A costo di subire un vero linciaggio mediatico, il Papa della mitezza (che davvero è il “Papa buono”) ha teso la mano ai lefebvriani, come un padre misericordioso a un figlio scappato di casa. Ebbene, adesso c’è chi ricambia mordendogli la mano.
L’attacco a Benedetto XVI della rivista lefebvriana “Sì, sì, no, no” – di cui ancora nessuno si è accorto – appare pesantissimo. In sostanza accusano Ratzinger di eresia. Nientemeno!

Naturalmente “Sì, sì, no, no”, che si definisce “Quindicinale cattolico Antimodernista”, non è un periodico ufficiale della Fraternità San Pio X, ma da sempre è legato ad essa, per decenni è stato diretto da un sacerdote che è ai vertici della Fraternità, viene regolarmente diffuso al suo interno e non risulta che abbiano preso le distanze dagli anatemi lanciati contro il Pontefice.

Consideriamo solo gli ultimi due numeri, usciti dopo la revoca della scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti e la sciagurata “performance” di Williamson, che ha provocato al Papa gli attacchi più feroci dei media e la sofferenza più tremenda.

Ci si attendeva, da parte lefebvriana, gratitudine, segni di obbedienza al Santo Padre e anche di rammarico per lo scandalo provocato da Williansom, con scuse sincere.
Ebbene l’autorità della Fraternità San Pio X ha espresso (sia pure in modo fumoso e parziale) del rammarico, ma sulla rivista “Sì, sì, no, no”, si legge l’esatto contrario, cioè che non è Williamson a dover fare mea culpa, ma il Papa per le sue dottrine eretiche.

Sta tutto sull’ultimo numero, nella requisitoria anonima intitolata “La strana teologia di Ratzinger”, dove accusano l’attuale pontefice di “modernismo” (l’eresia condannata sotto Pio X), di gioachimismo e soprattutto lo accusano di “giudaizzare” arrivando a questa drastica conclusione: “la teologia del giudeo-cristianesimo è congenere a Ratzinger e a Benedetto XVI (come dottore privato).
Per capire la sua reazione davanti alla montatura del ‘caso Williamson’ non si deve guardare alla persona del monsignore ‘incriminato’, ma alla dottrina giudaizzante del Pontefice modernizzante.
Ci sembra, pertanto, inutile, se non pericoloso, andare a dialogare con lui (o chi per lui) e a tal fine ‘gettare a mare Giona’ ”.

Inutile ogni commento. Naturalmente a Ratzinger (e a Giovanni Paolo II) non viene risparmiata neanche l’accusa di essere in combutta ideologica con la massoneria.
Più avanti infatti la stessa rivista traccia un ridicolo parallelo fra le tesi contenute nel libro “Filosofia della massoneria” di Giuliano di Bernardo (volume pubblicato quando egli era Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia) e un passo della “Dives in misericordia” di papa Wojtyla, vedendovi “corrispondenza perfetta”.
Inoltre lo stesso libro di Di Bernardo viene accostato al libro di Marcello Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani”, per arrivare a questa assurda sentenza finale: “Non deve, dunque, meravigliarci se Benedetto XVI ha approvato il libro di Pera … Il panteismo … è il cuore del Vaticano II e del post-concilio” e questi errori “ben prima di Pera-Ratzinger, sono stati realizzati dal Vaticano II e da Giovanni Paolo II”.

Questa incredibile invettiva si conclude così: “liberalismo, kantismo e massonismo formano un tutt’uno con le ‘novità’ del Vaticano II, il quale (…) appare ‘la cloaca e il collettore di tutte le eresie’ ”.

Il numero precedente di “Sì, sì, no, no” (datato 15 marzo) si era aperto con una requisitoria, come sempre anonima, intitolata “Ratzinger: un enigma risolto”. Arrivano a scrivere: “Il pensiero di Ratzinger è l’assurdità eretta a principio”. Ma assurdi appaiono loro quando imputano al “giovane Ratzinger” un’opinione su un’enciclica di Pio XII del 1943: aveva 16 anni e non si occupava di teologia.
Fra i testi per i quali lo accusano c’è la lettera scritta dal Papa a Marcello Pera che costui ha inserito nel suo libro. I progressisti hanno attaccato quella lettera del Papa perché sarebbe integralista in quanto afferma che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile”, mentre “urge il dialogo interculturale”.
La rivista tradizionalista attacca il Papa per la stessa lettera che, a loro avviso, segnerebbe un cedimento al pensiero laico-massonico.
Il buffo è che entrambi, tanto i progressisti quanto questi lefebvriani scatenati, si trovano concordi nel giudicare il Concilio Vaticano II come una rottura rispetto alla bimillenaria tradizione cattolica.

C’è un altro dettaglio surreale. Fra i capi di imputazione di “Sì, sì, no, no” contro Ratzinger c’è il tema, da lui sviluppato molte volte, del primato della coscienza personale. Ratzinger in un suo saggio cita una famosa frase del cardinale Newman: “io brinderei per il Papa. Ma prima per la mia coscienza e poi per il Papa”.

Solo persone disinformate o in malafede possono stupirsi di questa sublime apologia della coscienza personale. Perché si trova già nel Catechismo della Chiesa cattolica laddove cita lo stesso Newman: “La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo” (n. 1778).
E’ l’insegnamento millenario della Chiesa, visto che già Innocenzo III, recepito nel Catechismo universale (n. 1790), affermava: “agire contro coscienza conduce alla dannazione”. E’ dottrina tanto tradizionale che proprio dietro ad essa si sono riparati per anni gli stessi lefebvriani per legittimare la loro “ribellione”. Oggi la condannano? Se non accettano più né il Papa vivente, né il Concilio, né il primato della coscienza, il loro legame con la tradizione dove si fonda?
Il Papa si è preso valanghe di attacchi ed accuse per il suo gesto di riconciliazione ed è vergognoso che oggi sia ripagato con sentenze così offensive.
Ora è doveroso attendersi dai capi della Fraternità lefebvriana una totale sconfessione e una netta presa di distanza da questa rivista che forse non è ancora stata letta in Vaticano. E’ evidente infatti che all’interno della Fraternità lefebvriana c’è un’ala contraria al ritorno nella Chiesa. Un’ala che – in paradossale sintonia con i progressisti – sta facendo di tutto per sabotare la riconciliazione (le note dichiarazioni scandalose vanno lette in questa ottica).

Il superiore della Fraternità, monsignor Fellay, deve dunque decidere se stare con il Papa (cioè la Chiesa universale) o con quel pugno di presuntuosi. E sarebbe tragico che tanti bravi sacerdoti (e fedeli) di quella Fraternità fossero infine trascinati fuori della Chiesa dall’assurda guerra al Papa e alla Chiesa cattolica intrapresa da pochi faziosi. Anche perché l’accordo con Roma è facilmente raggiungibile recuperando il Protocollo Lefebvre/Ratzinger del 1988 approvato anche da Giovanni Paolo II (o quello del 1979-1980). Perché non lo si fa? Forse perché oggi alcuni fra i lefebvriani – oltre a scomunicare il Papa, il Concilio e tutta la Chiesa – vogliono smentire e scomunicare pure Lefebvre?

Visto che predicano il “sì, sì, no, no”, siano chiari. Basta con le ambiguità e le furbizie. A questo proposito dovrà essere chiarito pure il giallo della lettera del 15 dicembre 2008 di monsignor Fellay al Vaticano in seguito alla quale è stata tolta la scomunica.

“La Tradizione Cattolica”, che è la “Rivista ufficiale del Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X”, cita questo passo della lettera: “noi accettiamo e facciamo nostri tutti i concili fino al Vaticano I. Ma non possiamo che esprimere delle riserve per quanto riguarda il Concilio Vaticano II”.

Invece “Avvenire” del 25 gennaio aveva riportato una versione diversa dello stesso brano: “noi accettiamo e facciamo nostri tutti i concili fino al Vaticano II, riguardo al quale esprimiamo alcune riserve”. Questa sconcertante discordanza è stata notata da Solideo Paolini, un bravo intellettuale tradizionalista che auspica la piena riconciliazione. Come si spiegano queste due versioni, che non sono affatto equivalenti? E gli anatemi di “Sì, sì, no, no” sul Papa e sul Concilio come “cloaca di tutte le eresie” ?

Fonte: © Libero – 25 aprile 2009

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