Il “selfie dei Promessi sposi” (evocazione letteraria della leader di FdI) che, nei giorni scorsi, a Cernobbio, sul lago di Como, ha immortalato la rinnovata armonia fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è stato ritenuto da tutti un “serrate i ranghi” in vista delle elezioni amministrative di ottobre. Ma anche in vista di possibili elezioni anticipate a febbraio, nel caso in cui dovesse essere eletto Mario Draghi alla presidenza della Repubblica.

Infatti, se ciò accadesse, nel centrodestra si è sicuri che seguirebbe lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato. Ma è proprio così? Sarà davvero possibile votare un anno prima della scadenza?

È noto, ai venticinque lettori del Manzoni, che quando Renzo Tramaglino escogitò un blitz notturno per celebrare comunque il suo matrimonio con Lucia, accadde un disastro: nelle vie della Provvidenza manzoniana le nozze sarebbero infine arrivate, ma per vie molto tortuose e dolorose, con tempi assai più lunghi.

Anche le vie della politica spesso sono così. E – per esempio – già prefigurano, a febbraio, nel caso in cui Draghi vada al Quirinale, non elezioni anticipate, ma un governo-clone, guidato dal ministro Franco (o dal ministro Brunetta), quasi identico al precedente, con Draghi che dal Quirinale continuerebbe di fatto a esercitare un ruolo di guida, come garante – si dirà – del Recovery Fund con la UE.

D’altra parte è proprio ciò che prefigurava un recente editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della sera”: “Mario Draghi si sta trasformando di fatto in una sorta di De Gaulle italiano… Draghi sta dando vita ad una sorta di semipresidenzialismo sui generis, che arieggia per l’appunto quello della V Repubblica gollista”.

Sarebbe un semipresidenzialismo di fatto dovuto alle due emergenze (economica e pandemica) che incombono sul Paese e dovuto alla necessità – avvertita da molti – di non rinunciare (né adesso, né nel 2023) a una figura di garanzia internazionale come Draghi.

È prevedibile che un tale governo di transizione – oltreché dalla necessità di realizzare il piano di rilancio economico – sarebbe motivato dal fatto che probabilmente saremo ancora nell’emergenza pandemica (febbraio è pieno inverno, quindi il periodo peggiore), perciò sarà giudicato pericoloso convocare gli elettori ai seggi, mentre si riterrà necessario continuare la lotta al Covid con un esecutivo pienamente in carica.

Il compromesso potrebbe essere raggiunto su un governo-ponte di sei o sette mesi, ovvero il tempo di arrivare a settembre, quando la pandemia sarà molto attenuata. Cosa che permetterebbe anche ai parlamentari (che in gran parte non torneranno alle Camere visto il “taglio” voluto dai grillini) di maturare così il diritto all’agognata pensione.

L’analista Stefano Folli ritiene che vi sia anche un’altra ragione per proseguire la legislatura (almeno per altri sei mesi): varare una nuova legge elettorale di tipo proporzionale.

In teoria il ritorno al proporzionale potrebbe trovare nelle Camere una maggioranza, ma non sarebbe un’operazione tecnica, bensì politica, mirante a scomporre gli attuali poli o a varare una maggioranza post-voto senza le due ali estreme (nel caso in cui nessuna delle coalizioni ottenesse dalle urne la maggioranza assoluta dei parlamentari).

Difficile che il centrodestra acconsenta. Non converrebbe nemmeno a Forza Italia che oggi – con un’eventuale vittoria del centrodestra – avrebbe un peso decisivo in un futuro governo.

Peraltro il centrodestra potrebbe già fare una scelta importante per il bene del Paese (e anche per il proprio interesse politico).

Dal 1994 si confrontano davanti agli elettori schieramenti che presentano dei “candidati premier”. Ci sono ragioni storiche che hanno originato questa prassi. Ma va sottolineato che è solo una proposta politica, perché la nostra Costituzione e la nostra legge elettorale non prevedono un presidente del Consiglio scelto dagli elettori.

Tanto è vero che in questa legislatura abbiamo avuto solo Capi del governo che non sono neanche parlamentari. Il requisito richiesto è semplicemente ottenere (dopo l’incarico del Quirinale) la fiducia della maggioranza delle due Camere.

Dunque perché continuare con la prassi della seconda repubblica? I tempi sono cambiati. Sia il centrodestra che il centrosinistra potrebbero e dovrebbero una buona volta metter fine all’equivoco, dichiarando onestamente agli elettori che la coalizione vincente proporrà al Presidente della Repubblica il nome di un Capo del governo scelto in base a requisiti di autorevolezza, competenza e coerenza con il programma della maggioranza uscita dalle urne. Se tale maggioranza ci sarà. Altrimenti governeranno maggioranze parlamentari non corrispondenti alle coalizioni che si sono presentate agli elettori (come accade da anni).

Sarebbe auspicabile che tutte le coalizioni facessero questa scelta, evitando di promettere agli elettori qualcosa che non possono mantenere (e che negli ultimi anni, infatti, non si è mai verificato).

Ma sarebbe particolarmente utile al centrodestra, perché questo attenuerebbe la conflittualità tra i partiti alleati per conseguire il primato e permetterebbe di concentrarsi sui contenuti dei programmi presentati agli italiani.

Dalla fine dell’eccessiva personalizzazione il centrodestra avrebbe tutto da guadagnare, anche perché è facilmente prevedibile che – in caso contrario, con gli attuali sondaggi – la Sinistra farebbe tutta la campagna elettorale suonando l’allarme (anche internazionale) sul “pericolo sovranista” e sul “pericolo fascista” rappresentati – a suo avviso – dal possibile arrivo di Matteo Salvini o di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

Ne scaturirebbe un caso internazionale che potrebbe spaventare l’elettorato moderato e che soprattutto altererebbe rovinosamente la campagna elettorale, impedendo un vero confronto politico sui programmi e sui bisogni del nostro Paese.

Finirla con le “guerre di civiltà” e tornare al confronto leale e al rispetto reciproco è vitale. Lo si deve agli italiani.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 12 settembre 2021

 

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