La barzelletta del giorno è l’ “intesa strategica sul governo del sistema” che Fassino ha consegnato al ritrovato “compagno” Giuliano Ferrara.
Non si possono coglionare milioni di italiani – la metà del Paese – che hanno votato contro la Sinistra, con queste frescacce.
Spero che Berlusconi non si faccia infinocchiare, che non si faccia convincere a suicidarsi votando D’Alema. Invece di proporgli la rosa di nomi, pretendono la resa.
E’ tutto da ridere. Innanzitutto l’esordio ammiccante. Ora e solo ora Fassino scopre che “il centrosinistra ha vinto sul filo di lana”. Ora e solo ora riconosce che “è innegabile che una metà del Paese sia rappresentata dalla CDL” e che “la guerra è finita”.
Come gli è venuta questa geniale illuminazione? Perché solo ora? Perché guarda caso solo ora gli servono i voti del centrodestra per dare una poltrona al “lìder Massimo” della Sinistra, cioè per portare D’Alema al Quirinale e chiudere tutti i giochi del potere per anni, liquidando per sempre il Berlusca e compagnia.
Sarebbe stato serio e credibile se avesse pronunciato quelle parole davanti alla sua folla ululante la notte del 10 aprile, invece lì trionfalmente fu spernacchiata, a scrutinio in corso, l’altra metà d’Italia.
Sarebbe stato ancora credibile se le avesse dette almeno l’indomani, in risposta alla conferenza stampa di Berlusconi che invitava a riconoscere il pareggio e la necessità di larghe intese. Ma neanche allora le disse: nuovo spernacchiamento al Cavaliere.
Poteva dire quelle verità prima di eleggere i presidenti di Camera e Senato, proponendo – di conseguenza – al centrodestra la presidenza del Senato (dove la Cdl ha preso più voti della Sinistra).
Ma non gli conveniva perché i compagni famelicamente volevano avventarsi su tutte le poltrone con la selvaggia lottizzazione che abbiamo visto e il centrodestra doveva essere cacciato a pedate da tutte le istituzioni.
Ora, pappate tutte le poltrone disponibili a maggioranza, è rimasta la più alta e ambita, quella che la Costituzione stessa prescrive che venga assegnata “a maggioranza di due terzi dell’assemblea”, cioè con un accordo generale di maggioranza e opposizione. E allora di colpo Piero, folgorato sulla via di Damasco, scopre che “una metà del Paese è rappresentata dalla Cdl”. Dunque che si fa?
Si sperava che almeno ora, pur fuori tempo massimo, da questa ammissione Fassino facesse derivare la necessità di reperire un candidato di comune accordo con la Casa delle libertà.
Invece no. Avanza questa geniale idea a Berlusconi: noi mettiamo il candidato, voi portate i voti, così noi risolviamo tutti i nostri problemi di lottizzazione e ci “ingurgitiamo” tutto lo Stato italiano (dai Comuni al Quirinale è roba nostra), noi ci prendiamo tutto il potere evitando che D’Alema insoddisfatto terremoti la poltrona del segretario Ds e di Prodi, mentre voi polisti siete fottuti, ma contenti di aver collaborato a suicidarvi.
In soldoni la “proposta indecente” è questa. Naturalmente Fassino poi ha fatto finta di spiegare a Berlusconi che anche lui farebbe un affarone. E sentite come.
Con quattro barzellette una più esilarante dell’altra. La prima è questa: “l’assicurazione che se il governo Prodi dovesse entrare in crisi si tornerà a votare in base al principio tipico delle democrazie dell’alternanza per cui la legittimità di una maggioranza e di un governo viene dal voto dei cittadini”. Ho letto e riletto, non credevo ai miei occhi. Cosa vuole dire Fassino: che D’Alema promette di non fare un colpo di Stato? Beh, bontà sua. Dovremmo ringraziarlo? O forse intende dire che promette di non fare come fu fatto nel 1998 quando cadde l’altro governo Prodi?
Sì, ma allora chi rabberciò al “mercato delle vacche” una maggioranza mai eletta dal popolo sovrano? Proprio un certo D’Alema Massimo che andò a Palazzo Chigi senza il voto degli italiani. Sì, lui stesso.
E allora siamo veramente alle comiche. Si pretende di premiare la faina, che in passato si è pappata una pollastra, mettendola a guardia del pollaio.
Suvvia, Fassino, ci faccia il piacere… Oltretutto questa proposta è fuori dall’attuale Costituzione la quale prevede che il presidente della Repubblica, prima di sciogliere le Camere, debba verificare se esistono altre maggioranze in Parlamento.
Non si può vincolare il prossimo Capo dello Stato a venir meno a un suo dovere costituzionale. E’ assurdo. Ma nella proposta di Fassino c’è una cosa ancora più assurda.
Paradossalmente questa proposta – che non è conforme all’attuale Costituzione – va nel senso di quella riformata dal centrodestra, che ha, appunto, una norma antiribaltone.
Peccato che quella norma sia contestatissima proprio dalla Sinistra. In sostanza, se Fassino e D’Alema volessero davvero assumere questo impegno “antiribaltone” dovrebbero appoggiare il “si” al referendum prossimo. Ma invece hanno intenzioni esattamente opposte.
Così scopriamo, ancora una volta, che i compagni dicono e disdicono allo stesso tempo. Come ci si può fidare? Non è evidente che vogliono turlupinare il centrodestra?

Seconda “geniale” idea fassiniana: “da Capo del Csm un presidente che eserciti la funzione di garanzia operando – come ha fatto Ciampi – per evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica”.
Che vorrebbe dire? Il cortocircuito tra giustizia e politica c’è già stato e tutto a danno di una parte politica.
Quello che dice Fassino è semplicemente il dovere del Capo dello Stato, chiunque sia. Semmai sono lui e D’Alema, come leader Ds, che in questi anni avrebbero potuto (e dovuto) prendere la distanze, per esempio, dal furibondo “giustizialismo” dell’Unità.
Ma l’Unità è il giornale dei Ds. E Fassino e D’Alema si sono fatti riprendere dalle telecamere, il 29 gennaio scorso, mentre, da bravi attivisti, facevano gli “strilloni” dell’Unità per le strade, partecipando alla diffusione speciale che aveva questo slogan: “Diffondi il giornale che dà fastidio a Berlusconi”.
Oggi pretendono che Berlusconi voti lo “strillone” D’Alema al Quirinale? Piuttosto Fassino farebbe meglio a chiedere alla magistratura che si chiarisca fino in fondo la vicenda Unipol e fare anche lui chiarezza.
Dovrebbe ripetere oggi quanto disse l’estate scorsa: “Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto”. Lo disse in estate, ma poi a gennaio protestò quando saltò fuori lo stralcio di una sua telefonata a Consorte, quella famosa dove il leader Ds pronunciava le parole “allora, siamo padroni di una banca?”.
Terzo impegno che D’Alema, secondo Fassino, assume: “sulle grandi scelte di politica estera un presidente che favorisca la massima intesa possibile”. Tradotto: siccome il centrosinistra è diviso sulla politica estera e il governo Prodi potrebbe andare in crisi, D’Alema al Quirinale si darà da fare perché il centrodestra supporti il “Prodino” traballante in nome “dell’immagine internazionale dell’Italia”, come già accadde fra 1996 e 2001 per le missioni in Albania e Kosovo.
Il Polo dovette puntellare il governo e per ringraziamento fu preso a pesci in faccia. Becchi e bastonati. Complimenti, bella prospettiva.
Quarta proposta di Fassino: “All’indomani del referendum che – come noi auspichiamo – boccerà la revisione costituzionale della destra, si riprenda un confronto tra le forze politiche sulle istituzioni che consenta di portare a conclusione una transizione istituzionale da troppi anni incompiuta”.
Questa è tutta da ridere. Fassino, con D’Alema, poteva semmai impegnarsi a non appoggiare più il “no” al referendum, oppure a rispettare il voto degli italiani qualora approvasse la riforma del centrodestra.
Invece nulla di tutto questo. Promette soltanto che – se vincono loro al referendum – si dovrà metter mano a nuove riforme della Costituzione di comune accordo. Bella forza.
Che concessione sarebbe? E soprattutto che c’entra il futuro Capo dello Stato?
Questo è un impegno politico che avrebbe dovuto assumersi il centrosinistra, non un impegno di D’Alema presidente. Non starebbe a lui “aprire una nuova stagione”. Né può candidarsi al Quirinale con quattro punti programmatici. Perché non siamo in una repubblica presidenziale.

Né la Costituzione, né la consuetudine di questi 6o anni prevedono che ci si candidi al Quirinale con un programma politico, anzi il Capo dello Stato è solo il notaio della Repubblica, è solo la figura rappresentativa dell’unità del Paese, non fa politica in proprio. E poi non è la Sinistra che si è sempre opposta al “peronismo plebiscitario” di chi proponeva il presidenzialismo?
Quanto ci si possa fidare degli impegni di questi signori è chiaro. Hanno urlato ai quattro venti che volevano “unire il Paese” e subito dopo la vittoria hanno fatto delle istituzioni la proprietà esclusiva della loro fazione.
Alle pagine 12 e 13 del Programma dell’Unione scrissero: “L’attuale maggioranza di governo ha applicato alle istituzioni una logica ‘proprietaria’ (…) il rischio è quello di uno squilibrio che porti alla ‘dittatura della maggioranza’ (…).
Per rafforzare le garanzie istituzionali eleveremo la maggioranza necessaria per l’elezione del Presidente della Repubblica, garante imparziale della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale”.
Ebbene, si apprestano a fare subito l’opposto, se Berlusconi non collaborerà con loro, imponendo a maggioranza un capofazione al Quirinale.
Più di metà del Paese rifiuta D’Alema Capo dello Stato. Berlusconi se ne ricordi e tenga duro, dia voce a questa Italia.
Se cede, fra l’altro, è la fine sua e del centrodestra.

Fonte: © Libero – 7 maggio 2006

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