Domenica 13 maggio è la festa della Madonna di Fatima, quest’anno 90° anniversario della prima apparizione. Fatima è probabilmente la più grande e clamorosa apparizione pubblica in duemila anni di storia cristiana. Per tutto ciò che riguarda il messaggio della Madonna all’umanità e alla Chiesa, rimando al mio libro (“Il quarto segreto di Fatima”). Qui vorrei però sottolineare un aspetto a cui non facciamo molta attenzione. La Madonna spiegò ai tre bambini (il suo esercito è fatto di piccoli e semplici) che loro, nella loro apparente debolezza e impotenza, potevano addirittura far finire la guerra, la Prima guerra mondiale in corso.

Chiese loro infatti di “dire il rosario tutti i giorni con devozione per ottenere la pace nel mondo”. Poi spiegò anche che la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato da parte del Papa, in unione con tutti i vescovi, avrebbe scongiurato una immane persecuzionecontro la Chiesa da parte del comunismo russo (che infatti avrebbe preso il potere di lì a poco) e avrebbe scongiurato anche una nuova e peggiore guerra mondiale e il massacro di interi popoli.

Insomma una delle cose più straordinarie, ancora incomprese, che la Madonna è venuta a dirci a Fatima è la forza della preghiera. Quasi sempre noi riteniamo la preghiera qualcosa di poco utile e poco efficace (un messaggio in bottiglia che chissà dove finisce). Anche la cristianità sembra presa più dalle sue azioni e dai propri progetti, che dall’affidamento a Maria e dall’azione di Dio. La Santa Vergine di Fatima invece rivela che la più grande e profonda efficacia storica (fermare una guerra mondiale o terribili persecuzioni è cosa immensa) viene proprio dallla preghiera. Perché dopo 90 anni continuiamo a non ascoltarla?

Da Libero del 3 maggio 2007
LE PERSECUZIONI CONTINUANO…

di Antonio Socci

Sputare sulla Chiesa Cattolica è del tutto normale, è ritenuto un diritto e per molti, nei Paesi liberi d’Occidente, è perfino un dovere. Proprio mentre milioni di cristiani inermi sono stati martirizzati sotto i più diversi regimi e la Chiesa ha subito (e continua a subire) la più immane persecuzione della sua storia. Non ha mai avuto solidarietà dalle élite dei paesi democratici, ma solo disprezzo.

Philip Jenkins – peraltro inglese e non cattolico – ha scritto un libro urticante, “The New Anti-Catholicism” per denunciare l’unico “pregiudizio” oggi accettato in America, dove tutte le minoranze (eccetto i cattolici) sono protette e rispettate per legge e per ferrea consuetudine “politically correct”. Jenkins ha realizzato un minuzioso esame di media, politica e arti per concludere che la Chiesa oltreoceano è spesso considerata “un nemico pubblico” e ridotta a “stereotipo grossolano”. Chi sono gli Anticattolici? “Sono soprattutto gli intellettuali e i liberal. Si dice addirittura che l’anticattolicesimo sia l’antisemitismo dell’uomo colto. I demagoghi” spiega Jenkins “ce l’hanno con gli ebrei, gli uomini di cultura con i cattolici”.

Anche in Europa è un po’ così. Lanciare accuse infondate e senza senso contro il Papa e la Chiesa è l’ “ovvio dei popoli”. Lo fanno tutti, anche nani e ballerine. In Italia la situazione è un po’ migliore. Il carisma e la nobiltà di figure come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno influenzato i nostri anni. Perfino i mangiapreti Radicali qua organizzano la marcia contro la pena di morte andando a chiedere la benedizione sotto la finestra del Papa (che poi vorrebbero zittire su altri temi).

Quasi tutti sentono la Chiesa come un rifugio e un’àncora di salvezza. Che suscita ammirazione pure nei suoi nemici. In certi momenti però, quando interviene di più su temi scottanti, il clima si surriscalda e soprattutto per la Sinistra – che ha sempre “livori in corso” – la Chiesa diventa un bersaglio perfino più detestato di Berlusconi. Si arriva addirittura a mettere in discussione il diritto di parola del Papa e dei vescovi, com’è accaduto durante il referendum sulla legge 40.

E’ proprio la vittoria dei cattolici in quel referendum (con la stragrande maggioranza degli italiani: il 75 per cento) che non è stata perdonata da Sinistra e radicali vari. Sebbene cancellata e rimossa dai giornali pesa come il segnale di un cambiamento storico rispetto agli anni Settanta.

I Dico sono stati voluti proprio come prova di forza ideologica per dare un segnale di rivincita. Non c’entrano nulla le coppie di fatto, si voleva solo “dare una lezione” alla Chiesa, per indurla a scegliere la via “martiniana” (quella di prelati come Martini e Tettamanzi), cioè la sudditanza ideologica alla Sinistra. Il fatto che la reazione della Cei abbia praticamente fatto saltare i Dico e prodotto una divisione nel centrosinistra ha scatenato la solita orchestra contro la Chiesa. L’attaccano e la spernacchiano tutti. Perciò l’ha fatto anche Andrea Rivera mentre conduceva il concerto dei sindacati del 1° maggio. Ma ha esagerato e si è scatenato il finimondo. Così il menestrello trasteverino – una volta mollato dai capi dei sindacati – si è perfino detto “dispiaciuto” per le polemiche: ha detto che non voleva “offendere” nessuno. Certo, è troppo facile lanciarsi in un comizio contro la Chiesa davanti a 400 mila persone (e milioni di telespettatori) per poi ritirare la mano quando i destinatari della “sassata” si inalberano. Troppo facile per i sindacati prendere le distanze a cose fatte. Troppo facile per gli organizzatori ribattere a Rivera (secondo cui quelle battute erano “concordate con gli autori del Primo maggio”) che il presentatore andava a ruota libera.

Tuttavia è un po’ troppo facile anche prendersela con lui. Sarebbe giusto che l’Osservatore romano se la prendesse con gli organizzatori o – visto ciò che si vede e si legge – con certi giornali, certi programmi tv e con questa Sinistra dove l’attacco alla Chiesa è quotidiano. Il clima è pesante.

L’ex presidente Cossiga ieri ha segnalato perfino una dichiarazione di Romano Prodi che suona così: “parte delle gerarchie della Chiesa Cattolica in Italia contrastano la realizzazione di parti del programma del governo di centro-sinistra”. Sembra solo un alibi. Parole infelici. Ma Cossiga, che se ne intende più di chiunque altro, ha commentato: “per chiarire la situazione e non fornire involontariamente motivazioni alle minacce contro Mons. Bagnasco, è necessario che il leader de L’Unione e presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi chiarisca il senso e la portata della sua dichiarazione”.

In effetti il clima è teso e forse questo spiega la reazione anomala dell’Osservatore romano alla performance di Rivera. Parole durissime: “E’ terrorismo lanciare attacchi alla Chiesa. E’ terrorismo alimentare furori ciechi e irrazionali contro chi parla sempre in nome dell’amore… E’ vile e terroristico lanciare sassi questa volta addirittura contro il Papa, sentendosi coperti dalle grida di approvazione di una folla facilmente eccitabile. Ed usando argomenti risibili, manifestando la solita sconcertante ignoranza sui temi nei quali si pretende di intervenire”.

Non ricordo una reazione altrettanto dura, pur rammentando mille quotidiani attacchi alla Chiesa e al Papa. Allora le spiegazioni sono solo due. O all’editorialista dell’ “Osservatore” è scappata la frizione, oppure – dopo le minacce al presidente della Cei Bagnasco e al papa – c’è il forte timore che anche attacchi e goliardate che un tempo sarebbero passati in sordina possano alimentare – indipendentemente dalla volontà dei protagonisti – “furori ciechi e irrazionali”.

In effetti siamo l’unico Paese libero dove ci sono vescovi che vivono sotto scorta. La situazione dunque è allarmante. E Andrea Rivera – stando alla sua retromarcia – non ne era consapevole. Lui pensava solo di ripetere i soliti stereotipi e le banalità che a Sinistra vanno per la maggiore. Lo scapigliato trasteverino poi ha aggiunto pure che “la Chiesa in cui mi riconosco è quella di san Francesco”. A dimostrazione che in Italia il fascino del cristianesimo contagia anche gli avversari.

Resterebbe solo da spiegare a Rivera (e ai tanti compagni che citano il santo di Assisi senza conoscerlo) che Francesco era mitezza e non livore, era amore a Cristo e non ecologismo neopagano, era addirittura obbedienza convintissima alla Chiesa (desiderava baciare le mani ai preti più chiacchierati come peccatori perché quelle mani comunque consacravano l’Eucaristia e perché lui stesso si diceva peccatore).

La “Lettera ai reggitori dei popoli” scritta da Francesco d’Assisi è ben più “sconcertante” per le orecchie “progressiste” degli interventi del Papa e di Bagnasco: “Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina” scriveva Francesco. “Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore… Obbedite ai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che dimenticano il Signore e si allontanano dalle sue leggi sono maledetti e saranno dimenticati da Lui. E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di avere saranno loro tolte. E quanto più saranno sapienti e potenti in questo mondo, tanto più dovranno patire le pene dell’inferno”. Francesco arriva a scrivere: “dovete dare al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera un banditore proclami che siano rese lodi e grazie all’onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo. E se non farete questo, sappiate che voi dovrete rendere ragione al Signore nel giorno del giudizio”.
Rivera e compagni sottoscrivono?

da Libero del 4 maggio 2007
IL FAMILY DAY OGGI RISCHIA DI ESSERE CONTROPRODUCENTE. MENTRE IL FATIMA DAY…

di Antonio Socci

Ma è ancora necessaria, oggi, la manifestazione dei cattolici contro i Dico del 12 maggio prossimo? Io penso di no, sarebbe meglio una veglia di preghiera in tutte le chiese visto che il 13 maggio è la festa della Madonna di Fatima. Mi sono convinto che la piazzata potrebbe essere addirittura controproducente e lancio un appello al ripensamento pur condividendo le posizioni della Cei sui Dico e avendo partecipato al loro progressivo affossamento.

A suo tempo mi piacque l’idea della manifestazione, mi sembrò un salutare segno di risveglio del popolo cattolico. Ma oggi mi pare che l’obiettivo (spazzar via il pasticcio giuridico della Bindi) sia stato in gran parte già conseguito. Ieri sull’Unità è apparso questo titolo: “Dico sul binario morto. Nell’Unione ora l’argomento è tabù”. Katia Zanotti, Ds, capogruppo nella Commissione Affari sociali, spiegava che si parla sempre meno dei Dico “perché c’è la consapevolezza (non resa esplicita) che il percorso parlamentare è in una empasse definitiva. Credo che non si arriverà mai all’approvazione di una legge”.

In Parlamento infatti, come nel Paese, non c’è una maggioranza a favore dei Dico. Lo si deve a quanto la Chiesa ha fatto per allertare le coscienze. Ma compito della Chiesa è convincere (e lo ha fatto), non vincere. Non ne ha bisogno. Se andasse in cerca di “vittorie politiche” rischierebbe di snaturarsi in partito, con conseguenze gravi per la fede che è infinitamente più importante dei Dico (del resto conviviamo da trent’anni con una legge che legalizza l’aborto, che è ben peggio, sul piano morale, dei Dico). La manifestazione è rischiosa anche per le reazioni che scatenerebbe. I segnali di questi giorni sono emblematici e preoccupanti. Non a caso l’altroieri padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, è dovuto correre ai ripari per mettere una toppa alla goliardata del 1° maggio e all’esagerata reazione dell’Osservatore romano. Padre Lombardi ha giustamente dichiarato: “è bene che tutti ci diamo da fare per disinnescare le tensioni” e per evitare “un riaccendersi di sproporzionati conflitti”.

Una manifestazione si espone al rischio di provocazioni e incidenti. Mentre la trasformazione del “Family day” in “Fatima day” sarebbe rasserenante e metterebbe la pietra tombale sui Dico senza colpo ferire. Manifestare oggi rischia di alimentare un cattolicesimo “reattivo”, da sfida di piazza, un cattolicesimo che subisce il contagio dell’integralismo islamico, del suo modello di egemonia sui costumi, mentre un’altra parte della Chiesa resta subalterna all’ideologia progressista.

Oltretutto i cattolici non sono neanche attrezzati per le adunate oceaniche d’impronta politica. Riescono nella Teheran degli ayatollah o nella Cuba di Fidel Castro. In Italia sono nella tradizione dei sindacati e della Sinistra. Perché scimmiottarli? Una cosa è esprimere lo stato d’animo e il buon senso della maggioranza degli italiani, come la Chiesa fece proponendo l’astensione nel referendum sulla legge 40 (e fu seguita dal 75 per cento degli italiani). Altra cosa è trasformare l’italiano normale, il cattolico normale, in militante di piazza, in truppa cammellata. E’ innaturale. Oltretutto oggi si constata che i parroci se ne infischiano, molti vescovi pure e le associazioni cattoliche di area “martiniana” sparano contro.

Savino Pezzotta, portavoce del Family Day”, ha lanciato “la sfida” annunciando che “il 12 maggio prossimo, in piazza San Giovanni a Roma, saremo in 100mila per un no laico ai Dico”. Ma se davvero andasse così sarebbe un autogol clamoroso. In Piazza San Giovanni perfino il centrodestra ha portato due milioni di manifestanti: 100 mila persone è un flop , li mobilita Rifondazione comunista da sola. Farsi contare quando la battaglia è già vinta, mostrare questa estrema debolezza paradossalmente rischierebbe di far riesumare i Dico già morti. E farebbe pensare che Ruini e Bagnasco sono generali senza truppe, quando invece hanno un popolo, ma di cristiani, non di manifestanti.

Centomila persone furono portate a Roma, in piazza San Pietro, da un solo movimento come Comunione e liberazione, il 24 marzo scorso, per un normale incontro col Papa (li quantificò l’Osservatore romano del 25 marzo: “La festa di centomila fedeli”). Se tutta la Chiesa italiana, diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti, a Roma, per il “Family Day”, non riesce a mobilitarne che 100mila significa che si va verso il suicidio.

Il 18 giugno 2005 in Spagna i cattolici portarono in piazza per la famiglia più di 500 mila persone (e fu inutile). In Francia per la scuola libera manifestò qualche milione di persone. Se a Roma il 12 maggio fossero centomila o poco più sarebbe una disfatta. Oltretutto l’evento non è ben comprensibile per gli italiani. E’ noto infatti che molti vescovi e parroci e alcune associazioni che promuovono la manifestazione hanno votato Unione il 9 aprile 2006, quell’Unione che era già accesamente anticattolica. Siccome il centrosinistra ha vinto per ventimila voti si può dire che i cattolici sono stati determinanti. Se dunque, col loro voto, hanno mandato al potere Diliberto, Luxuria, Pannella, Caruso e Pecoraro Scanio, perché poi manifestano contro i Dico che stanno nel Programma dell’Unione?

Era scritto nero su bianco. C’era un capitolo intitolato “Unioni civili”. E recitava: “L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale”.

Ora i deputati Binetti, Bobba, i ministri Fioroni e Mastella andranno al Family day. Ma loro sono stati votati sulla base di questo programma e hanno portato voti decisivi alla vittoria dell’Unione. E’ sensato manifestare contro se stessi? Quanti vescovi, parroci e associazioni invece di manifestare dovrebbero fare un mea culpa pubblico per il voto all’Unione e chiedere scusa ai tanti fedeli che hanno indotto in errore? Alla stessa Cei, che ha ispirato la manifestazione, s’impone una domanda: se i Dico rappresentano un fatto moralmente così grave, perché non si chiede conto anzitutto ai tanti vescovi che hanno votato Unione? La “Nota” della Cei dà un giudizio gravissimo sui parlamentari cattolici che voteranno i Dico, ma sui vescovi e i preti che hanno votato lo schieramento con quel programma? Nel documento dell’ex S.Uffizio a cui fa riferimento la Nota si dice che – oltre ai politici cattolici – “tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali”. E i vescovi e i preti no? Perché – invece di manifestare, rischiando di compromettere l’archiviazione dei Dico – non si fa un serio esame di coscienza ecclesiale, magari da estendere al modernismo che viene insegnato nei seminari e nelle facoltà teologiche?

Un grande convertito come Giovanni Testori raccomandava ai cattolici: “meno dibattiti e più battiti”. Forse sarebbe il caso di sostituire la manifestazione del 12 con una preghiera alla Madonna di Fatima, magari rinovando la consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria che fu fatta in altri tempi. Ratzinger da cardinale mise in guardia dal rischio pelagiano di dare il primato alla “nostra azione” anziché “all’azione di Dio nel nostro mondo”. Disse che se “dobbiamo trasformare noi il mondo e creare noi la redenzione, il mondo migliore, un mondo nuovo, se si pensa così ecco che il cristianesimo è morto”.

Invece è Cristo che opera e cambia i cuori e la storia. Per questo a Fatima la Madonna ha rivelato che il rosario (come la penitenza) è molto più potente di mille manifestazioni. Ascoltiamola.

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