PAPALE PAPALE

La sinistra aveva pensato di aver finalmente trovato il suo leader globale in papa Francesco (come più volte è stato ripetuto). Ora si sta accorgendo che l’interessato non si fa “arruolare” e non sta in nessuno schema ideologico.

Negli ultimi mesi diversi interventi del papa lo hanno dimostrato. Un editoriale di Antonio Polito sul “Corriere della sera” (12/1) lo ha sancito ufficialmente.

Polito cita, per esempio, quanto il papa ha detto nell’Angelus del 26 dicembre: “L’inverno demografico è contro le nostre famiglie, contro la Patria, contro il futuro”.

L’editorialista osserva che “quel riferimento alla Patria contesta l’illusione della accoglienza indiscriminata, e l’idea in fondo un po’ razzista che immagina di poter usare la mano d’opera di un popolo in migrazione, quello africano, per risolvere i problemi di un popolo in declino demografico, quello italiano, in una sorta di nuova ‘società servile’. Ma ancor più significativo è stato il durissimo attacco che il Pontefice ha mosso, davanti ai membri del corpo diplomatico in Vaticano, contro la cosiddetta ‘cancel culture’”.

In sostanza il papa contesta la dittatura del “pensiero unico” politicamente corretto. Tuona contro la colonizzazione ideologica che nel pensiero bergogliano significa non solo intolleranza (“non lascia spazio alla libertà di espressione”), ma anche pretesa imperialista dei forti della terra di imporre la propria ideologia ai popoli più deboli anche attraverso la pressione economica e politica.

Polito conclude sottolineando che la “cancel culture” è “un pericolo per la libertà ben più serio di una campagna vaccinale o del green pass. E sorprende che in Italia debba essere il Papa ad accorgersene, nel sostanziale silenzio di tanti intellettuali laici e progressisti”.

Sinistra disorientata? È vero che il papa oggi ha accenti diversi dal passato. Ma probabilmente c’è stata anche una forzatura di parte nell’interpretare le sue parole. E poi il fatto che egli parlasse con accoramento dei diseredati, degli sconfitti della terra ha indotto a leggere quelle parole in senso ideologico.

DON MILANI E L’ESPRESSO

Questa situazione ricorda la famosa lettera di don Lorenzo Milani al compagno Pipetta, “un giovane comunista di San Donato”, che inizia così: “Caro Pipetta, ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero come me, allora… Lo dici perché tra noi due ci siamo sempre intesi anche se te della scomunica te ne freghi e se dei miei fratelli preti ne faresti volentieri polpette. Tu dici che ci siamo intesi perché t’ho dato ragione mille volte in mille tue ragioni: ma dimmi Pipetta, m’hai inteso davvero?

Memorabili anche le parole di don Milani quando gli intellettuali progressisti dicevano “è dei nostri”. Lui rispondeva : “Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta!”.

Ribatteva ironico a certi amici radicali: “in che cosa la penso come voi? Ma in che cosa?”, “questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica L’Espresso. E la comunione e la Messa me la danno loro?… loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi”.

E ancora: “ci ho messo 22 anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono”, “l’unica cosa che importa è Dio, l’unico compito dell’uomo è stare ad adorare Dio, tutto il resto è sudiciume”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 gennaio 2022

 

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