Sembrerà incredibile, ma si deve sapere che l’Italia va: veloce e anche di corsa. La notizia sorprendente è questa, sebbene nascosta o sepolta nelle pagine dei giornali piene di catastrofismi, lamentazioni e cupe previsioni.

A leggere i quotidiani infatti sembra che il nostro Paese sia sempre sull’orlo del baratro, che la bancarotta sia dietro l’angolo, che il degrado generalizzato incomba su di noi. Pare che ci aspetti la completa disfatta.

Poi – nel frastuono di questa marcia funebre – emergono i dati reali della nostra economia e sono così stupefacenti e clamorosi che quasi non si crede ai propri occhi.

Scopriamo infatti che l’Italia vera – l’Italia che lavora, che crea, che costruisce – va molto meglio di quanto si legge sui giornali e anzi va addirittura più forte di coloro che consideriamo vere potenze economiche.

Ieri, per esempio, si è saputo (da Ministero del lavoro,  Banca d’Italia e Anpal) che – pur con il pesantissimo rincaro dell’energia – abbiamo recuperato completamente il crollo occupazionale dovuto al Covid e in due anni, 2021-2022, il settore privato ha creato circa un milione di nuovi posti di lavoro. Oltretutto si tratta perlopiù di assunzioni a tempo indeterminato. Del resto a novembre – in piena tempesta energetica – il fatturato dell’industria ha realizzato un + 0,9 per cento (la crescita su base annua è dell’11,5 per cento).

Secondo i dati di “Intesa San Paolo”, nel terzo trimestre del 2022 (quando i costi dell’energia erano altissimi), i nostri distretti industriali sono cresciuti del 19,6 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2021. Abbiamo fatto “meglio dei distretti della manifattura tedesca”, ha commentato Oscar Giannino che, di solito, non è proprio una voce ottimista e tranquillizzante.

Lo stesso Giannino cita un altro studio da cui emerge che l’industria metalmeccanica italiana “ha risposto meglio di quella tedesca allo tsunami dei prezzi energetici e global value chain: fatto 100 il livello 2015 della produzione metalmeccanica esclusa l’auto, oggi è a 110 in Italia e a 103 in Germania”.

Si potrebbe obiettare che una rondine non fa primavera. Ma questi non sono dati episodici. Il primo a esplorare e raffigurare questa sorprendente realtà è stato l’economista Marco Fortis che in un suo lunghissimo saggio sul “Foglio”, il mese scorso, ha fatto notare che l’aumento del Pil dell’Italia nel 2021-2022 potrebbe toccare il 10,9 per cento con un incremento senza eguali tra i Paesi del G7 (e con ricadute positive sull’indice della diseguaglianza e su quello relativo al rischio di povertà).

Sintesi di Giuliano Ferrara: “l’Italia economica cresce forse più della Cina e non teme il confronto con la Germania, con la Francia, con la Spagna, con il Regno Unito”.

Ecco alcuni flash dal saggio di Fortis: nel periodo suddetto “l’Italia è stato l’unico paese del G7 il cui pil è sempre cresciuto congiunturalmente, cioè trimestre su trimestre”. E “la forte crescita economica ha permesso all’Italia anche di ridurre significativamente il rapporto debito/pil”.

Secondo flash: “economisti e previsori, italiani e stranieri,  hanno regolarmente sbagliato tutte le previsioni sull’economia italiana degli ultimi due anni”.

Terzo flash: “Quelli che per anni erano stati considerati erroneamente dei limiti del nostro sistema manifatturiero, cioè non possedere grandi gruppi industriali ed essere poco presenti in alcuni grandi settori (…), si sono rivelati nell’attuale scenario uno straordinario vantaggio competitivo. Infatti con la sua struttura produttiva costituita da tante nicchie di eccellenza, senza settori dominanti, basata su imprese medie e medio-grandi molto dinamiche, l’Italia non ha patito le battute d’arresto della grande industria dell’auto tedesca o dell’elettronica asiatica, rimaste a corto di componentistica”.

Anche il fatto che nostro modello produttivo fosse “meno delocalizzato di quello di altri paesi” e “strutturato per filiere corte dentro i distretti” si è rivelato un punto di forza.

Tutto questo, poi la “maggiore produttività” e l’“accresciuta competitività… hanno portato l’Italia ad essere nel 2021 il sesto paese al mondo per surplus di bilancia commerciale esclusa l’energia”. Fortis parla di “unicità del modello italiano” esponendo molti altri dati positivi.

Perfino Federico Fubini – che dice di sé: “sono un insopportabile pessimista” – ha dovuto prendere atto dei dati e, sul “Corriere della sera”, ha riconosciuto che “l’Italia va molto meglio di come chiunque pensasse. La nostra economia da un po’ di tempo sorprende, in positivo” e “sta smentendo in meglio le attese di tutti i previsori. Anche di quelli ufficiali”.

Dei dati che anch’egli snocciola colpisce quello sulle “variazioni dell’export in euro a valore costante dalla fine del 2019 alla fine del 2022, secondo la banca dati della Commissione europea: Germania +0,9 per cento, Francia +2,5 per cento, Spagna +7,3 per cento, Italia +8,8 per cento”.

Giuliano Ferrara liquidando – con questi dati – “scemenze e piagnistei”, dopo aver sottolineato qualche merito del governo Renzi (che per l’attuale PD pare una stagione da rinnegare), scrive che ora tocca a Giorgia Meloni, col suo governo legittimato dal voto, sostenere questa Italia “sulla strada che ha clamorosamente chiuso alle lamentazioni decliniste con numeri da capogiro”.

La premier deve anzitutto evitare i colpi che arrivano o possono arrivare dall’Europa (dalla politica della Bce sui tassi alle idee della UE su case e auto fino alla possibile revisione peggiorativa del Patto di stabilità). E deve pure riuscire a ottenere una ridefinizione del vecchio Pnrr, oggi non più adeguato.

Ma, iniziando a realizzare a soli cento giorni dall’esordio il “Piano Mattei”, tramite gli accordi stipulati con i Paesi africani per fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa, la Meloni si mostra in sintonia con questo nostro sorprendente Paese che lavora e che corre.

Sarebbe il caso che anche i giornali spedissero degli “inviati nella realtà” per cominciare a raccontare questa Italia che nessuno aveva previsto.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 gennaio 2023