Adesso che perfino Umberto Eco nel suo libro “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” ha “consacrato” la tesi di Felice Vinci, che colloca nel Baltico, in Scandinavia e nel Mare del Nord le vicende dell’Iliade e dell’Odissea, possiamo davvero dire che sta per essere rivoluzionata la storia della civiltà europea.

Non credevo che sarebbe accaduto così velocemente, tredici anni fa, quando lessi (e commentai) il libro di Vinci “Omero nel Baltico” (Palombi), un volume di quasi 500 pagine, pieno di sorprese, che lanciava quella tesi nuova e affascinante.

In sostanza Vinci sostiene che quelle saghe nordiche, fiorite con l’età del bronzo nel II millennio a.C., poi fissate in potente poesia da Omero, a causa di un grande cambiamento climatico furono portate a Sud dall’emigrazione di “biondi navigatori” che si stabilirono sull’Egeo e lì – dando vita alla civiltà micenea – ricostruirono il loro mondo con i relativi toponimi.

La tesi sembrava a prima vista pazzesca, ma Vinci accumulava, nel suo libro, una tale quantità di prove che era impossibile non prenderlo sul serio. Anche perché risolveva una serie di storiche incongruenze contenute nella versione tradizionale.

Del resto il libro si presentava con una prefazione di Rosa Calzecchi Onesti che era un’autorità indiscussa, trattandosi della traduttrice ufficiale dei poemi omerici in Italia.

Il mio lungo articolo (uno dei primi in Italia sulla tesi di Vinci) uscì il 31 marzo 2001 sul “Giornale” con questo titolo: “L’Odissea trasloca in Scandinavia”.

Ricordo che riscosse grande interesse da parte dei lettori, ma qualche addetto ai lavori mi scrisse, indignato, ritenendo una bestemmia la tesi di Vinci.

Il quale ha pure la “colpa” di essere un outsider, esercitando il mestiere di ingegnere nucleare. In realtà la sua formazione classica e la sua passione per i poemi omerici gli hanno permesso di scoprire quello che, per secoli, legioni di addetti ai lavori non hanno saputo cogliere.

E’ uno dei classici casi di genio italiano. Da allora la tesi di Vinci ne ha fatta di strada. L’ho seguito, anno dopo anno, in questa sua continua ricerca che ha accumulato conferme sempre più solide e ha guadagnato consensi sempre più vasti e autorevoli.

Il libro ha cominciato ad essere tradotto all’estero (Russia, Stati Uniti, Estonia, Svezia, Danimarca). L’autore è stato invitato a parlare nelle università straniere (da Vancouver a Riga) e italiane (Pavia, Padova, Roma).

Ha esposto le sue tesi in diversi Istituti di cultura e nel 2004 fu invitato all’Accademia delle scienze di San Pietroburgo a presentare l’edizione russa del volume. Nel 2007 il libro è diventato materia di studio al Department of Classics del Bard College di New York. Nello stesso periodo veniva recensito su “ARION. A Journal of Humanities and the Classics” dell’Università di Boston.

Naturalmente la Scandinavia e la Grecia si sono dimostrate molto interessate alla nuova tesi. Infatti nel 2007 nella finlandese Toija (avete capito bene: il paese che sorge dove anticamente – per Vinci – sorgeva Troia) si è tenuto un importante simposio scientifico sulle tesi di Vinci. E un altro è stato realizzato nella stessa località il 23 e 24 luglio 2011.

Nel marzo 2008 Vinci fu invitato anche ad Atene a esporre le sue tesi alla International  Conference on Mediterranean Studies, promossa dall’Athens Institute for  Education and Research.

Pure l’Università di Roma gli ha dedicato un convegno nel 2012. Perché nel frattempo diversi studiosi italiani si erano “allertati” su quella che potrebbe rivelarsi una delle più straordinarie scoperte archeologico-letterarie di tutti i tempi.

Non c’è solo la Calzecchi Onesti che giudica “convincenti” le ipotesi di Vinci e lealmente invita ad approfondirle ed eventualmente ad accettare “cambiamenti che sconvolgono le nostre idee”.

Ma si è mostrato interessato – per esempio – un grande critico letterario del calibro di Pietro Boitani, che partecipò al simposio Toija del 2007.

E un autorevole geografo come Claudio Cerreti sul “Bollettino della Società Geografica Italiana”, a proposito del libro di Vinci, scriveva: “L’autore propone una  serie di ipotesi molto ragionevoli e molto razionalmente esposte,  inanellando una serie impressionante di indizi (…). Libro stupefacente  e spesso molto godibile”.

Addirittura entusiastico appare poi il consenso di un altro importante critico letterario come Edoardo Sanguineti che, in un articolo di qualche anno fa, dopo aver passato in rassegna le ragioni di Vinci, concludeva:

“Non Omero, ma tutta la civiltà greca delle origini, e tutti i miti classici, ci sono arrivati di là, tra Circolo Polare Artico e Mare del Nord, da Helsinki e dintorni. L’archeologia avrà l’ultima parola, ma, per intanto, non intendo taciteggiare, astenendomi dal ‘confirmare’ come dal ‘refellere’. Non refello niente, e scommetto che il Vinci può vincere”.

Ora poi è uscito anche un volumone, la prestigiosa rivista di filologia classica fondata da Ettore Paratore – “Rivista di cultura classica e medievale” – la quale ha dedicato un numero monografico al tema “La Scandinavia e i poemi omerici”. Ovvero alla tesi di Vinci.

Che ne esce potentemente arricchita di ragioni. Infatti ci si rende conto, ormai in diverse discipline, che è da buttare il vecchio paradigma per cui la culla della civiltà sarebbe stata l’area che va dalla Mesopotamia, all’Egitto e all’Egeo.

Sir Colin Renfrew, professore a Cambridge, ha scritto:

“Molti di noi erano convinti che le piramidi d’Egitto fossero i più antichi monumenti del mondo costruiti in pietra, e che i primi templi fossero stati innalzati dall’uomo nel Vicino Oriente, nella fertile regione mesopotamica. Si riteneva anche che là, nella culla delle più antiche civiltà, fosse stata inventata la metallurgia e che, successivamente, le tecnologie per la lavorazione del rame e del bronzo, dell’architettura monumentale e di altre ancora, fossero state acquisite dalle popolazioni più arretrate (…) per diffondersi poi a gran parte dell’Europa e al resto del mondo antico. Fu quindi un’enorme sorpresa” sottolinea Sir Renfrew “quando ci si rese conto che tutta questa costruzione era errata. Le tombe a camera megalitiche dell’Europa occidentale sono ora considerate più antiche delle piramidi (…). Sembra inoltre che in Inghilterra Stonehenge fosse completato e la ricca età del Bronzo locale fosse ben attestata, prima che in Grecia avesse inizio la civiltà micenea. In effetti Stonehenge, struttura straordinaria ed enigmatica, può a ben diritto essere considerato il più antico osservatorio astronomico del mondo. E così ogni assunto della visione tradizionale della preistoria viene contraddetto”.

Lo studioso inglese conclude:

“Le nuove datazioni ci rivelano quanto abbiamo sottovalutato quei creativi ‘barbari’ dell’Europa preistorica, i quali, in realtà, innalzavano monumenti in pietra, fondevano il rame, creavano osservatori solari e facevano altre cose ingegnose, senza alcun aiuto dal Mediterraneo orientale”.

Che i greci e la loro antica civiltà, come afferma Vinci, discendano dalle genti del Baltico e della Scandinavia oggi è scoperta doppiamente clamorosa.

Perché svela pure quanto il Nord e il Sud dell’Europa siano legati e frammisti e quanto sia forte e plurimillenaria l’identità culturale unitaria di questo continente, sebbene le varie tecnocrazie europee attuali si diano da fare per demolirla.

Torniamo dunque a rileggere le vicende di Troia per dimenticare la Troika, ossia quel triunvirato senza memoria e senza identità che ha imposto il suo diktat alla Grecia e a tutta l’Europa, riuscendo a far montare nel vecchio continente l’onda dell’antieuropeismo.

La grande storia dell’Europa prevarrà sulla meschina cronaca. In modo singolare è così confermata l’intuizione di Charles Péguy secondo cui “Omero è nuovo stamattina e niente è così vecchio come il giornale di oggi”.

 

 

Antonio Socci

 

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www.antoniosocci.com

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