Il comunista Nichi Vendola ha capito il fenomeno Berlusconi meglio (a mio parere) di un intellettuale liberaldemocratico (pur acuto e intelligente) come Ernesto Galli della Loggia.
O almeno ne cerca i punti di forza. E non stupisce perché il Pci era un’ottima scuola di analisi della realtà politica. Mentre nelle accademie intellettuali e nei salotti snob – com’è il Corriere della sera – ci si specchia nelle proprie idee, fra i soliti quattro gatti. Così, anche le loro intelligenze migliori, tendono a raccontare un paese che è solo nelle loro teste e nei loro testi.

Basta confrontare l’analisi del fenomeno Berlusconi fatta da Vendola (in una intervista con Ritanna Armeni), con quella di Galli della Loggia uscita sul Foglio di ieri.
Bisogna tener presente che Vendola sta parlando di un avversario politico a cui egli si oppone molto duramente e a tutto campo. Quindi le sue espressioni, che possono sembrare riconoscimenti, perfino molto lusinghieri, sono in realtà fredde analisi – direi gramsciane – di un fenomeno sociale e politico.

Ecco dunque la diagnosi del leader della sinistra alternativa: “Berlusconi è un individuo geniale. E’ una persona che ha veramente tratti strabilianti, un self made man che riesce a costruire un’intera epopea della vita culturale nazionale”.

Poi il governatore della Puglia fa una revisione autocritica della reazione della Sinistra italiana a questo fenomeno: “Berlusconi è un prototipo di uomo nuovo che si è saputo imporre sulla scena italiana. Noi abbiamo fatto un errore tragico: demonizzarne il personaggio e intenderne poco il meccanismo culturale di riproduzione del consenso”.

Vendola sembra riecheggiare pure una mitica battuta di Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me”. Infatti argomenta: “La sinistra è stata molto contro Berlusconi mentre diventava berlusconiana dentro le proprie viscere e i propri accampamenti. Dico che bisogna essere sempre rispettosi nei confronti delle persone, fossero anche Silvio Berlusconi.

Anzi apprezzare la versatilità e la genialità di un essere umano. Bisogna invece mettere a fuoco e criticare duramente, e conoscere soprattutto, il meccanismo che riproduce il berlusconismo come una specie di narrazione nazionale”.

Che vuol dire “narrazione”, termine recentemente entrato nel politichese di destra e di sinistra? Vuol dire rappresentazione del Paese e di se stessi, della propria vita vissuta, del passato e delle speranze individuali o collettive.

Il governatore della Puglia spiega: “Berlusconi ha vinto, prima che nelle urne nei sogni e negli incubi degli italiani. Ha plasmato la dimensione onirica. La gente ha cominciato a non avere più sogni collettivi ma ha avuto sogni individuali. Quello, per esempio, della figlia velina. La gente non ha avuto più incubi collettivi come la guerra e la crisi ambientale, ma ha avuto incubi individuali come lo zingaro sul pianerottolo. E questa dimensione onirica è il segreto dell’egemonia, del successo berlusconiano”.

Si può discutere sulla profondità di questa analisi, si potrebbe segnalare che quello delineato da Vendola è il passaggio dall’utopia alla borghesia, sebbene Berlusconi stesso coltivi da sempre una passione personale per l’utopia.
Tuttavia a Vendola va riconosciuto il merito di questo nuovo tentativo di comprensione del fenomeno, a 25 anni dal primo sorprendente trionfo elettorale di Berlusconi e alla vigilia della fondazione del più grande raggruppamento politico italiano (paragonabile per dimensioni alla Dc del 18 aprile 1948).

Con analoga serietà, in altre occasioni, anche Massimo D’Alema – penso al famoso seminario di Gargonza – aveva invitato una platea di intellettuali ridanciani e inorriditi a riconoscere l’importanza del fenomeno Berlusconi nella storia nazionale.
E’ curioso che invece, di fronte alla durata e alle dimensioni di questo fenomeno, gli intellettuali liberali come Ernesto Galli della Loggia, che è uno dei migliori osservatori della realtà italiana, siano ancora fermi ai vecchi preconcetti e ai luoghi comuni.
Ieri sul Foglio, Galli si è comodamente sdraiato nella soporifera poltrona del “già detto”, cioè la solita solfa del “partito di plastica” (formula datata 1994), salvo rinfrescare un po’ l’aspetto sbiadito con l’aggiunta di una battuta: “come tutti sappiamo la plastica è indistruttibile e può durare cent’anni”.

Naturalmente Galli non dice sciocchezze. Le sue considerazioni (sulla classe dirigente, sulla sua selezione, sul tipo di partito e la sua democrazia interna) fanno riflettere.
Ma siamo alla cronaca e viene da chiedersi quando mai i partiti italiani (pensiamo alla prima repubblica) abbiano brillato per le procedure democratiche e la selezione della leadership.
Da Galli della Loggia ci aspetteremmo però soprattutto una riflessione sulla lunga durata, sulla storia del Paese, sulla società italiana e sulle mutazioni epocali.
Possibile che non faccia riflettere, anche per il suo valore simbolico – per dire – l’ultimo storico risultato conseguito da Berlusconi: la totale scomparsa dal parlamento dei comunisti (e dei verdi), per la prima volta nella storia repubblicana?

E non è un fenomeno rilevante l’evoluzione democratica definitiva di post-missini e post-Pci? E la nascita di un partito del centrodestra che sfiora il 50 per cento e di fatto è classe dirigente da 15 anni è un evento che si possa liquidare con una battuta?

Berlusconi può essere simpatico o antipatico, la sua politica può piacere o non piacere, può perfino preoccupare, ma a intellettuali attenti – come quelli che fanno gli analisti sui grandi quotidiani – non dovrebbe sfuggire l’enormità delle novità da lui prodotte nella storia italiana. Per esempio la sconfitta politica – oltreché del comunismo italico – del giustizialismo e del “sessantottismo”.

E anche l’arrivo al governo del Paese di una borghesia che inalbera idee liberaldemocratiche, quando per 50 anni è stata a rimorchio della Dc e, quella più aristocratica, la casta della finanza e dell’industria, ha fatto “ammuina” col Pci e con la Cgil, sostenendo la cultura comunista anziché quella liberaldemocratica.
Si potrebbe aggiungere la sintesi fra cultura laica e cultura cattolica, fra regionalismo-federalismo e orgoglio nazionale (sentimento finalmente sdoganato), l’originalità culturale espressa soprattutto da Tremonti in relazione alla crisi economica e ai nuovi scenari internazionali.

Infine la felice dissidenza rispetto all’Europa delle fallimentari tecnocrazie tristi e giacobine.
Insomma Berlusconi ha cambiato l’Italia: lo sta dicendo la sinistra. E’ possibile che prima o poi se ne accorgano anche al Corriere della sera? E’ possibile chiedere una sforzo di comprensione del cambiamento in corso che vada oltre l’uscita di scena di Marzano o Scognamiglio?

Fonte: © Libero – 27 marzo 2009

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