Don Luigi Verzè è un benemerito della medicina e della scienza, grazie al suo Ospedale San Raffaele (e tutto ciò che è cresciuto attorno). Ma gli scivola la frizione appena vede un giornalista. Forse dovrebbe lasciar perdere le dichiarazioni se, ogni volta, deve rincorrere le agenzie per precisare.
Ieri con una sua intervista al Corriere della sera si è meritato un titolo bombastico in prima pagina: “Don Verzé: staccai la spina per lasciar morire un amico”.
Mentre divampano le polemiche sull’eutanasia naturalmente ha fatto il botto.
Devastante dal punto di vista cattolico. Così, di fronte al clamore suscitato (e allo scandalo, almeno fra molti credenti), don Verzè è dovuto correre ai ripari con una dichiarazione all’Ansa che sembra una mezza marcia indietro.
Era già successo una cosa analoga nel 2005. Anche allora eravamo in un momento incandescente: alla vigilia del referendum sulla legge 40 per la procreazione assistita. Il 2 febbraio il Corriere della sera uscì con un’intervista a don Verzè che aveva questo titolo: “Fecondazione, i cattolici possono anche votare sì”.
Era l’opposto di ciò che stava dicendo la Chiesa. Grande esultanza dei radicali. Due giorni dopo una letterina dello stesso sacerdote al Corriere va a cavillare sulle sue dichiarazioni per “chiarire” ed evitare “interpretazioni errate”. Ma i buoi erano già scappati.

Una volta può essere un caso, ma due no. Sarà ingenuità? Smania di finire sui giornali? No. Don Verzè è un grande manager e sarebbe sciocco e ingiusto considerarlo un ingenuo, una sprovveduto o un’esibizionista.
Dunque bisogna prenderlo sul serio. Infatti dietro quelle dichiarazioni c’è un preciso pensiero. Che ha illustrato in una strana paginetta del suo recente libro intervista “Pelle per pelle”.
Il titolo: “Dieci pensieri per il prossimo Papa”. Scritti poco prima della morte di Giovanni Paolo II.
Don Verzè indicava lì al futuro papa tutte le svolte da lui auspicate.
Tra mille trovate (come un nuovo Concilio, lo spostamento della capitale d’Italia da Roma e le “esperienze teopatiche di Maometto”) ce n’è abbastanza per demolire la Chiesa.
Naturalmente si segnalava la necessità (per don Verzè) di ribaltare le posizioni tradizionali sul “celibato dei preti” e la “procreazione assistita”.
Come si vede dunque le interviste – sebbene poi mezze smentite – riflettono delle convinzioni. Che poi appartengono quel fronte cattolico genericamente definibile “progressista” che è stato all’opposizione di Giovanni Paolo II, che sperava di rialzare la testa col nuovo Papa e che si è trovato sulla Cattedra di Pietro quello che considerava il suo nemico supremo: Joseph Ratzinger, cioè Benedetto XVI.

Marco Damilano, nel suo recentissimo libro “Il partito di Dio”, sostiene che fu lo stesso Karol Wojtyla, quattro mesi prima della morte, a “designare” informalmente Ratzinger come suo successore.
Sarebbe accaduto in una riunione avvenuta l’8 gennaio 2005: il Papa fece “capire agli uomini più influenti della curia che spettava a Ratzinger raccogliere il suo testimone”.
Peraltro l’immensa folla commossa che, quattro mesi dopo, spontaneamente, accorse a San Pietro per testimoniare il proprio amore a papa Wojtyla, sorprese i cardinali e in qualche modo fece sentire ai porporati che si preparavano al Conclave che il popolo di Dio non avrebbe potuto accettare rotture e che voleva continuità.
Era la conferma della “designazione” di Papa Wojtyla (del resto vox populi, vox Dei). Così dal Conclave uscì eletto il cardinal Ratzinger.
Il quale ha sorpreso chi non lo conosceva, per la mitezza e il fascino della sua predicazione, ma ha dato anche segnali precisi che hanno terrorizzato i progressisti: basta con l’ecumenismo confuso che rischia il sincretismo e dissolve l’identità cristiana (ben prima del discorso di Ratisbona andava in questo senso già la destituzione di monsignor Fitzgerald dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso);
inoltre – è notizia dei giorni scorsi – il Papa vuole il recupero della tradizione cattolica anche nella liturgia di san Pio V (proibita nel dopo Concilio). A questo si è accompagnata la decisione del pontefice di emarginare certe lobby della Curia, che – insieme ai progressisti – hanno considerato il discorso di Ratisbona come un “passo falso” del papa e quasi un punto a loro favore.

Infatti dopo la violentissima aggressione contro il Santo Padre di tutto il mondo musulmano, con insulti e perfino condanne a morte, il Pontefice non è stato confortato da grande solidarietà del mondo cattolico, soprattutto progressista. Anzi, alcuni hanno rimproverato lui.
Nessun vescovo ha organizzato momenti di preghiera per lui o iniziative di solidarietà. Il cardinal Martini ha rilevato gelidamente che il Santo Padre “ha parlato più da professore”. Chi ha orecchi intenda.

E con il cardinal Martini torniamo al “caso don Verzè”. Perché la sua intervista di ieri intendeva illustrare proprio il conferimento della laurea “Honoris causa” in Medicina e chirurgia all’ex vescovo di Milano da parte dell’Università Vita-Salute del San Raffaele.
La motivazione sarebbe in quel “Dialogo sulla vita” del cardinale con Ignazio Marino (medico e parlamentare Ds) pubblicato in aprile sull’Espresso.
“Martini ha ragione”, dice don Verzè.

Il vaticanista dell’Espresso, Sandro Magister, sottolineò che quel “dialogo” fu lanciato proprio “negli stessi giorni in cui i media di tutto il mondo illustravano e commentavano il primo anno da papa di Benedetto XVI ”.
Magister aggiunse: “Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, il cardinale Martini è stato universalmente considerato come il più autorevole esponente dell’opposizione ‘progressista’. E il medesimo giudizio continua a circolare, su di lui, anche in rapporto al papa attuale”.
Magister sottolineò tutti i punti di bioetica su cui Martini si smarcava o si opponeva all’insegnamento del Papa e concludeva che quello del cardinale di Milano era “il primo grande atto di opposizione a questo pontificato, ai livelli alti della Chiesa”.
Oggi don Verzè afferma che “Martini ha ragione”. Al di là della vicenda del fondatore del San Raffaele, che forse è estraneo a queste vicende ecclesiastiche, è evidente che l’opposizione a Benedetto XVI dà segnali di battaglia.
La direzione è sempre quella. Ieri la Repubblica ha proposto la “Lectio magistralis” di Martini per la laurea del San Raffaele.
L’ex vescovo di Milano illustra il “Gesù guaritore”: se non erro non c’è neanche una volta la parola “miracolo”.
Come se Gesù avesse guarito il cieco nato e il paralitico o avesse resuscitato la bimba di Naim perché aveva preso una laurea in medicina.
Fra i biblisti oggi più potenti sembra sia proibito parlare dei “miracoli”. Che il soprannaturale vada espunto dai Vangeli è un pensiero esegetico nato in ambiente protestante: dopo il Concilio, però, è dilagato nella teologia cattolica.

Il grande Henri De Lubac – che certo fu un uomo del Concilio – dette un giudizio drammatico su ciò che era accaduto: “Il dramma del Vaticano II consiste nel fatto che invece di essere stato gestito dai santi – come fu il Tridentino – è stato monopolizzato dagli intellettuali.
Soprattutto è stato monopolizzato da certi teologi… In questo senso il dopo-Vaticano II ha rappresentato la vittoria del protestantesimo all’interno del cattolicesimo”.
Benedetto XVI è considerato il Nemico da chi vuole la vittoria del protestantesimo dentro la Chiesa.

Fonte: © Libero – 14 ottobre 2006

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