Ma cos’è successo ad Adriano Sofri?
Come ha potuto fare un simile autogol?
Premetto che io sono fra gli innocentisti. Non ho mai creduto alla sua personale colpevolezza come mandante dell’omicidio Calabresi, per il quale è stato condannato dal tribunale insieme ad altri ex esponenti di Lotta Continua.
Mi sembra che i processi non abbiano fornito certezze sul suo conto, perciò penso che doveva essere assolto.

Tempo fa ho accettato un invito da Lerner e sono andato all’ “Infedele” proprio per una serata su Sofri, in sostegno di un uomo in galera (a mio avviso ingiustamente).
Vorrei tornarci oggi all’Infedele, per discutere con lui delle enormità che ha scritto ieri sul Foglio, ma non credo che Lerner abbia il coraggio di metterle a tema nel suo programma. E dubito che Sofri accetterebbe un confronto. Costoro non sono tipi da mettersi in discussione così.

Dunque ieri Sofri sul Foglio è tornato disastrosamente sul suo caso.
Innanzitutto ha ribadito di non aver mai “ordito, né ordinato alcun omicidio”.
E ovviamente ne ha tutto il diritto (io, personalmente, gli credo oggi, come gli ho creduto negli anni dei processi).
Poi ha contestato a Mario Calabresi di aver inserito, in un incontro a New York, la tragedia di suo padre all’interno della tragedia delle vittime del terrorismo. E questo è già un concetto strano, infelice, espresso in modo confuso.

Infine ha aggiunto qualcosa che, secondo me, non avrebbe mai dovuto scrivere, innanzitutto per rispetto a se stesso, ma – se permette – soprattutto per il rispetto che si deve alle vittime inermi macellate per strada da codardi armati.
Dunque Sofri ha scritto: “L’omicidio di Calabresi fu l’azione di qualcuno che, disperando della giustizia pubblica e confidando sul sentimento proprio, volle vendicare le vittime di una violenza torbida e cieca”.
Sconcertato mi domando e domando a Sofri: come fai, Adriano, a sapere cosa c’era nella mente e nelle intenzioni degli assassini del commissario Calabresi se tu hai sempre detto di non saperne assolutamente nulla?
Come fai a conoscere il movente se non conosci gli assassini?
E siamo forse tornati ai “compagni che sbagliano”?
Non rifletti sul fatto che tali “errori” furono fatti sulla pelle di uomini in carne e ossa e sulla pelle delle loro famiglie, dei loro figli piccoli?

Io non so, caro Adriano, chi furono gli assassini di Calabresi.
Ma una cosa è certissima: non furono degli idealisti, delusi dall’ingiustizia dello stato borghese, che vollero “vendicare le vittime di una violenza torbida e cieca”, non furono giustizieri, ma furono – con ogni evidenza – squallidi killer, fanatici e crudeli, che colpirono, in branco, un uomo solo e disarmato, per di più alle spalle.
Non furono solo assassini di un giovane padre di famiglia, un uomo buono e onesto, che faceva il suo dovere nel rispetto delle leggi, ma furono anche dei codardi, dei vigliacchi.
Forse furono dei burattini fanatizzati dall’ideologia, ma nulla ci fu di nobile o di umano in quella macellazione.

Poi Sofri aggiunge altro. Dice: “Fu un atto terribile”.
Caro Adriano no, devi dire che fu un crimine schifoso, non “un atto terribile”, che è una formula ipocrita e fatalistica, come se il contesto e la situazione del momento potessero “spiegare” dei crimini.
Non è una frase che una persona intelligente come te può ammettere.

Certo, poi aggiungi: “fu un atto terribile: e nato in un contesto di parole e di pensieri violenti ereditati e ravvivati, che ammettevano, per esaltazione o per rassegnazione, l’omicidio politico, come nel giudizio dell’indomani, quello sì scritto da me”.
Aggiungi giustamente “non vorrei averlo scritto, soprattutto non vorrei mai che fosse stato fatto”. Qui ti riconosco.

Ma se oggi scrivi che “l’omicidio di Calabresi fu l’azione di qualcuno che, disperando della giustizia pubblica e confidando sul sentimento proprio, volle vendicare le vittime di una violenza torbida e cieca”, non rischi di dare ancora a costoro la patente dei giustizieri?
E’ una domanda che mi pongo con tristezza, sperando di sbagliarmi e di aver frainteso.
Oltretutto Calabresi non si era mai macchiato di nessuna “violenza torbida e cieca”.
Quindi fu solo un capro espiatorio.
Lui sì che fu una vittima innocente.

Ma Sofri continua a non riconoscere le qualità e i meriti di Calabresi. Anzi, scrive orgogliosamente: “le persone che si spinsero a tradurre nei fatti le parole… poterono, allora come in altri frangenti della storia, essere delle migliori”.
A quella generazione piace sentirsi “la meglio gioventù”, ma temo che sia stata invece fra le peggiori.
I fanatici, violenti di quegli anni somigliarono non agli idealisti – poniamo – della “Rosa Bianca”, ma purtroppo, spesso, ai cinici ideologi che Dostoevskij rappresentò nei “Demoni”.
Della “meglio gioventù” semmai faceva parte Calabresi, non i suoi assassini.

Sofri aggiunge quest’altra frase infelice: “Fu dunque un atto terribile: questo non significa, non certo ai miei occhi e ancora oggi, che i suoi autori fossero persone malvagie”.
Dio mio, a questo punto siamo ancora? E cos’erano? Mammolette piene di ideali? Sofri ripete: “I suoi autori erano mossi dallo sdegno e dalla commozione per le vittime”.
Ma – ripeto – quali vittime aveva mai fatto Calabresi? Di che si sta parlando? Esito ancora a credere che Sofri abbia potuto scrivere questo degli assassini del Commissario. Spero di aver frainteso la lettura e sarei felice se domani Sofri chiarisse di essersi espresso male o non essere stato compreso.

Anche perché, se ho invece compreso bene, a questo punto mi chiedo, caro Sofri, se tu, ricostruendo così precisamente il retroterra ideologico e perfino psicologico di quell’omicidio, non contraddici totalmente la tua linea difensiva al processo, dove – se non ricordo male – hai sempre affermato di non sapere assolutamente niente di questo omicidio, rifiutando quindi la tesi che voleva una genesi politica e ideologica (nell’ultrasinistra) del delitto.

Temo francamente che sia un colossale autogol.
Dettato dall’orgoglio.
Come l’evocare il Bobbio che nel 1998 “difese le ragioni del famigerato appello” (immagino che intenda il terribile appello di 800 intellettuali del 1971 contro Calabresi).
Inutile aggiungere altro, anche se altro da aggiungere ce ne sarebbe perché Sofri – anziché scusarsi per quella micidiale campagna di stampa – continua a sfornare chiacchiere opache.
L’ideologia ha avvelenato le sorgenti. E, a quanto pare, continua ad ammorbare l’aria 35 anni dopo. Continua a confondere il Bene e il Male.

Fonte: © Libero – 12 settembre 2008

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