IL MEETING / Il ministro degli Esteri applaudito dalla platea di Cl:
«Parlare di uno scontro di civiltà fa vincere il terrorismo»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI RIMINI – Comincia tra i fischi e i «buuu!» che tra i battimani di cortesia gli fanno pagare il conto del sì al referendum e finisce a comprar magliette fra gli stand del Meeting, tra ragazzi che lo guardano un po’ scettici e altri che invece gli fanno le foto col cellulare o chiedono l’autografo. In mezzo c’è l’abilità di Gianfranco Fini nel guadagnarsi gli applausi puntando sui temi più cari alla platea ciellina, lasciando perdere la bioetica e con tanti saluti a Francia e soci: «Furono vili quei governi europei che dissero no alle radici cristiane e sono gli stessi governi che oggi dicono, riguardo a Iraq e Afghanistan, “tutto sommato chi ce lo fa fare”».

E invece no, ripete strappando l’ovazione, «siamo tutti afghani e iracheni!». Del resto il tema è quello, accanto al ministro degli esteri siedono il collega afghano Abdullah e quello iracheno Al Zebari che continua a ripetere: «Ci aspettiamo che i nostri amici restino al nostro fianco, la posta è alta, non lasciateci soli». Così il clima generale è ben diverso dal quello che ha accompagnato l’inaugurazione del Meeting con Marcello Pera. Il leader di An, come già ieri Pisanu, marca subito la differenza con il presidente del Senato: «Sono convinto che una identità forte qual è quella cristiana non dovrebbe avere alcun timore nel confrontarsi con l’Islam, la religione musulmana non equivale al terrorismo». Certo, riflette Fini, «nella società globale la coscienza di una identità è indispensabile» però «è tipico di chi si sente insicuro cercare di chiudersi come se si trovasse in una fortezza assediata: chi ha un’identità forte non teme il confronto con le altre».

Certo all’inizio il confronto non è stato facile per il ministro degli Esteri. Antonio Socci aveva invitato il popolo ciellino a prenderlo a fischi e da queste parti il giornalista è popolare, l’altra sera c’erano centinaia di persone fuori dalla sala dove i ragazzi prendevano appunti mentre lui, per un’ora, parlava della Madonna. «Questo è il posto dove si ascoltano tutti e non si fischia nessuno», ama ripetere il leader ciellino Giancarlo Cesana e nella sostanza è vero, anche se all’ingresso nell’Auditorium pure qualche ragazzo del servizio d’ordine non resiste alla tentazione. Pazienza, Fini fa finta di nulla e si guadagna gli applausi quando parla della lotta al terrorismo e della missione italiana. Chiarisce subito che «non si scende a compromessi con chi minaccia la pace» perché «la pace e la libertà non sono solo assenza di conflitto o il tacere della armi», e del resto «sotto il regime talebano e quello di Saddam c’era meno terrorismo ma certo non c’era pace».

I ministri al suo fianco annuiscono, l’afghano Abdullah scandisce: «Noi fummo dimenticati dopo l’invasione sovietica e l’Afghanistan divenne la base di Al Qaeda. Mi stupisce che tutti mi domandino se gli interventi nel mio Paese o in Iraq fossero legittimi, piuttosto ci si dovrebbe chiedere se non sono arrivati troppo tardi!», e giù applausi. Al Zebari ricorda l’udienza col Papa: «Gli ho chiesto di pregare per il popolo iracheno e la pace nella regione. E gli ho assicurato che ci siamo impegnati fin dalla Costituzione a garantire la libertà religiosa ai cristiani e ad aiutarli a restare nel Paese, ci mancherebbe, è una delle comunità più antiche della Mesopotamia». Così Fini legge il primo articolo della Costituzione irachena, quello sulla libertà religiosa, e lo dedica «a tutti quelli che dicono “ritiriamoci dall’Iraq” o si interrogano sul senso dell’intervento angloamericano o pensano che i musulmani non possano essere democratici». Altri applausi, anche se Cl all’inizio del conflitto aveva coniato lo slogan «Sì agli Usa, no alla guerra». Ma ormai si parla della «missione di pace» e Fini si concede l’ultimo affondo contro Pera: «Stiamo parlando di Paesi a stragrande maggioranza musulmana, quello che sta accadendo in Iraq e Afghanistan dimostra che la democrazia è compatibile con qualsiasi civiltà che sia autenticamente tale. Perché non è in atto uno scontro di civiltà ma una lotta fra la civiltà e la barbarie, il terrorismo islamista». Morale: «Se si dovesse radicare nella opinione pubblica occidentale l’idea di uno scontro di civiltà, sarebbe una vittoria del terrorismo».

Gian Guido Vecchi

Fonte: © Corriere della sera – 27 agosto 2005

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