FUOCO DI PAGLIA

I maggiori leader della (progressista) Comunità di S. Egidio vanno all’attacco della Santa Sede per la sua nota diplomatica allo Stato italiano sul Ddl Zan.

Monsignor Vincenzo Paglia dichiara perentoriamente alla “Stampa” (24/6) che “quella nota non andava scritta”. Ma è il presidente della Pontificia accademia della vita e attaccando pubblicamente l’iniziativa diplomatica della Sede Apostolica, attacca il papa. Non è imbarazzante per un ecclesiastico che occupa un posto di alto rango nella curia vaticana?

L’altro leader di S. Egidio, Andrea Riccardi – pure lui contro la Santa Sede – tuona dalle colonne di “Repubblica” e dice che, a suo avviso, tale nota è “attribuibile ad ambienti italiani della Segreteria di Stato”, non al papa.

Idea plausibile? Il professor Cesare Mirabelli, ex presidente del Csm e della Corte Costituzionale, nonché consigliere generale della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, ha dichiarato: “non si può immaginare che un passo di questo genere sia avvenuto senza l’assenso esplicito di Papa Francesco” (Huffington post, 22/6).

Il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio Cardinalizio, in un’intervista al Messaggero (24/6), ha spiegato: “La curia fa quello che indica il pontefice, è a suo servizio e agisce ovviamente in consonanza con lui. Non è che la curia va da una parte e il Papa dall’altra”.

Il sito paravaticano (e bergogliano) “Il Sismografo” aveva già attaccato quanti accreditano l’idea che tali iniziative della Santa Sede “accadano alle spalle del Pontefice” perché “questa narrazione danneggia enormemente il prestigio e la credibilità di Papa Francesco”.

(VEDI IL POST SCRIPTUM SOTTO LA FIRMA)

 

UN’ALTRA STORIA

Finora papalina, “Repubblica” torna anticlericale e antipapale con l’editoriale di Michele Ainis (24/6), fin quasi a mettere in discussione i Patti lateranensi che, proclama Ainis, hanno portato “verso il Vaticano un fiume, un flusso di quattrini… Già la Convenzione finanziaria, allegata ai Patti lateranensi, si misurava in soldoni: 1 miliardo e 750 milioni di lire… abbiamo sborsato quasi un decimo del nostro patrimonio”.

Ma non sarà che quei soldi erano un (parziale) indennizzo per tutti i beni che lo Stato sabaudo aveva fatto suoi invadendo lo Stato pontificio (che era uno stato italiano più antico e più italiano di quello dei Savoia)?

Basterebbe chiedersi a chi appartenevano – per fare solo due esempi – il palazzo del Quirinale (attuale sede della presidenza della Repubblica) e il palazzo di Montecitorio (attuale sede della Camera dei deputati). Risposta: al papa, alla Chiesa.

Agli enormi espropri fatti a Roma va poi aggiunta la confisca dei beni ecclesiastici su tutto il territorio italiano. Abbazie, chiese, terreni, conventi, tesori artistici, monumenti architettonici, archivi. Un patrimonio immenso costruito dalla Chiesa nei secoli e di cui la Chiesa viveva.

Più di 57 mila religiosi, da un giorno all’altro, si trovarono buttati fuori dalle loro case e privati di tutto, dal loro letto alle loro biblioteche, dagli oggetti di culto ai campi. E la stessa sorte toccò a più di 24 mila opere pie che – assistendo poveri e bisognosi – rappresentavano il primo welfare della nostra storia.

Nel meridione gli espropri ecclesiastici – a cui seguì la privatizzazione – ebbero l’effetto di concentrare nelle mani di pochi ricchi immense proprietà, aggravando ancor di più la povertà del popolo che non poté più avvalersi dell’uso civico di quelle terre. Fu anche questa una delle cause del brigantaggio e poi della questione meridionale.

 

Antonio Socci 

(Da “Libero”, 25 giugno 2021)

 

POST SCRIPTUM – La dura dichiarazione di mons. Paglia era riportata giovedi 24 giugno dalla “Stampa”. Il giorno dopo, venerdì 25 giugno (lo stesso giorno in cui “Libero” pubblicava questa mia rubrica), sul “Giornale”, è uscita una nuova intervista a mons. Paglia che si rimangiava l’attacco alla Santa Sede con queste acrobatiche spiegazioni:

«Preciso che una giornalista ha estrapolato da un mio articolato intervento una falsa intervista che non ho mai concesso. Ho, ad ogni modo, espresso dei dubbi, come tanti. Sono un vecchio prete romano. Ho pensato, forse sbagliando, che tra le due sponde del Tevere sia sempre esistita una creativitànell’immaginare vie di colloquio e di composizione delle divergenze dalle quali i media dovessero e potessero rimanere fuori. Oggi, purtroppo, la riservatezza non sembra più un valore. Lo sbaglio, a mio avviso, è stato rendere pubblica un Nota che doveva rimanere segreta. Questa era l’intenzione originaria della Santa Sede, qualcuno deve aver pensato diversamente. La pubblicità ha rischiato di far alzare muri ancora più alti. Sono stato frainteso anche io: la Nota ha avuto il prezioso effetto di far luce sulle gravi problematiche di un Decreto che, così come è, è inaccettabile. Non solo dalla Chiesa, direi dalla maggior parte degli italiani».

Ogni può fare le considerazioni che crede…

 

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