“Il visitatore che entra nella navata di Santa Maria Maggiore si crede trasportato nel mondo antico: è una chiesa cristiana, o il portico di Atene dove i filosofi insegnavano la saggezza? Queste belle colonne ioniche sormontate da un architrave, queste lunghe linee orizzontali, questi vasti spazi esprimono la serenità, e la pace”.

Tomaso Montanari si riconosce in questa pagina di Émile Mâle: “Fin da bambino” scrive nel libro “Chiese chiuse” (Einaudi) – “ho perdutamente amato le chiese. Varcare la soglia delle immense basiliche ombrose della mia città, Firenze, voleva dire entrare in un tempo separato eppure tangibile, vivo, colorato. Come una favola: ma vera, e infinita. Una favola in cui i morti, che abitano sotto il pavimento o nelle grandi arche addossate ai muri, ci parlano; le opere d’arte sono come vivi animali nella tana; Dio è vicinissimo, e il tempo corre avanti e indietro… forme, testi che rendono tangibile, vorrei dire abbracciabile, la Storia. Luoghi di silenzio: pause nella vita di ogni giorno, capaci di suggerire un diverso senso del tempo, un altro ritmo esistenziale. Un riposo dell’anima, e del corpo. Ancora oggi, se chiudo gli occhi, riesco a sentire l’inconfondibile odore umido della mia amatissima Santa Maria Novella, dove sono cresciuto”.

In molti modi si può scrivere un libro sul patrimonio culturale e certamente Montanari, da storico dell’arte impegnato anche nel dibattito civile e politico, li conosce tutti e li sa usare.

Ma la via che ha scelto in questo libro è sorprendente e commovente perché è, anzitutto, una personale dichiarazione d’amore e un sofferto grido (direi pasoliniano).

Infatti premette subito che questo “non è un libro scientifico, di ricerca: è un libro scritto ‘per fatto personale’. Per il dolore viscerale che provo di fronte alla rovina, materiale e morale, di una parte crescente di questo patrimonio, tanto esteso quanto vario. Dunque, l’ho scritto per quello che sono: un cittadino della repubblica, ma anche un cristiano cattolico, credente e praticante”.

Il lettore, guidato da un Montanari che non si aspettava, viene posto davanti a una realtà che non conosceva: “le circa 85.000 chiese storiche italiane, che da sole rappresentano probabilmente la maggior parte del ‘patrimonio storico e artistico della Nazione’ (Costituzione della Repubblica, articolo 9, comma 2), sono un bene pubblico. Almeno da un punto di vista morale”. Ma “oggi, questo straordinario patrimonio pubblico – che contiene alcuni degli apici della storia dell’arte universale – è in gran parte privatizzato nei fatti: cioè negato. Sono sempre di piú le chiese accessibili a pagamento, o destinate ad attività economiche redditizie o addirittura alienate. E sono tantissime quelle di cui siamo privati nel modo piú radicale: a causa del loro abbandono, del loro degrado. A volte, del loro crollo o della loro chiusura”.

L’autore ci accompagna in “una galleria degli orrori, materiali e morali”, ma precisa che il suo “non vuole essere un atto di accusa verso i custodi – quelli religiosi e quelli civili – delle chiese italiane”, perché Chiesa e Soprintendenze hanno fatto spesso l’impossibile.

Tuttavia questo panorama di chiese in rovina o inaccessibili dice molto sul rapporto che abbiamo con la nostra storia (e la nostra fede) e dice molto sulla “nostra stessa idea di società, e di cultura”.

Non è detto che le proposte di Montanari per cambiare strada siano tutte condivisibili, ma la sua passione per questa bellissima e povera Italia sì. È una passione struggente e contagiosa.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 dicembre 2021

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