Noi intellettuali italiani siamo divertenti e strani. Sguardo autocritico ed evoluzioni recenti: dall’asilo politico all’asilo infantile…

Un giorno Alberto Arbasino spiegò: “La carriera di uno scrittore italiano ha tre tempi: a 25 anni è una giovane promessa, a 50 è il solito stronzo e a 65 è un grande maestro”. A leggere la prima pagina della Repubblica di ieri s’intuisce in quale, di queste tre fasi, Pietro Citati collocherebbe lo scrittore Alessandro Baricco. La lite da ballatoio fra i due va avanti da tempo, ma ora coinvolge pure lo stato maggiore della Repubblica e il Parnaso delle patrie lettere.

C’è un antefatto da raccontare. Il 1° marzo scorso esce sulla Repubblica un alto lamento di Baricco sofferente. E’ intitolato: “Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura”. Lo scrittore aveva vissuto due esperienze traumatiche nello spazio di pochi giorni. Sulla Repubblica era uscito un articolo di Pietro Citati che descriveva il suo godimento nel guardare in tv i pattinatori delle Olimpiadi invernali, osservando i quali – spiegava – “dimenticavo tutto: le noie, le mediocrità, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino ‘L’Iliade’ di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusità dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio”. Dolente Baricco racconta il suo choc: “io ero lì, innocente, che mi leggevo con piacere l’esercizio di stile sull’argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata”.

Qualche giorno dopo stessa tragedia. Baricco apre L’Unità e legge un altro critico, Giulio Ferroni che pur parlando dell’ultimo libro di Vassalli a un certo punto se ne esce con questa frase: “che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell’ultimo Baricco!”. Il quale dev’essere stramazzato al suolo: l’orgoglio ferito e languente sotto i piedi. Per giorni ha evitato con terrore di aprire altri giornali. Si logora, rimugina, si tormenta: che fare? C’è chi gli consiglia di “ripassare” il suo estratto conto consolandosi con i cospicui diritti d’autore dei suoi libri e fregandosene dell’invidia dei “mandarini” delle patrie lettere. Ma non ce la fa. Medita di vendicarsi restituendo la pariglia. Per esempio “facendo un reportage sul Kansas e lì staccare una frasetta tipo ‘questi rettilinei nella pianura, interminabili e pallosi come un articolo di Citati’ ”. Oppure progetta di scrivere un articolo sulla birra analcolica definendola a un certo punto “triste e inutile come una recensione di Ferroni”.

Ma non basta. Troppo poco per ripagare due così sanguinose offese. Baricco rosica, ah come rosica: “Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non è vero”. Perciò – rosicando – fa quello che non avrebbe mai dovuto fare: lo sventurato rispose. Facendo sapere che rosicava e quindi amplificando il godimento dei nemici. Nel vergare le sue 8.500 battute, Baricco sa di cacciarsi in un guaio. Ma l’Ego arroventato e ferito dello scrittore reclama soddisfazione. Piuttosto che sentirsi trascurato, preferisce immolarsi.

Egli spiega che il naturale narcisismo dell’artista preferisce di gran lunga essere massacrato, con odio lucido e deliberato, da critici che almeno facciano la fatica di dedicare alla loro vittima libri e articoli, che essere snobbato e distrattamente sputazzato mentre si parla d’altro. Con un inciso galeotto. Quasi che il giudizio pessimo su Baricco fosse proverbiale, ovvio, generale, dato per scontato, non meritevole neanche di ragioni. Lo scrittore lancia la sua legittima sfida: se avete argomenti (e attributi) stroncatemi, con una paginata di bastonate, ma buttar là una frasetta sprezzante e gratuita in articoli dedicati a tutt’altro, è un’ingiustizia così orrenda che difficilmente l’umanità potrà farsene una ragione. La parabola del giovane Baricco così ha imboccato una china pericolosa, anche perché è scrittore di successo e di vasta autostima (si ritiene in condizione di riscrivere Omero…). Dunque la dispettosa pernacchia allo scrittore-Narciso è diventata un crudele sport collettivo. Il giorno dopo, 2 marzo, quei goliardi del Foglio, nella loro irriverente caciara anti-intellettualistica, hanno infarcito tutti gli articoli con una frasetta tra parentesi che tirava un’allegra pedata a Baricco scimmiottando Citati e Ferroni. C’era l’articolo di cronaca dall’Emilia dove si leggeva: “Quella di Sassuolo è una storia di eccessi (altro che la noia di leggere Baricco)”. Poi c’era il reportage dal Medio Oriente: “le trattative interne con il governo di Hamas non aiutano a distendere il clima (e certo che però Ferroni è proprio un bravo critico)”. Quindi l’articolo di politica: “Berlusconi visibilmente sorpreso dall’accoglienza che gli hanno riservato senatori e deputati americani (e che mai uno come Baricco riuscirebbe ad avere)…”. Pure l’articolo di costume: “Si registra un permissivismo sfrenato (Baricco inizia a scrivere libri)”. Anche la politica estera vedeva spuntare il perfido inciso: “Putin piace sempre meno (ma la scrittura di Baricco irrita di più)”. Non è sfuggita neanche la rubrica di previsioni del tempo: “Variabile e ventoso su tutte le regioni (per favore, fermate Baricco)”.

Cionondimeno la sortita di Baricco gli ha guadagnato pure i sospirati articoli. Uno dei quali – del sopra citato Giulio Ferroni – lamenta di aver recensito Baricco, ma evidentemente di non essere stato da lui letto. E giù una sua geremiade sulla sventurata sorte dei critici letterari che sudano sulle carte e nessuno si “caga”. Ferroni afferma di essere più infelice di Baricco con questo ferreo argomento: “io la leggo, ahimé, senza ricavarne molto, e lei non legge me e ne ottiene un successo planetario”.

Come se non bastasse il povero Ferroni ha dovuto subire un altro orribile affronto che rinfaccia a Baricco: “ulteriore motivo di depressione è stato per me sapere che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della mia università si è esibito il degnissimo cantante Claudio Baglioni, ma non per cantare, sì invece per leggere brani di Aristotele e del suo (di Baricco, ndr) ‘Novecento’: lo vede che le parole dei critici non contano nulla nemmeno nelle università dove essi insegnano?”.

Per Baricco è l’apoteosi. Come se non bastasse essere accostato ad Aristotele e addirittura a Claudio Baglioni, il grande scrittore ha avuto la gratificazione di veder pubblicato a puntate, sulla Repubblica, un suo libro, “I barbari”, quasi ogni giorno una paginata per tutta l’estate. E’ la gloria. A mezza bocca, sulle spiagge, il giudizio più diffuso ricalca quello di Fantozzi sulla “Corazzata Potemkin”. Ma ormai Baricco è l’unico scrittore a cui è concesso tanto. Come è l’unico a cui “viene concesso da un importantissimo giornale come la Repubblica di scrivere in prima pagina un articolo di critica letteraria, in cui non si parla né di letteratura né di critica, si parla del fatto che i critici trattano male Baricco, autore dell’articolo” (Berardinelli).

Sennonché ieri sulla prima pagina di Repubblica è uscito un articolo di Pietro Citati (sì, proprio lui) sui pomodori: “Quando i pomodori avevano un sapore”. Il mondo è in fiamme, l’Italia in subbuglio, ma il grande Citati si occupa di pomodori e si dilunga a tessere l’elogio di quelli di un tempo. Per migliaia di battute. Ti chiedi come si fa a scrivere (e pubblicare in prima pagina) una tale apologia del pomodoro. Ma alla fine si capisce. Per la sciabolata di una sola riga: “I veri pomodori hanno un grande pubblico: quasi come i libri di Alessandro Baricco”.

Questo è lo stato attuale della nostra cultura. Fino a ieri in procinto di chiedere l’asilo politico all’estero (causa Berlusconi) e oggi presa da innocenti giochi da asilo d’infanzia.

Fonte: © “Libero”, 19 agosto 2006

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