Dopo la morte di Berlusconi si fa un gran parlare del futuro di Forza Italia e delle prospettive del governo. Ma, paradossalmente, come ha rilevato ieri Antonio Polito sul “Corriere della sera”, il centrodestra è oggi più unito e la sinistra è più divisa (per esempio sulla riforma della giustizia).

Da cosa deriva la forza e la compattezza del centrodestra? E cosa veramente differenza il centrodestra dalla sinistra?

C’è un tema centrale. Aldo Cazzullo, commentando la storia di Berlusconi, ha sostenuto che certe parti politiche “volevano cambiare gli italiani” mentre al Cavaliere “piacevano così come sono”.

Lorenzo Pregliasco ha commentato: “È una delle linee di faglia culturali intramontabili tra centrosinistra e centrodestra in Italia”. In effetti nella frase di esordio politico di Berlusconi – “l’Italia è il Paese che amo”– c’era già tutto.

Rispondendo a Pregliasco, l’economista (di sinistra) Massimo D’Antoni ha scritto: “Ero convinto che la sinistra volesse cambiare i rapporti sociali ed economici, non gli italiani”.

In realtà la sinistra italiana, dopo il crollo del Muro di Berlino, non ha neanche mai lontanamente formulato il proposito di cambiare i rapporti sociali ed economici. Anzi, si è arresa alla vincente globalizzazione americana e, per poter andare al governo, si è sottomessa agli onnipotenti Mercati – capaci ormai di travolgere gli Stati – e all’Unione europea a trazione franco-tedesca.

Ne sono derivate politiche che hanno cambiato i rapporti sociali, ma in peggio: sono stati impoveriti il ceto medio e le classi popolari, si è andati verso la deindustrializzazione e la de-sovranizzazione. Nella loro ultima declinazione queste politiche – oltre alle assurde scelte green su casa e auto che colpiscono specialmente la gente comune – pretendono pure di prescriverci cosa mangiare e cosa bere. Dovremmo sentirci in colpa addirittura perché respiriamo (emettendo CO2).

Del resto la stessa sinistra ha anche abbracciato quella “colonizzazione ideologica” (come la chiama papa Francesco, condannandola) che vorrebbe imporsi in nome della modernità.

A sinistra ha sempre prosperato la pretesa pedagogica di “rieducare” gli italiani. C’è fastidio (e a volte disprezzo) per l’“italiano medio” e si ridicolizza la nostra identità. Evidentemente dovremmo scioglierci in un vago cosmopolitismo in cui gli uomini e i popoli sono anonimi e “senza patria” come le merci: intercambiabili e “trasportabili” da un capo all’altro del mondo.

Il disamore della sinistra per gli italiani viene da lontano. Nella prima repubblica non ha mai perdonato alla nostra gente di averla tenuta all’opposizione. Del resto la pretesa di creare l’“uomo nuovo”caratterizzava già l’utopia comunista (anche nella forma gramsciana).

La vecchia pretesa ideologica di “raddrizzare il legno storto dell’umanità” è poi finita nella tragedia del comunismo. Ma subito dopo il crollo dell’Urss si è ripresentata l’occasione pedagogica per la sinistra in forma nuova.

La vicenda di Mani pulite rinverdì il mito della sua superiorità morale e i luoghi comuni sull’Italia corrotta. Capita ancora di sentir rappresentare gli italiani sui giornali con certi stereotipi deteriori.

È anche il trionfo di un antico pregiudizio delle élite laiciste, minoritarie, snob e anti italiane. Aveva cominciato il mondo protestante e laico dell’Ottocento, in particolare uno storico della Ginevra calvinista, ad attaccare il popolo italiano per il suo cattolicesimo.

Manzoni confutò tutte queste critiche. Ma la battuta più fulminante in seguito venne da Orson Wells: In Italia per trent’anni sotto i Borgia hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.

Il paradosso di Orson Wells peraltro va corretto perché i Borgia erano di origine spagnola e l’Italia a quel tempo non ebbe più guerre e massacri degli altri Paesi (anzi). Inoltre la Ginevra di Calvino era tutt’altro che un paradiso di pace. In ogni caso quelle idee sono arrivate fino ai giorni nostri e alla polemica di certa stampa contro “l’Italia alle vongole”.

Invece all’“arcitaliano” Berlusconi gli italiani (e il Rinascimento) piacevano. Questo aspetto – con sfumature diverse – è ciò che caratterizza tutti i partiti del centrodestra e che cementa la loro unità.

Essi infatti – diversamente dalla sinistra – stimano gli italiani, scommettono su di loro, non pretendono di “rieducarli”, anzi ritengono che debbano essere gli italiani stessi a giudicare e cambiare le classi dirigenti.

Il messaggio del berlusconismo – scriveva venerdì Angelo Panebianco – è: “se liberato dai laccioli della politica, l’individuo può tutto, può essere il padrone del proprio destino”.

Il conservatorismo di Giorgia Meloni sottolinea più il soggetto comunitario, cioè “la nazione italiana” capace – se lasciata libera di esprimersi – sa sprigionare grandi energie creative nella competizione internazionale.

La Lega ha ancora un’altra declinazione, che valorizza più i legami identitari delle diverse aree del Paese, le comunità locali, che sanno governarsi con efficienza e costruire – con la propria laboriosità – le eccellenze italiane.

Queste tre diverse declinazioni del tema della “libertà” sono – e possono restare – in perfetta armonia.

Comportano uno Stato leggero e articolato, ma decisionista ed efficiente, al servizio dei cittadini (non vessatorio) e un fisco non oppressivo.

Soprattutto il centrodestra interpreta l’attuale “ritorno della politica” nel mondo come l’occasione per una difesa forte dell’interesse nazionale nel contesto europeo e internazionale.

Questa sembra essere la vera linea di faglia fra centrodestra e sinistra: la valorizzazione degli italiani e la difesa dell’interesse nazionale.

 

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 18 giugno 2023

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