“Dovremmo benedire l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte acutamente descritta, in un saggio più citato che letto, da Walter Benjamin quale segno epocale della sua perdita d’aura, che però nel presente caso potrebbe introdurre a nuove forme di ‘aura’. Sarebbe un grave errore considerare l’aspetto riproduzionistico come puramente strumentale”. Così scrive il filosofo Giuseppe Fornari nel suo volume “Leonardo e la crisi del Rinascimento” (Mimesis).

Le sue considerazioni derivano dall’analisi delle foto riflettografiche dell’”Adorazione dei Magi” di Leonardo (agli Uffizi) che danno la possibilità di leggere ciò che resta dell’opera originaria, lasciata allo stato di abbozzo, su cui si sono poi stratificati, nel corso dei secoli, interventi di vario tipo. Paradossalmente, quella che dovrebbe essere la copia fotografica dell’opera originale, “ce ne fa recuperare almeno in parte l’aura perduta, con un effetto retroagente e retroattivo non previsto dal saggio di Benjamin”.

DA VENEZIA…

Fornari ipotizza pure che si realizzi “una copia pittorica dell’Adorazione nello statu quo ante tramite le costose tecniche computerizzate attualmente realizzabili, come già fatto per le Nozze di Cana di Veronese oggi al Louvre, che la Fondazione Cini ha deciso di riprodurre nel Refettorio palladiano dell’Isola di S. Giorgio per il quale erano state pensate ed eseguite”.

L’esempio delle “Nozze di Cana” è molto suggestivo. L’opera del 1563 fu la più importante fra quelle razziate da Napoleone a Venezia e oggi, al Louvre, è proprio davanti alla “Gioconda” di Leonardo.

Per le sue dimensioni – dieci metri per sette – il capolavoro del Veronese “era stato letteralmente affettato per portarlo via dal refettorio del monastero benedettino di San Giorgio Maggiore, a Venezia, e poi ricomposto una volta arrivato a Parigi”, come scrive Alessandro Marzo Magno nel suo libro (mai abbastanza lodato) “Missione Grande Bellezza”(Garzanti).

L’autore c’informa anche delle polemiche sorte sui giornali francesi alcuni anni fa quando qualcuno fece notare che – come ha scritto anche Fornari –quell’opera era stata concepita per stare nella sala del refettorio progettata da Andrea Palladio. Non per stare nel museo parigino.

Questo caso fa riflettere su quanto certe opere d’arte debbano essere viste e pensate nel contesto architettonico, storico, spirituale e liturgico per il quale sono state concepite (come conferma l’iniziativa della Fondazione Cini). E quanto perdano fuori da lì.

…A SIENA

Si può fare un altro esempio: la grande pala d’altare della “Maestà” di Duccio di Buoninsegna, dipinta, fra il 1308 e il 1311, per l’altare maggiore della Cattedrale di Siena che è dedicata all’Assunta.

Il capolavoro doveva celebrare la Vergine Maria in trono. La Madonna è già al centro della grandiosa facciata del Duomo, scolpita da Giovanni Pisano, proprio per mostrare l’Annunziata al centro della storia umana.

Ai lati della Madonna in trono nella “Maestà” (che oggi è nel museo), Duccio ha dipinto un doppio corteo di santi che raffigurano lo stesso cammino fisico del fedele che entra nella cattedrale e si avvicina all’altare.

Il quale si trova così accompagnato, abbracciato, oltreché dalla comunità, anche dalla Chiesa trionfante. La struttura della Maestà è dunque inseparabile dallo spazio della cattedrale.

Oggi la tecnologia potrebbe ricostruire l’ambiente architettonico dentro il quale il fedele cammina tenendo lo sguardo fisso sulla Vergine in compagnia dei santi. Una metafora della vita. È questo che volevano esprimere nel Medioevo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 25 febbraio 2023

 

Nell’immagine: ricostruzione virtuale del lato anteriore della Maestà (da Wikipedia)

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