Caro Giuliano,

cosa sta succedendo? Ieri sulla terza pagina del Foglio è uscito un lungo articolo firmato, per esteso, “Giuliano Ferrara”, fatto insolito, che evidentemente voleva sottolineare un tuo personale coinvolgimento.

In effetti si trattava di una tua polemica – come sempre rispettosa e intelligente, ma pur sempre polemica – con la Chiesa per la “rimozione del vescovo di Orvieto” che veniva dopo una serie di altri articoli su quella vicenda, dolorosa per la Chiesa e anche tragica per alcuni suoi figli, che il tuo giornale ha pubblicato in bella evidenza in questi giorni.

Nessun altro giornale ha ritenuto di dare tanto spazio a questo caso. E’ evidente dunque la tua volontà di tenere il punto e i riflettori accesi su Orvieto.

Io credo che il motivo travalichi di molto il caso di Orvieto.

A proposito del quale, con tutta la simpatia che ho per monsignor Scanavino e pur con tutta la comprensione per le sue ragioni e la sua buona fede, mi riesce difficile capire come un vescovo che professa obbedienza al Papa e che in nome di questa obbedienza rassegna le dimissioni, possa un minuto dopo convocare una conferenza stampa e dare il via alle polemiche pubbliche.

Egualmente non capisco come tu, Giuliano, possa pensare di discutere pubblicamente su un giornale questioni così delicate e anche intime (nella parte relativa alle ordinazioni sacerdotali) che la Chiesa ha cura di valutare e giudicare con estrema discrezione e riservatezza, proprio per rispetto alle persone e consapevole che il bene delle anime è la sua legge suprema.

Naturalmente errori di decisione sui casi particolari, da parte ecclesiastica, possono essere sempre possibili. Ma lasciami dire che ritengo la Chiesa più esperta sull’umano di te e di me. E anche molto più informata di noi sull’estrema complessità di queste vicende particolari.

Da duemila anni fa il suo mestiere di madre e di maestra e una madre sa essere più materna – anche nella correzione di un vescovo – di quanto lo siamo noi (esterni) nell’accondiscendenza.

D’altra parte mi pare curioso che – mentre il mondo sta letteralmente esplodendo, sia socialmente che fisicamente – il migliore dei nostri intellettuali, firmi un lungo articolo per discutere le dimissioni del vescovo di Orvieto o le regole di ammissione al sacerdozio della Chiesa cattolica.

Le quali richiederebbero oltretutto una competenza approfondita del diritto canonico e un’esperienza pastorale consolidata, che – per quanto ne so – tu, come me, non hai.

E’ vero però che le tue riflessioni, Giuliano, sono sempre molto belle e acute e anche stavolta il tuo affettuoso invito alla Chiesa a non subire la pressione e il ricatto psicologico del mondo fa seriamente riflettere.

Non è un caso se il papa in persona, nella sede ufficiale del convegno ecclesiale della Chiesa italiana, ha avuto per te parole di così grande stima e considerazione.

Evidentemente ti ritiene una voce preziosa – oltreché per il mondo – per la Chiesa e lo sei anche quando hai accenti critici che ci fanno giustamente riflettere autocriticamente.

Lasciami dire però che non credo che il sistema di selezione degli ecclesiastici sia davvero in cima alle tue preoccupazioni.

E se ne hai fatto un caso su cui scendere in campo è perché, da tempo, c’è qualche sofferenza nel tuo rapporto con la Chiesa Cattolica, c’è come una ferita da parte tua, che ti rende inquieto e – rispettosamente e intelligentemente – polemico.

Lo dimostrano diverse altre cose che hai pubblicato sul Foglio.

Per esempio una paginata di alcuni giovani intellettuali cattolici (antiprogressisti) che ritengono sbagliata la presenza del Papa ad Assisi, nell’anniversario della preghiera di Giovanni Paolo II per la pace (si appellavano al Pontefice perché ci ripensasse).

E più ancora lo dimostra il tuo schierarti contro la cosiddetta legge sul fine vita. Proprio tu che hai fatto battaglie memorabili sul caso di Terry Schiavo e su altri che sono seguiti e che ponevano drammaticamente il problema.

Non mi convince la tua posizione attuale sulla legge in discussione alla Camera, perché tu – che sei così contrario alla cultura eutanasica – sai benissimo che c’è oggi un vuoto normativo che va colmato da una legge, per non lasciare che siano i magistrati, con le sentenze, a fare giurisprudenza,

Se dunque tu lo sai trovo irrazionale e contraddittoria la tua preferenza per il vuoto legislativo.

Così come mi sembra sbagliata (lo dico con amicizia) la polemica dei firmatari dell’appello al Papa su Assisi perché non coglie il senso dei tempi che viviamo, né la grandezza di un Papa che – non va dimenticato – è il papa del discorso di Ratisbona.

Insomma, tutti i casi sopra elencati di polemica – a mio parere – non hanno in sé ragioni convincenti. Si ha la sensazione che ci sia dell’altro.

Il dissenso fra te e la Chiesa italiana cominciò forse con la tua scelta di presentare una lista tematica contro l’aborto, alle ultime elezioni.

Tutti apprezzammo il coraggio della sfida, la tua generosità e la nobiltà dell’idea – condividendo in toto i tuoi contenuti – ma sull’opportunità concreta della lista disancorata da qualsiasi coalizione dissentimmo.

E penso che ne avevamo i titoli venendo da una trentennale lotta alla cultura abortista.

C’è chi ritiene che la tua “ruggine” con i vescovi inizi da lì e sia causata da quel fatto. Io ritengo che non sia affatto così. Non sei proprio tu il tipo che fa derivare uno scandalo e una rottura da una diversità di giudizio sia pur dolorosa.

Piuttosto anche quella vicenda fu il segno di una questione ben più grande e decisiva con cui eri alle prese. Io provo a decifrarla.

La tua ammirazione per la Chiesa, per la solidità della sua dottrina e della sua morale, mi ricorda un altro romano, come te, che duemila anni fa restò egualmente folgorato: Seneca.

Per lui fu decisivo l’incontro e l’amicizia con Paolo. Ne restò affascinato. Tutto il suo pensiero morale ne fu profondamente segnato.

Trovò in Paolo una filosofia che finalmente realizzava nella vita ciò che aveva sempre voluto. Ma non capì o non si aprì mai al “segreto” di Paolo, al cuore di quella filosofia, a ciò che rendeva Paolo un uomo straordinario: ovvero Gesù Cristo.

Il nostro amato Gilbert K. Chesterton, un grande convertito, ha scritto:

“Il cristianesimo è venuto nel mondo prima di tutto per affermare con violenza che l’uomo doveva guardare non solamente dentro di sé, ma anche fuori, doveva ammirare con stupore ed entusiasmo un divino drappello e un divino capitano.

Il solo piacere che si prova a essere cristiani è quello di non sentirsi soli con la Luce interiore, è quello di riconoscere nettamente un’altra Luce, splendida come il sole, chiara come la luna”.

Si può ammirare il cristianesimo come filosofia di vita e come dottrina morale, ma dire “tu” a quel “divino capitano” è il passo decisivo ed esaltante.

Certo, è anche quello più drammatico perché ognuno di noi è “fugitivus cordis sui”.

Infatti il faccia a faccia con Gesù ci fa scoprire noi stessi ed è un dolore finché non ci sentiamo abbracciati e perdonati.

D’altra parte – te lo dico dal di dentro della mia battaglia drammatica accanto a Caterina – è solo lui il senso della nostra vita, è per lui che siamo fatti, lui è la nostra gioia.

Come sapeva il grande Agostino: “ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

Tu, Giuliano, credi di stare a polemizzare con la Chiesa e così credono anche gli altri. Ma in realtà, come Giacobbe che lottò con l’angelo tutta la notte, è con Dio, con l’Uomo-Dio che stai lottando.

E come Giacobbe e come tutti noi che l’abbiamo visto in faccia, porterai il segno di questa lotta (la bellezza di quel volto) nella carne per tutta la vita.

C’è un solo modo per vincere: assecondare quel fascino che avvertiamo, far vincere il nostro cuore, lasciarsi salvare.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 marzo 2011

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