DA OMERO ALLE ASTRONAVI, PASSANDO PER ROMA, EINSTEIN E I SUPERMERCATI. L’APOLOGIA DEL MASCHIO E DELL’OCCIDENTE FATTA DA UNA COLTISSIMA FEMMINISTA SESSANTOTTINA
C’è un luogo che in questi giorni tutti frequentiamo (non solo per l’aria condizionata a palla). È preso d’assalto sia da chi è in vacanza, sia da chi sta a casa: è il supermercato.
Senza nulla togliere ai piccoli e gloriosi negozi (che meritano di vivere) il supermercato è un fatto culturale, una sorta di museo dell’uomo occidentale. Si entra ed ecco un’immensa gamma di prodotti, per così dire, quattro-stagioni e cinque-continenti. Il mondo a portata di mano.
La loro quantità non deriva certo dalla produzione naturale. Il lavoro dell’uomo ha reso la natura molto più feconda e spesso ha “inventato” i prodotti della terra. “Non è forse l’uomo che ha creato il grano?” scriveva Jean Jaurès. Esagerava, ma in effetti molte “produzioni che chiamiamo naturali non sono l’opera spontanea della natura”.
È la storia della civiltà. Dio ha creato sia l’ingegno umano che la natura: tutto viene dalla capacità del primo di manipolare la seconda (c’entrano molto la Bibbia e il cristianesimo). Ecco perché non si può ridurre il supermercato (e l’Occidente) alla banale categoria del “consumismo” (deprecato da intellettuali o chierici che però ne usufruiscono).
Il supermercato è una macchina complessa con un retroterra simbolico che parla dell’identità occidentale. Lo spiega una delle intellettuali più geniali e brillanti della nostra generazione: Camille Paglia.
È un’atipica femminista sessantottina, una libertaria oggi in polemica con il “politicamente corretto” e con l’ideologia woke.
Nel suo strepitoso viaggio in millenni di cultura occidentale, Sexual Personae. Arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson (Einaudi) smonta l’idilliaco concetto di natura di Rousseau che “inaugurò la tendenza progressista della cultura” dilagante anche oggi (soprattutto in chiave ecologista).
Paglia scrive: “la società è una costruzione artificiale, una difesa contro il potere della natura. Senza la società saremmo sballottati alla deriva sull’oceano selvaggio della natura”. Insomma “tutto ciò che vi è di grande nella cultura occidentale deriva dal suo dissidio con la natura”. Che è “uno spietato carosello di sperpero, strage e putrefazione”, “è un focolaio infetto di aggressività e furore omicida” e “l’arma più efficace contro il divenire della natura è l’arte. Religione, rito e arte sono nate insieme”.
L’arte è ogni tipo di manufatto umano: “è sempre un rito che rimette ordine nella realtà”. È così “dal bisonte delle pitture rupestri” fino a Hollywood: “l’arte fa cose, non vi sono oggetti in natura”.
In questa lotta con la natura, che anzitutto ci abita fisicamente (in modo conflittuale nella sessualità maschile), il protagonista è il maschio, soprattutto occidentale (l’opera di Paglia è un’epica e un’estetica della differenza fra maschile e femminile): “fare e conservare cose sono dati centrali nell’esperienza del maschio”.
L’autrice scrive: “i rutilanti guerrieri bronzei di Omero non sono diversi dalle lattine di bibite stipati nei templi solari dei nostri supermercati… La varietà e la profusione di prodotti del capitalismo è una correzione apollinea della natura. I marchi di fabbrica sono comparti territoriali dell’identità occidentale. Le nostre lucide automobili cromate, come le schiere di barattoli e di lattine dei reparti alimentari, sono estrapolazioni della ruvida, impermeabile personalità dell’Occidente. I prodotti del capitalismo sono un’ulteriore versione dell’operosità artistica che inonda la cultura occidentale”.
Poi aggiunge: “La rete di distribuzione capitalistica, la complessa catena che lega fabbrica, trasporto, stoccaggio e vendita al dettaglio, è una delle maggiori realizzazioni maschili della storia della cultura… Fra i più irritanti atteggiamenti del femminismo vi è un disprezzo di maniera per la ‘società patriarcale’, a cui non si riconosce mai nulla di buono. Ma è la società patriarcale che mi ha liberato come donna. È il capitalismo che mi ha dato la possibilità di star seduta a questo tavolo e di scrivere questo libro. Smettiamola di essere meschine verso gli uomini e riconosciamo apertamente quali tesori la loro ossessività ha riversato sulla cultura”.
Infine conclude: “Potremmo stendere un catalogo interminabile delle realizzazioni maschili, dalle strade asfaltate alle condutture dell’acqua corrente, dalle lavatrici agli occhiali agli antibiotici e ai pannolini usa e getta. Disponiamo di carne e di latte fresco e sterilizzato, nelle nostre città assediate dalla neve si ammucchiano verdura e frutta tropicali. Quando attraverso il ponte George Washington o uno qualunque dei grandi ponti d’America penso: questo lo hanno fatto gli uomini. Il costruire è la poesia sublime del maschio”.
Perfino la vista di una gru è suggestiva: “quale grandiosità: questa gru ci ricongiunge all’antico Egitto, in cui si concepì e si realizzò per la prima volta l’architettura monumentale… Il capitalismo è una forma d’arte, un edificio apollineo che si contrappone alla natura. È ipocrita che femministe e intellettuali che godono dei piaceri e delle comodità del capitalismo al tempo stesso se ne facciano beffe”.
Non sono solo gli intellettuali di sinistra. In questi giorni, per esempio, ho letto Franco Cardini che in polemica con il ministro Valditara e con Ernesto Galli della Loggia, esalta le antiche civiltà: cinese, indiana, araba e persiana. A sentir lui dobbiamo tutto a loro.
Certamente sono civiltà da conoscere. Ma – a parte il fatto che la scuola deve partire dalla civiltà occidentale per il semplice fatto che è la nostra – è pur vero che quelle antiche civiltà asiatiche oggi vivono della scienza, della tecnologia, dell’economia (e perfino delle ideologie) che si sono formate in Occidente. Tutto il mondo è occidentalizzato.
Dovunque si muovono con auto e aerei, comunicano con telefoni, radio, tv e computer, ammirano Michelangelo, Roma e New York, leggono Omero e Shakespeare, ascoltano Bach e Mozart (e hanno supermercati). Vorrà dire qualcosa?
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Antonio Socci
Da “Libero”, 12 agosto 2025