Il primo documento che parla di Donatello riguarda una rissa. Non aveva neanche 15 anni e stava cominciando a imparare l’arte, quando, nel gennaio 1401, prese a bastonate, a Pistoia, un certo Anichino di Piero che era originario “de Alemania”.

Tuttavia la stupenda mostra a lui dedicata a Firenze, a Palazzo Strozzi (“Donatello, il Rinascimento”), che ha fatto il record di visitatori (in questi giorni si è visto anche Leonardo di Caprio con la famiglia), diventando l’evento culturale italiano di maggior successo del 2022, si apre con una storia di amicizia.

AMICI MIEI

Infatti i due bellissimi crocifissi che sono esposti nella prima sala – quello di Donatello e quello di Filippo Brunelleschi – hanno una storia significativa.

Il Vasari racconta che Donatello “fece con straordinaria fatica un Crucifisso di legno, il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima, lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco suo amicissimo, per averne il parere suo”.

Ma il Brunelleschi vedendolo “sorrise alquanto”. Donatello, stupito, chiese il perché, cosicché “Filippo, che liberalissimo era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo, et in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse già mai”.

Assai risentito, Donatello gli rispose: “piglia del legno e pruova a farne uno ancor tu”. Così Brunelleschi, senza dir niente a nessuno, “mise mano a fare un Crucifisso” e “lo condusse a somma perfezione”.

Poi “invitò una mattina Donato a desinar seco, e Donato accettò l’invito”. Al Mercato Vecchio “Filippo comperò alcune cose, e datole a Donato, disse: ‘Aviati con queste cose a casa, e lì aspettami, che io ne vengo or ora’. Entrato dunque Donato in casa, giunto che fu in terreno, vide il Crucifisso di Filippo a un buon lume, e fermatosi a considerarlo, lo trovò così perfettamente finito, che vinto e tutto pieno di stupore, come fuor di sé, aperse le mani che tenevano il grembiule. Onde cascatogli l’uova, il formaggio e l’altre robe tutte, si versò e fracassò ogni cosa”.

Arrivato Filippo, vedendo Donatello in quello stato, gli disse ridendo: “Che disegno è il tuo, Donato? Che desinaremo noi avendo tu versato ogni cosa?”.

E Donatello: “io per me ho per istamani avuta la parte mia, se tu vuoi la tua, pigliatela. Ma non più, a te è conceduto fare i Cristi, et a me i contadini.”

CARNE E BELLEZZA

La mostra è aperta fino al 31 luglio ed è un’occasione unica per vedere insieme i due crocifissi (che altrimenti si trovano nelle chiese di Santa Maria Novella e di Santa Croce).

Vale la pena osservarli accanto perché l’episodio narrato dal Vasari è qualcosa più di un simpatico aneddoto.

Donatello – che fa quel crocifisso agonizzante per i francescani – esprime la linea realistica che da Giotto arriva a Masaccio e che deriva appunto dalla spiritualità francescana, dall’amore di Francesco per l’umanità di Cristo, dalla compassione per le sue piaghe: da qui viene alla pittura fiorentina la scoperta del corpo, della spazialità, della rappresentazione realistica.

Brunelleschi risente della cultura dell’Umanesimo fiorentino, quindi vede più Cristo come la Bellezza ideale fatta carne. Nel filone della rappresentazione della bellezza ideale platonica avremo, per esempio, il Botticelli.

Poi arriva Michelangelo e tutte queste sensibilità si fondono e diventano esplosive, incandescenti. Da qui la sua ossessione della corporeità. E il suo genio.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 23 luglio 2022

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