FASCISMO/ANTIFASCISMO? ECCO QUAL E’ IL “NUOVO FASCISMO” DA CUI GUARDARSI
Sembra incredibile, ma il fascismo è stato il tema centrale della campagna elettorale 2018 della Sinistra. La parte che, nel 1994, irrideva Berlusconi perché parlava di comunismo, oggi suona l’allarme per l’apocalittica minaccia fascista che d’improvviso incomberebbe sull’Italia.
Solo che nel ’94 era plausibile parlare di comunismo perché – dopo le inchieste che avevano spazzato via gran parte dei dirigenti dei partiti democratici – la classe politica rimasta padrona della scena era quella che proveniva dal Pci, il più grande partito comunista d’occidente, che era stato legato ai regimi dell’Est europeo.
Il candidato alla guida del governo italiano per la Sinistra, data vincente, alle elezioni del 1994, era Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci.
Proprio quell’Occhetto che nel marzo 1989, pochi mesi della caduta del Muro, al Congresso del Pci, ribatté a muso duro a Craxi gridando dal palco (fra grandi applausi): “Non si comprende perché dovremmo cambiar nome. Il nostro è stato ed è un nome glorioso che va rispettato”.
Appena nove mesi dopo – iniziato il crollo dei regimi dell’Est – Occhetto si precipitò alla Bolognina ad annunciare il cambio del “nome glorioso” che d’improvviso era diventato imbarazzante.
Ma il partito restava sempre quello, come pure il suo fortissimo insediamento sociale e politico (anche nelle istituzioni), come la sua classe dirigente e il suo stesso segretario. Il quale segretario si apprestava appunto a conquistare nel ‘94 la guida del governo in Italia.
D’altronde il comunismo era sì crollato all’Est – dove tuttavia alcuni pezzi di establishment rosso continuavano a dominare – ma era ben vivo in Cina, a Cuba, in Corea del Nord e Vietnam. Dove peraltro il comunismo continua a dominare anche oggi, nel 2018 (su un miliardo e mezzo di persone).
Il fascismo che invece è stato evocato in questa campagna elettorale dalla Sinistra non ha appigli storici: quel regime è finito da 73 anni. Non c’è in Italia una classe politica che viene dal regime fascista. Ci sono piccoli gruppi marginali di nostalgici, come ci sono gruppi (più numerosi) che si richiamano al comunismo. Ma sono residuali e senza rappresentanza parlamentare.
A questa evocazione del fascismo in campagna elettorale dal centrodestra hanno risposto sostenendo che la sinistra cercava di buttarla in caciara per eludere i problemi concreti degli italiani e i suoi fallimenti di governo: sull’economia, che ancora è in coma, sull’emigrazione e sulla sudditanza all’Unione Europea, cioè a Germania e Francia.
Nei social – e nei discorsi di alcuni leader del centrodestra – è stata molto usata una citazione di Pier Paolo Pasolini, tratta da una lettera ad Alberto Moravia, datata ai primi anni Settanta, dove si legge: “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua a logora la società già moribonda”.
Giovedì scorso, su “Repubblica”, Massimo Recalcati spiegava: “Per Pasolini il ‘nuovo fascismo’ non aveva a che fare con le rinate organizzazioni fasciste dopo la fine della seconda guerra mondiale e la Liberazione, ma con il potere di plasmazione delle vite e delle coscienze che il nuovo ‘sistema dei consumi’ era riuscito a produrre”.
E proseguiva: “Questa tesi generale – in sé forse discutibile – ha il merito di emancipare il fascismo dal problema della sua eventuale riorganizzazione politica – che secondo Pasolini era un fenomeno del tutto residuale – per ricondurlo a un grande tema antropologico”.
Recalcati fra l’altro suggeriva “il fascismo come rinuncia al pensiero critico, massificazione, irregimentazione”.
Aggiungeva anche altri connotati, ma seguendo il suo ragionamento (che ho qui riassunto) viene da osservare che in Italia – da decenni – la “rinuncia al pensiero critico”, la “massificazione” e l’“irregimentazione” hanno caratterizzato specialmente l’area di opinione della Sinistra che poi, negli ultimi anni, si è clamorosamente sposata con il “pensiero unico” iperliberista della moderna globalizzazione – per così dire – clintoniana.
Basta vedere la plumbea uniformità dei media, nazionali e internazionali, ad esempio nell’analisi della vittoria di Trump o della Brexit, dell’Unione Europea, dell’Euro, di Putin e via dicendo. Così la sinistra ha perso la rappresentanza del popolo ed è totalmente saltata la tradizionale contrapposizione destra/sinistra.
Sui social la frase di Pasolini è stata rilanciata con questo commento: “Sostituire il desueto ‘consumismo moderno’ con la ‘moderna globalizzazione’ dopodiché rileggete e ditemi se non è attuale”.
Ma si tratta di un commento che viene dall’area della Lega di Salvini, non dalla sinistra. La Lega di Bagnai e Borghi ha colto in pieno quel cambiamento del capitalismo che Pasolini poté solo intuire.
E’ il nuovo capitalismo della finanza che si è mangiata l’economia reale, che ha travolto il ceto medio, gli stati nazionali e lo stato sociale.
E’ quello che Giulio Tremonti chiama “mercatismo”. In “Uscita di sicurezza” ha parlato di segnali di “un tipo nuovo di fascismo”, un “fascismo finanziario”.
Anche la mancanza di democrazia che caratterizza l’Unione Europea fa pensare a un rischio totalitario. Il grande dissidente russo Vladimir Bukovskij ha ripetutamente giudicato l’UE una nuova Unione Sovietica, spiegandone le analogie. C’è di che riflettere.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 3 marzo 2018
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