DA CATTOLICO AMO IL NATALE “CONSUMISTA” (PERCHE’ E’ IL VERO NATALE CRISTIANO: COSI’ LO VIVEVA ANCHE SAN FRANCESCO)
Amo il Natale consumista. Non perché io sia un gran “consumatore”. Anzi, il contrario. Faccio vita da eremita e compro solo libri e giornali. Ma amo il Natale consumista che tutti criticano perché sono cattolico. Mi piace il “consumismo” natalizio degli altri. Mi dà allegria perché mi sembra un piccolo atto di fede inconsapevole (o forse consapevole, chi può dirlo?).
Per me ogni luce degli addobbi natalizi celebra la Luce che è venuta nel mondo. Ogni – piccolo o grande – dono che vedo fra le mani della gente è il ricordo del dono che Dio ha fatto agli uomini: suo Figlio. E ogni gesto di gentilezza, di perdono, di comprensione (specie per chi soffre o è solo), ogni sorriso, ogni augurio fatto o ricevuto è una carezza del Bambino di Betlemme. Perché siamo tutti poveracci e tutti abbiamo bisogno di misericordia.
Perciò mi commuove vedere tutta questa folla che alla vigilia di Natale mette luci alle case, addobba le città, si sorride, si fa gli auguri, si accalca nei negozi per i regali.
Ipocrisia, dirà qualcuno. Ma chi può giudicare? E se invece si esprimesse così il desiderio più profondo, di Bene e di Felicità, che abbiamo nel cuore? Almeno un giorno all’anno ci diciamo la verità.
Si dirà che è solo la consuetudine o che è un’invenzione del sistema capitalista per fare fatturato. Sarà… (peraltro fare fatturato non è poi un male: si dà lavoro, si dà il pane a tante famiglie). Ma non è tutto qui.
A Natale c’è qualcos’altro e tutti lo sanno: c’è quel Bambino in quel presepe, quella tenerezza che in fondo al cuore ci dice che siamo amati, che “un altro mondo è possibile”, che senza amore l’umanità non vive, ma si autodistrugge. Nessuno dentro di sé è indifferente quando sente il nome “Gesù”. E ognuno – che sia credente o no – sa che a Natale sta festeggiando Lui.
Vedere le nostre città che in questi giorni s’illuminano è stupendo, perché così si celebra l’avvenimento più bello e liberante della storia: Dio che si fa uomo, il Re dei cieli che nasce fra noi e condivide la nostra vita, con tutti i suoi dolori, le sue fatiche. È la compassione di Dio per noi suoi poveri figli. Per noi si farà addirittura crocifiggere.
Tutti lo sanno. Si festeggia il Natale anche solo rallegrandosi e sorridendo. E molti intuiscono – più o meno – che è a quel Bambino che dobbiamo tutto. Pure le cose che sono diventate civiltà laica, come la dignità, la libertà e l’uguaglianza di ogni essere umano, la sacralità anche del più misero degli esseri umani. Prima di Lui non era così. Senza di Lui non è così.
Albert Camus da non credente diceva: “non posso nascondere l’emozione che sento di fronte a Cristo e al suo insegnamento. Di fronte a lui e di fronte alla sua storia non provo che rispetto e venerazione”.
Il grande laico Benedetto Croce lo scrisse in un testo celebre: ”non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani… Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta… E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni… non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo”.
Ma lo sappiamo tutti, qualunque sia il nostro rapporto con la Chiesa. Non a caso, secondo una ricerca del Censis, dell’autunno 2024, in Italia il 71,1% si definisce cattolico (poi ci sono anche i cristiani evangelici e ortodossi). È vero che i cattolici che vanno a messa ogni domenica sono il 15,3 %, quelli occasionali il 34,9% e il 20,9% afferma di essere “cattolico non praticante”. Ma ben il 66% degli italiani dichiara di pregare o di rivolgersi a Dio (lo fa perfino l’11,5% di chi si dichiara non credente).
A Natale le chiese sono piene e ci sono preti che ne approfittano per fustigare i partecipanti, magari proprio polemizzando sui regali e sul consumismo. O lamentando la scarsa presenza in chiesa di chi si vede solo a Natale.
Eppure Gesù ha pietà di tutti e spiega che non è venuto per quelli che credono di essere sani, ma per i malati. Cioè tutti. Nel Vangelo si dice di Gesù: “egli guarì tutti” (Mt 12,15). Nel corpo e nell’anima. È proprio a chi è incerto, sulla soglia, che vuole donare la sua consolazione. L’evangelista applica a Gesù un versetto di Isaia: “non spezzerà la canna incrinata e non spegnerà il lucignolo fumigante”. Se i preti, a Natale, offrissero a chi li ascolta questa consolazione forse le domeniche avrebbero più fedeli.
Potrebbero ispirarsi alla famosa omelia del papa San Leone Magno: “Il nostro Salvatore oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita”.
Anche San Francesco viveva il Natale così. Lui sapeva che Cristo è il senso e la consistenza di tutto il creato, perciò voleva che “per amore di Lui, che ha dato a noi tutto se stesso, ogni cristiano fosse largo e munifico” perfino con gli animali.
Scrive Chiara Mercuri che per Francesco “il Natale deve essere il giorno della gioia e dell’abbondanza per tutti. Solo se lo sarà per tutti sarà Natale. Si mangeranno cibi ricchi, rari, di solito assenti dalla mensa dei frati, come la carne, i formaggi stagionati, il vino, l’olio, il lardo e la frutta fresca. Mendicanti, contadini, medici, notai, nobili si uniranno alla mensa dei frati per festeggiare con loro”.
.
Antonio Socci
Da “Libero”, 23 dicembre 2025






