“Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo” è il titolo della mostra che resterà aperta alla Galleria Nazionale dell’Umbria, a Perugia, dal 4 marzo all’11 giugno.

Vi saranno esposte molte opere di Pietro Vannucci (questo il suo nome vero), ma il centro della mostra sarà “Lo Sposalizio della Vergine” che egli dipinse attorno al 1503 per la Cappella del Santo Anello del Duomo di Perugia.

Il provvisorio ritorno di questo capolavoro è considerato dunque un evento storico. Tuttavia la provvisorietà di tale ritorno a Perugia non è un dettaglio. Infatti l’opera oggi sta nel Musée des Beaux-Arts di Caen che la concede in prestito per il solo periodo dell’esposizione. Ma perché la tavola del Perugino è finita in Francia?

Perché fu uno dei tanti tesori d’arte che l’esercitò napoleonico razziò in Italia quando la invase. Da Perugia è stata chiesta più volte la restituzione del capolavoro, ma i francesi non vogliono saperne. Al massimo ci concedono di vederlo ogni tanto in una mostra temporanea (e bisogna anche ringraziarli).

Il problema della restituzione delle opere “prelevate” dall’esercito francese in Italia dovrebbe finalmente essere preso in seria considerazione. Tempo fa un avvocato parigino, Arno Klarsfeld,
lanciò il caso della bellissima opera di Paolo Veronese, “Le nozze di Cana”, e su “Libération” scrisse: “Bisogna restituire le Nozze di Cana a Venezia? Sì! Perché il quadro di Veronese, il più grande del mondo, non si trova più al proprio posto nella sala del refettorio sull’isola di San Giorgio Maggiore. Refettorio concepito dal più importante architetto del rinascimento, Andrea Palladio, per ospitare la tela del Veronese. […] Un gioiello e il suo scrigno. […] La Francia non ne è proprietaria ad alcun titolo”.

Tuttavia non accadde nulla. Negli ultimi anni, a livello internazionale, si è rafforzata la pressione per le restituzioni di opere d’arte ai paesi d’origine. Molti oggetti sono partiti dai musei britannici (e di altri paesi occidentali) e resta aperto il caso più discusso, quello relativo ai Marmi del Partenone, attualmente al British Museum, che la Grecia rivuole indietro.

“La posizione del British e di altri musei non è più sostenibile” ha dichiarato al “Venerdì di Repubblica” Dan Hicks, docente di Archeologia a Oxford. “In tutto il mondo le istituzioni stanno rivedendo la loro posizione su imperialismo e colonialismo culturale”.

Peraltro non si tratta solo di restituire certe opere al Paese, al popolo e alla civiltà a cui appartengono, ma anche al contesto per cui sono state realizzate. Come ha scritto Klarsfeld, un capolavoro come “Le nozze di Cana” di Paolo Veronese deve stare nella sala del refettorio realizzata dal Palladio sull’isola di San Giorgio.

Molte delle opere razziate in Italia da eserciti invasori sono di soggetto religioso e – oltre ad essere fuori posto in quei Paesi stranieri – sono fuori posto anche nei musei. L’istituzione museo di per sé è un’idea tipicamente napoleonica: doveva trasmettere l’idea del dominio imperiale che sradica dalla loro storia e dalla loro identità quelle opere.

Ma i quadri a soggetto religioso dei nostri artisti sono icone concepite per le chiese, non per un museo. Davanti ad esse generazioni di cristiani hanno pregato, si sono inginocchiati, hanno pianto: sono immagini legate a una comunità, alla sua storia, alle sue tradizioni, alla sua spiritualità.

Sono parte di un paesaggio umano, architettonico, religioso e naturale da cui non si possono sradicare se non a prezzo di farne cose morte, mentre in quelle chiese, davanti a quelle candele accese, dove pregava il popolo, quei santi erano più vivi dei vivi.

Lo “Sposalizio della Vergine” del Perugino è un caso esemplare. Fu dipinto per la Cappella del Santo Anello, nel Duomo di Perugia, dove da secoli è conservato come reliquia l’anello nuziale della Madonna che è oggetto di una grande e antica devozione popolare. Ed è lì che dovrebbe tornare perché fu creato per il culto.

A quel tempo non si inseguiva un’astratta idea del bello, un’idea da museo, ma ci si inginocchiava davanti a queste icone perché mostravano la Bellezza che si è fatta carne in Maria.

Giovanni Paolo II, nella sua lettera agli artisti, ricorda “la lauda estatica che san Francesco d’Assisi ripete due volte nella chartula redatta dopo aver ricevuto sul monte della Verna le stimmate di Cristo: ‘Tu sei bellezza… Tu sei bellezza!’. San Bonaventura commenta: ‘Contemplava nelle cose belle il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto’”.

Questa è l’anima dell’Umbria (e dell’Italia), dell’arte umbra (e italiana).

 

Antonio Socci

 

Da “Libero, 5 febbraio 2023

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