Ieri e oggi a Loreto 400 mila giovani cattolici attorno al Papa: grande evento grazie a lui e ai tanti ragazzi (anche se qualche burocrate clericale ha rischiato di rovinarlo con le sue idee banali, talora ridicole e conformiste). Più di mezzo milione di presenze al Meeting di Rimini, luogo di forti contenuti culturali e di vivaci presenze sociali, che si conferma uno dei più grandi eventi popolari d’Europa. E poi i due milioni di manifestanti del “Family day”. E poi ancora lo stupefacente trionfo del referendum sulla legge 40 dove – avendo contro tutti i giornali e le tv, tutti i potentati e le lobby – i cattolici (con qualche laico illuminato), hanno convinto il 75 per cento degli italiani, stravincendo una vera battaglia etica in difesa della vita.
Perché questa grande forza, giovane e moderna, non dovrebbe fare il massimo, anche in politica, per il nostro Paese, magari mandando a casa tanti parrucconi, incapaci e attaccati solo al potere, che tengono in ostaggio l’Italia? Il Papa a Loreto ha invitato esplicitamente i giovani a “cambiare questo mondo”.

Lo stesso monsignor Bagnasco ha suggerito questa grande impresa ieri, a Loreto, dicendo che “l’amore per il Signore spinge verso gli altri e non esclude, quindi, la dimensione sociale e politica. Anzi, proprio la disponibilità a farsi carico dei problemi e dei bisogni degli altri è uno dei segni del cristianesimo. L’importante è sapere che la vera politica, quella con la P maiuscola, è sempre una forma importante di servizio”.
In questo Paese “spezzettato” (come lo ha definito Giuseppe De Rita) i cattolici sono ormai l’unica realtà popolare, dinamica, pacifica, creativa, di forti radici culturali e tradizionali. Hanno un pensiero solido, ideali grandi, facce pulite e nel loro Dna l’eredità del più importante movimento politico della storia italiana: la Democrazia cristiana. Perché dunque non dare espressione politica ai loro valori e alla loro idea di bene comune? L’Italia ne ha bisogno. I cattolici mancano da troppi anni a questo Paese. Che oggi è dominato da una casta politica ormai alla frutta (spesso alla grappa).
La novità è cresciuta senza che i mass media se ne accorgessero veramente e senza che i politici se ne preoccupassero. Ora i giovani formati in questi movimenti possono e devono diventare la nuova classe dirigente nazionale. Hanno le qualità migliori e sono protagonisti di splendide opere sociali, economiche e di solidarietà. De Rita, nella citata intervista al Corriere della sera, dopo aver decretato la “fine delle appartenenze”, ha fatto queste eccezioni: “resistono l’appartenenza massonica, intesa non come il Grande Oriente, ma come cordate e carriere. Quella localistica. Quella corporativa. E quella cattolica-ecclesiale, la sola non particolaristica, ma globale”.

Se la diagnosi è giusta – e a me pare realistica – ne deriva che il Paese, se vuole sopravvivere e non farsi divorare da contrapposti appetiti e convergenti meschinità, ha un bisogno estremo dell’impegno dei cattolici, non più (o non solo) a difesa dei diritti della Chiesa e di certi valori etici “non negoziabili”, com’è stato in questi anni, ma con un progetto per il Paese, per il bene comune, per il benessere futuro di tutti. Un progetto su cui può convergere anche il mondo laico più aperto, come fu dal dopoguerra in poi, attorno alla Dc, la più felice stagione della nostra storia nazionale: mezzo secolo di pace e di progresso che ha fatto balzare un Paese devastato dalla guerra, ai primi posti nel mondo per benessere e libertà.
Dopo il terremoto del 1992, spazzata via la Dc, i cattolici si sono trovati senza patria, ospiti subalterni in case altrui. La guida saggia del cardinal Ruini ha puntato a due obiettivi, tutti e due centrati molto bene: la difesa della libertà e dei diritti della Chiesa e alcuni valori etici decisivi per l’Italia su cui convincere la maggioranza degli italiani. E’ stata una presenza prepolitica. Un po’ come facevano i cattolici italiani attorno al 1912, con il Patto Gentiloni, trovandosi fuori del Palazzo, ma molto forti nella società.
Anche allora tuttavia, nel giro di pochi anni, quella ricca presenza sociale e culturale, acquistando peso politico, dovette diventare un progetto per il Paese e quindi un partito. Il 18 gennaio 1919 don Luigi Sturzo lanciò l’ “Appello ai liberi e forti” dando inizio al Partito popolare e con esso alla straordinaria avventura politica dei cattolici italiani. Chi oggi farà altrettanto? I tempi sono quelli propizi. Il frutto sull’albero è maturo e va colto. Va colto l’attimo. I cattolici hanno una grande presenza di popolo e di giovani, una forte tensione ideale, una radicata presenza sociale e educativa e un vero patrimonio politico. Il meglio in questo Paese è venuto da loro, anche nel passato. E’ stato Luigi Sturzo infatti a dare all’ Italia la prima forza veramente liberale e regionalistica, con il suo antistatalismo e il suo anticentralismo. E’ stato poi De Gasperi ad ancorare l’Italia all’Occidente, a battere il comunismo e ad “inventare”, con altri statisti democristiani europei, l’unione europea dove prima erano scoppiate due guerre mondiali.

E’ dunque il momento di rifondare la Democrazia cristiana. Comunque si chiami. Anche nel Palazzo si fa un gran parlare di ritorno del centro e della Dc. Ne parlano molto Mastella e Casini vedendo in essa la via d’uscita alla “paralisi politica del duo Prodi-Berlusconi”. Anche Berlusconi e Rutelli accarezzano l’idea ognuno valutandone la convenienza. E forse perfino il mondo tecnocratico e industriale (da Mario Monti a Montezemolo) è interessato. Non entro in questi loro schemi. Che però sono la conferma di una necessità. Se Mastella e Casini sapranno propiziare una ricomposizione democristiana anche fra i frammenti di politica del Palazzo, tanto meglio.
Ma la rinascita del partito dei cattolici non può essere solo una piccola operazione di Palazzo. Faranno opera meritoria e magari addirittura saranno protagonisti di un evento storico se agiranno con lungimiranza e generosità e – come ha detto Mastella – “non solo per far avanzare le proprie biografie personali”. C’è anche Pezzotta che rappresenta una forte presenza sociale dei cattolici.
Ma tutti costoro – che hanno visto iniziare le loro biografie politiche nel secolo scorso – dovranno poi impegnarsi per dare spazio e potere e responsabilità a volti nuovi e giovani, anche dal punto di vista generazionale: trentenni o quarantenni come accade dappertutto, a cominciare dall’America. Una nuova classe dirigente di radici cattoliche, ma di cultura moderna. Sarebbe una grande sorpresa per il Paese. Capace di tirarci fuori dalla palude.

Fonte: © Libero – 2 settembre 2007

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