Il famoso teorico della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1980) è tanto spesso citato quanto poco letto. Dovunque si sente ripetere la sua metafora del “villaggio globale” o la sua celebre definizione: “il mezzo è il messaggio”.

Concetto compreso poco e male, a proposito del quale McLuhan afferma: “in Gesù Cristo non ci fu distanza tra il mezzo e il messaggio, anzi è l’unico caso in cui si possa dire che il mezzo e il messaggio s’identificano perfettamente”.

Infatti non c’è una “filosofia” del Vangelo che prescinda dalla persona di Cristo. Nessun suo “insegnamento” – quello dell’amore o le Beatitudini o il concetto di Regno di Dio – si può isolare da lui perché “è” la sua stessa persona.

Da lui deriva e a lui rimanda tutto ciò che è vero, buono o bello. Sono tessere del mosaico che è lui stesso e non si possono capire né vivere se non guardando lui e seguendo lui.

“Suggerisco che la nostra fede nell’Incarnazione” dice McLuhan “abbia un’immediata rilevanza sull’arte, la scienza e la filosofia. Con l’Incarnazione tutti gli uomini sono stati portati nella poesia di Dio, la Ragione Divina, la Parola, il Figlio. Ma solo i Cristiani lo sanno. E sapendolo, la nostra poesia, il nostro potere di incarnazione e trasformazione del mondo, diventano un assaggio dell’Incarnazione Divina e del Vangelo”.

Parlando alla Chiesa di oggi, preoccupata soprattutto di inventare “i mezzi”, i modi, i metodi, il linguaggio per evangelizzare (con l’ansia di non essere abbastanza moderna e attuale), McLuhan – che fu peraltro un consultore al Concilio Vaticano II – la invita a smettere di considerare la comunicazione in se stessa e guardare piuttosto a ciò che opera il messaggio: l’avvenimento di Cristo che continua ad accadere nel mondo.

Infatti spiega: “Dire che il Verbo si è fatto carne in Gesù Cristo, è un’affermazione teologica, è la forma (nel senso di Gestalt). Ma dire che Cristo raggiunge tutti gli uomini, i vagabondi, i mendicanti, i reietti, significa parlare del fondo, cioè di tutta la moltitudine degli effetti secondari che noi non afferriamo facilmente. Infatti soltanto al livello del cristianesimo vissuto il mezzo è realmente il messaggio: solo su questo piano lo sfondo e la forma si incontrano”.

Quindi l’Incarnazione, l’avvenimento di Cristo, la sua presenza “fra noi”, è al tempo stesso il contenuto dell’annuncio cristiano e la sua concreta modalità di comunicazione. Il “mezzo” è la sua stessa presenza misteriosa nella storia.

Sono alcune delle considerazioni che troviamo nel volume che raccoglie suoi testi e interviste “La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione”(Armando), curato da Eric McLuhan e Jacek Szklarek, con un’introduzione di Gianpiero Gamaleri.

Il libro racconta anzitutto come è avvenuta la conversione di McLuhan. Il figlio spiega: “Mio padre attribuiva spesso la sua conversione all’influenza di due scrittori, san Tommaso d’Aquino e G. K. Chesterton”.

Una conversione intellettuale? Non solo. Non si entra nella Chiesa perché si è “d’accordo”. Dice McLuhan:

“Non sono arrivato alla Chiesa con supponenza. Sono entrato in ginocchio. È il solo modo per entrare. Quando le persone iniziano a pregare, hanno bisogno di verità: è tutto. Tu non arrivi alla Chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la Chiesa, possiamo dire che hanno smesso di pregare. La Chiesa non è un’istituzione intellettuale. È un’istituzione sovrumana”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 5 agosto 2923

 

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