premier.
E’ il declino dell’Impero Romano? Lo spettacolo che sta andando in onda, se fosse un film, avrebbe questo titolo: “2007, fuga da Prodi”. E fuga dal Pd che sembra la targa automobilistica dell’attuale premier. Premier per modo di dire se il suo vice, Rutelli, spiega agli amici che “non c’è un Presidente del Consiglio”. D’Alema ripete anche lui “non c’è un premier” e aggiunge, con la sua squisita delicatezza: “A volte quando gli parlo non sai se è sveglio o se sonnecchia”.

Il voto – dicevamo – non destabilizza solo la poltrona prodiana, ma anche la sua gracile ed estenuata creatura, il Partito democratico, di cui non si è ancora stati capaci di indicare il leader. Ieri è stata emblematica la reazione al voto di Pierluigi Castagnetti. Dalle urne emerge, secondo lui, la sfiducia del Nord e “uno spostamento consistente di voto cattolico” verso il centrodestra (Prodi e la Bindi dunque – con i Dico – ne sono i responsabili). Inoltre “il Partito democratico non è stato percepito ancora come una novità significativa”. Eufemismo per dire che il Pd ha l’ “appeal” di un bara. Che fare? Castagnetti prospetta una cruenta resa dei conti: “Abbiamo bisogno di una leadership visibile e unificante e se deve scorrere il sangue scorra subito”. Facile prevedere che sarà una “marcia su Romano”. Del resto il Pd era già stato liquidato il giorno prima da un esponente di rilievo del mondo cattolico progressista, Savino Pezzotta, portavoce del Family Day ed ex segretario della Cisl.

Ma già prima dell’apertura delle urne era cominciata la fuga da Prodi pure da parte laica. Ben tre intellettuali molto importanti e che, tutti e tre, fino a poco tempo fa si definivano apertamente “prodiani” si congedano bruscamente dal professore e con sofferenza, per una delusione motivata e radicale. Il primo – per importanza e autorevolezza – è Gianpaolo Pansa che rappresenta il meglio del giornalismo italiano e – per coraggio e anticonformismo – il meglio della cultura nazionale. Domenica ha annunciato: “non credo più alla sinistra”. Per la verità lo pensa e lo scrive da tempo. Ma domenica – dopo mille impietosi articoli di questi anni, sempre più amareggiati e sconcertati – ha aggiunto il colpo finale: “In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l’ultima illusione”. La diagnosi di Pansa è impietosa: “Prodi guida una coalizione spappolata. La sua presunta alleanza è un baraccone”. Sul Partito democratico poi è liquidatorio.

Come lo è stato, sempre domenica scorsa, anche Omar Calabrese, semiologo, vicinissimo a Prodi nella campagna elettorale del 1996 e già animatore del convegno di Gargonza: “ho sognato per anni la formazione di un Partito democratico”, ma ora “ho deciso con enorme sofferenza che a questo partito io non mi iscriverò e anzi abiuro e rinnego tutte le ‘belle parole’ spese finora”. Calabrase ha fatto seguire una requisitoria pesantissima che si concludeva con una implicita archiviazione del “prodismo”.

Infine il più chiassoso e divertente è stato Gad Lerner: “Per una decina d’anni ho fatto il Pippobaudo dell’Ulivo, ho passato il microfono ai leader, li ho accompagnati nelle campagne elettorali, sempre pagandomi l’aereo o l’albergo, rifiutando posti in Parlamento e incarichi importanti…”. Ma ora siamo a una svolta. Lerner (che sta pur sempre fra i 45 “saggi” del Pd su designazione di Prodi) dice ancora che Prodi è “la persona più adatta a governare questo Paese”, ma subito dopo lo scarica: “una parte decisiva del suo disegno politico è fallita”. E quando lo definiscono “prodiano storico” assesta il colpo del ko: “io ho il dovere di dimetteremi da qualsiasi denominazione frazionistica. Prima ci chiamavano ulivisti, poi siamo diventati prodiani e dopo ancora parisiani, aiuto! E’ la politica italiana che ci spezzetta, io non sono più prodiano”. Amen. Ma Gad rincara la dose: “(Prodi) per costruire la coalizione ha dovuto soggiacere a una logica che ha portato a una ulteriore degenerazione della politica”.

Questa presa di distanza però ha stizzito Roberto Cotroneo che dalle colonne dell’Unità strapazza sarcasticamente Gad. A differenza di Pansa e Calabrese, che da anni se ne stanno per i fatti loro, “quella di Lerner è una riluttanza che lascia veramente un po’ perplessi” dice Cotroneo. Infatti Lerner “è stato cooptato nei 45 saggi che dovrebbero ragionare e guidare la costituente del Partito democratico. Nominato dall’alto come tutti gli altri 44 saggi oltre a lui”. E a Cotroneo non va giù che Lerner faccia il gioco del “ci sono e non ci sono”. Se spara quelle sentenze, chiede Cotroneo, “che ci fa Lerner tra i 45 saggi?”. Ipotizza che quella di Gad sia “una riluttanza a intermittenza, genere Nanni Moretti: mi notano di più se sto tra i saggi e dico che non c’entro niente, o se sto fuori dai saggi e dico che invece sarebbe importante esserci?”.

Come si vede è in corso il “si salvi chi può” e di conseguenza volano gli stracci. Il naufragio del povero Romano però non riguarda solo la personale storia di potere dell’attuale premier. Prodi rappresenta un’impresa storica: la scommessa di un certo mondo cattolico di potersi amalgamare con la Sinistra e la scommessa della Sinistra di saper e poter integrare la sinistra dc e una parte del mondo cattolico. E di farsi rappresentare da un uomo che viene dalla Dc. In questo senso acquistano un significato particolare l’allarme di Castagnetti sulla fuga del voto cattolico dal centrosinistra, la “liquidazione” del Pd prodiano fatta da Calabrese con argomenti fortemente anticlericali e quella speculare di Pezzotta secondo cui “nel Pd non c’è posto per noi cattolici”. Sembrano contraddittorie due critiche esattamente antitetiche, ma invece sono il segno che il Pd prodiano non è nulla, né carne, né pesce e quindi scontenta tutti.
Si dice che l’asino di Buridano – incerto fra due pasti – finì col morire di fame. La linea che Prodi ha sempre seguito, il “non scegliere”, il barcamenarsi, l’ambiguità, la nebulosità, per anni gli ha permesso di galleggiare e di eludere gli ostacoli. Oggi è ciò che lo frega e che scredita il suo governo. Perché prima o poi i nodi vengono al pettine e in politica vanno fatte delle scelte precise.
Il Family Day e la nascita dell’opposizione del “partito di Montezemolo” derivano da qui: il voto di domenica è il risultato. E presto arriveranno altri nodi: dalla trattativa coi sindacati sulle pensioni (e non solo), alla visita di Bush a Roma.

Dopo la crisi di governo Prodi ha tentato di gabbare tutti restando in sella con la scusa che doveva occuparsi della legge elettorale. Una scorciatoia furba, fatta col calendario alla mano, per lucrare qualche mese di sopravvivenza e poi – grazie alla Finanziaria – arrivare al 2008 (una volta lì pensava di poter escogitare altri mezzi di sopravvivenza). Oggi potrebbe non bastargli più. Ma probabilmente l’agonia è ancora lunga perché al potere il centrosinistra non intende rinunciare. E questa situazione di stallo, di immobilismo e autoconservazione delle poltrone è un disastro per il Paese.

Fonte: © libero – 30 maggio 2007