CON IL CASO VIGANO’ E’ DEFINITIVAMENTE ESPLOSO IL “CASO BERGOGLIO”
Il maldestro e inaudito tentativo di strumentalizzazione di Benedetto XVI – con cui né Bergoglio, né Viganò si sono scusati (vedi QUI ) – ha messo in luce la radicale rottura tra l’argentino e il magistero precedente. E ha reso evidente la gravissima crisi di legittimazione dello sgangherato pontificato sudamericano. Che – perduti i referenti imperiali (Obama/Clinton) – oggi è allo sbando e arranca. La stessa Curia comincia a preoccuparsi drammaticamente degli ulteriori danni che potrà subire la Chiesa, già prostrata da cinque anni di bombardamento anticattolico. Nel commento che segue ricostruisco il senso degli eventi di queste ore.
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Mons. Dario Viganò, responsabile vaticano per la comunicazione, si è dimesso per le omissioni relative alla lettera di Benedetto XVI. Problema risolto? Al contrario. Perché dall’inizio della vicenda è evidente che non c’era (solo) un “caso Viganò”, ma (soprattutto) un “caso Bergoglio”.
Il “caso Viganò” sta nel dilettantismo con cui è stata gestita l’operazione, con trovate puerili e paragrafi di Ratzinger silenziati (in quel Vaticano che pontifica contro le fake news e l’informazione parziale).
Il “caso Bergoglio”, molto più grave, consiste nel tentativo fatto da Bergoglio, attraverso Viganò (che è un suo fedelissimo esecutore), di ottenere da Benedetto XVI un clamoroso endorsement. In pratica voleva che papa Ratzinger approvasse pubblicamente la sua “rivoluzione”.
Quando il papa emerito ha risposto a Viganò che non era disposto a fare l’endorsement e che non aveva nessuna intenzione di leggere i libretti apologetici su Bergoglio, anzi era indignato perché avevano chiamato a elogiare il papa argentino chi negli anni scorsi “attaccò in modo virulento” il papato suo e di Giovanni Paolo II, a Santa Marta hanno masticato amaro.
E’ noto infatti che poco prima Benedetto XVI aveva scritto una bellissima e densa prefazione a un libro del card. Sarah. In quel caso l’endorsement c’era stato ed entusiasta.
Invece Benedetto XVI agli emissari di Bergoglio aveva risposto un secco “no”, incartato in due frasi di cortesia. Bergoglio avrebbe dovuto prendere atto del no e far riporre la lettera di Benedetto XVI, che era “riservata e personale”, nel cassetto.
Invece è stato deciso di usarla comunque per lo scopo iniziale. Così hanno raccontato al mondo che Benedetto XVI aveva fatto un clamoroso endorsement per papa Francesco, attaccando i suoi critici ed esaltandone la sapienza teologica (è noto che non ha nemmeno il dottorato in teologia).
Un’operazione tanto spregiudicata (trasformare un no all’endorsement, in un sì) non è stata certo decisa da mons. Viganò.
Solo il suo principale poteva, tanto è vero che Bergoglio lo ha sempre difeso e nelle lettere che i due si sono scambiati ieri non c’è critica o ammissione di colpa.
Mons. Viganò dice che si dimette solo perché “si sono sollevate molte polemiche” e lui non vuole danneggiare le riforme bergogliane.
In pratica vogliono evitare una vera operazione trasparenza che esigerebbe ora di pubblicare la lettera del 12 gennaio con cui Viganò chiese a Benedetto XVI quell’endorsement. Da lì si capirebbero molte cose: sia del coinvolgimento di Bergoglio, sia della risposta di Benedetto XVI.
Le dimissioni di Viganò dunque non servono a fare chiarezza su una vicenda sconcertante, ma solo a mettere tutto a tacere.
Perché il regista di tutta l’operazione è stato Bergoglio. Infatti, nella lettera di dimissioni, Viganò non ammette alcun suo errore e dice di poter contare sulla stima di Bergoglio, manifestatagli “anche nel nostro ultimo incontro”.
E Bergoglio in sostanza gli risponde: accolgo a malincuore le tue dimissioni, ma solo perché ci hanno beccato con le mani nella marmellata. Tuttavia lo ricompensa dicendogli “di proseguire restando presso il Dicastero” e inventando per lui la carica di “Assessore… per poter dare il suo contributo umano e professionale al nuovo Prefetto”.
Infine Bergoglio conferma il “progetto di riforma” dei media portato avanti da Viganò di cui elogia l’operato e addirittura il suo “profondo sensus ecclesiae”.
Evidentemente ritiene lodevole il fatto che si sia fatta passare una risposta negativa di Benedetto XVI per un endorsement a suo favore.
E giudica lodevoli pure quei libretti sui quali perfino un bergogliano come Luis Badilla, del sito paravaticano “Il Sismografo”, aveva sollevato grosse domande.
Secondo Badilla, mons. Viganò e il responsabile della Libreria editrice vaticana, “in merito al gigantesco pasticcio della lettera del Papa emerito, letta e diffusa con omissioni e tagli non accettabili in generale secondo l’etica giornalistica e, a maggior ragione, più insopportabili quando si tratta di un documento di un ex vescovo di Roma, sono chiamati anche a spiegare – oltre alla manipolazione della lettera – un’altra questione ugualmente delicata”.
Badilla chiede “come è possibile che la Lev” abbia incluso fra i teologi, chiamati a elogiare il pontificato di Bergoglio, nomi per cui Benedetto XVI si esprime così severamente.
“Come è stato possibile” chiede Badilla “dare tribuna ad un teologo fondatore di un’organizzazione contraria apertamente al magistero pontificio? Le parole di J. Ratzinger al riguardo sono come un macigno e si devono trarre le conseguenze”.
Invece Bergoglio non trae nessuna conseguenza negativa e seppellisce queste dure domande di Badilla.
Anzi, Bergoglio ha solo parole di approvazione ed elogio per Viganò e per il suo “sensus ecclesiae”, quindi per tutta l’operazione.
Che però è saltata. Un colpo durissimo per il papa argentino. Non dovuto certo allo spirito critico dei maggiori giornali italiani, ma solo alla pressante ricerca della verità della rete e dei blog.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 22 marzo 2018
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