Oggi, nella politica italiana, c’è un paradosso di enorme importanza, ma sembra che nessuno voglia vederlo. E c’è un motivo.

Il paradosso è questo: Donald Trump fu decisivo, nell’agosto 2019, per far nascere in Italia il governo Conte 2 (il famoso tweet su “Giuseppi”).

Con il successivo arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, si è creato il contesto politico internazionale che ha propiziato l’avvento, in Italia, del governo Draghi il quale ha riportato al governo il Centrodestra (quantomeno Lega e Forza Italia).

Non è curioso? Il presidente repubblicano che sembrava più in sintonia con il Centrodestra ha dato un contributo decisivo per la nascita del governo più di sinistra della storia recente, quello giallorosso.

Mentre con il presidente Dem, che è in sintonia con la Sinistra (in realtà ha un rapporto di amicizia soprattutto con Matteo Renzi), torna il Centrodestra in maggioranza.

Basterebbe considerare questi due eventi per capire che ci sfuggono alcune questioni fondamentali. Ad essi si aggiunge la “novità Draghi”.

Presentato solitamente dai media mainstream come il campione dell’europeismo ideologico e dell’ideologia mercatista che ha dominato questi decenni, Draghi va esattamente nella direzione opposta: mette in discussione le dogmatiche regole di bilancio europee (la devastante austerità voluta dai tedeschi), elogia il debito pubblico buono (che produce crescita), chiama lo Stato a un intervento massiccio per il rilancio dell’economia aprendo una stagione neo keynesiana (che dovrebbe far inorridire i paladini di Maastricht), afferma il primato della crescita economica “per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici” e s’impone come nuovo leader nella UE con il plauso degli Stati Uniti (oltretutto volendo, nella sua maggioranza, anche il Centrodestra).

Per la verità non era difficile capire che Draghi aveva un pensiero diverso e molto più complesso di quello che gli attribuivano le etichette.

Bastava tenere presente il percorso del suo pensiero economico (dagli studi con Federico Caffè) e bastava guardare al suo capolavoro (l’operazione Quantitative Easing che ha aggirato i Trattati di Maastricht) e ai suoi interventi pubblici dall’autunno 2019 all’estate 2020.

Non a caso, oggi, il simbolo della micidiale “austerità” tedesca, imposta per anni all’Unione Europea, cioè Wolfgang Schäuble, per la seconda volta in poche settimane lancia un altolà a Draghi e all’Italia sul “rigore” dei conti, prefigurando uno scontro epocale nel prossimo futuro.

Ce ne sarebbe abbastanza, per media e analisti, per capire che la realtà è diversa dalla rappresentazione ideologica che di solito ne viene data. E per capire che non solo (per volontà di Draghi e Mattarella) bisogna buttare al macero la demonizzazione del Centrodestra, accettando l’unità nazionale, ma soprattutto bisogna buttare al macero i vecchi schematismi ideologici di questi anni, con il teatrino dove sono messi in scena i cosiddetti “europeisti” e i cosiddetti “sovranisti”, ovviamente attribuendo loro idee caricaturali.

Per convincersi si vada a vedere qual è il vento che soffia oltreoceano e quali sono le idee che stanno dietro la presidenza Biden.

Leggete attentamente questa analisi intitolata “Come rovinare un paese in trent’anni?”. Ecco la risposta di questo studio:

“È vitale comprendere che la crisi economica dell’Italia (…) è una crisi dell’ordine post-Maastricht del capitalismo italiano. Fino agli anni Novanta il paese esibiva una crescita economica relativamente robusta che gli consentì di colmare il divario di reddito medio con i paesi europei più ricchi. Oggi (2018) il differenziale di reddito con la Francia è del 18%, più che negli anni Sessanta, mentre il pil italiano è inferiore del 24% rispetto alla media di Francia, Regno Unito e Germania. (…) L’Italia ha rispettato le regole (contabili) più di Francia e Germania e ha pagato caro per questo: il persistente consolidamento fiscale, la compressione salariale e un cambio reale sopravvalutato ne hanno ucciso la domanda aggregata, dunque la crescita. L’Italia è (…) monito, non esempio per il resto dell’Eurozona”.

Sembrerebbe un’analisi scritta da Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Invece è – spiega Fabrizio Maronta su “Limes” (4/2021) – un’analisi (datata aprile 2019) del “newyorkese Institute for New Economic Thinking – fondato nel 2009 da George Soros e tra i cui finanziatori figurano il Keynes Fund for Applied Economics e Paul Volcker, già capo del Consiglio per la ripresa economica con Obama”.

Il nome di Soros sorprenderà, ma fa capire quanto il mondo reale sia diverso dal teatrino dei media. Sempre nello stesso saggio, su “Limes”, Maronta, oltre a questa, offre altre perle dello stesso genere.

Per esempio, consideriamo il Center for American Progress, “influente pensatoio liberal di Washington fondato nel 2003 da John Podesta, già capo gabinetto di Bill Clinton e responsabile della squadra di transizione di Barack Obama nel 2008-09. Le sue posizioni” scrive Maronta “riflettono quelle dell’ala progressista del Partito democratico di Joe Biden, ma anche di parte della new left”.

Dunque nel giugno 2020 questo influente pensatoio sforna un’ampia analisi sull’Italia che si conclude con la diagnosi e la terapia per il suo rinnovamento:

“Gli Stati Uniti hanno l’opportunità di aiutare l’Italia a ricostruire la sua economia dopo il coronavirus e di fornirle strumenti pratici per lavorare in tal senso con i suoi partner europei. (…) L’Unione Europea non può sopravvivere se l’Italia continua ad affondare, (e) assicurare la stabilità del continente europeo resta interesse vitale degli Stati Uniti. L’Italia è arrivata al Covid-19 in pessimo stato. Dopo la sbornia del debito negli anni Ottanta, il paese ha (…) applicato con zelo i dettami della disciplina contabile in vista dell’ingresso nell’euro e dopo, (…) registrando un attivo del saldo primario per ventiquattro anni degli ultimi venticinque (e) un rapporto deficit/pil intorno al 3% per quattordici anni. Ma questo doloroso sacrificio non ha impedito che il suo debito si attestasse al 130% del prodotto interno lordo, mentre le infrastrutture nazionali si deterioravano (e) il pil pro capite arretrava.

Mi scuso per la lunga citazione e passo alle loro conclusioni: “l’Ue dovrebbe acconsentire a rivedere il Patto di stabilità e crescita per privilegiare la seconda sulla prima, (…) invece di aggrapparsi ad arbitrari parametri fiscali che perpetuano il fardello del debito”.
Un’analisi che il Centrodestra italiano ha fatto da anni e che oggi è imposta a tutti dai fatti e dai numeri. Il sottotitolo del prezioso saggio di Maronta su “Limes” è questo: “Gli Stati Uniti temono che il modello di sviluppo tedesco, di cui la divisa dell’Eurozona è funzione, destabilizzi il loro impero europeo. L’Italia paese chiave. Le radici geopolitiche del neokeynesismo”.

Ora è più chiaro perché vanno buttati al macero tutti i vecchi schemi ideologici? Ora si capisce perché Draghi rappresenta una svolta e un’opportunità storica per l’Italia?

Salvini e Berlusconi lo hanno compreso per primi perché avevano già individuato e combattuto quegli errori dell’austerità europea che oggi sono palesi.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 5 giugno 2021

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