La guerra in Ucraina ha irreversibilmente cambiato la situazione geopolitica del mondo e ha avuto un effetto dirompente anche sulla Chiesa. Nel decimo anniversario dell’elezione di Papa Francesco, dopo un anno di conflitto, dobbiamo constatare l’impressionante solitudine del Pontefice.

In una crisi che sconvolge l’ordine internazionale (e anche le economie degli Stati) avvicinando l’umanità a una guerra mondiale e nucleare, come mai prima era accaduto, il grido del Papa non ha trovato nessun ascolto tra i potenti.

Marco Politi ha scritto: “È una situazione mai sperimentata della diplomazia vaticana. Nelle cancellerie europee la (sua) voce è rispettata, ma marginalizzata, silenziata”.

Lorenzo Prezzi, un altro analista della Chiesa, spiega: “Né Putin, né Biden, né Xi Jinping, né Zelensky hanno chiesto il suo intervento. Diversamente da quanto succedeva nella crisi di Cuba (1962), nel trattato di Beagle (fra Argentina e Peru nel 1979), nella riapertura delle rappresentanze diplomatiche fra USA e Cuba (2015) o in altre situazioni come la netta opposizione di Giovanni Paolo II alla guerra del Golfo nel 2003”.

Perché? Cosa sta accadendo? In una recente intervista alla radio svizzera il Pontefice ha spiegato che nella guerra in Ucraina ci sono interessi imperiali, non solo dell’impero russo, ma degli imperi di altre parti”.

Gli imperi che lì si confrontano sono la Russia, gli Stati Uniti (con l’Unione Europea come appendice americana) e la Cina. Effettivamente nessuno di loro ha voluto interloquire con la Santa Sede. Non si tratta solo diestraneità politica, ma anche di ostilità ideologica. L’altro attore internazionale che resta fuori da questo quadro è il mondo islamico e anche in questo caso la lontananza dalla Chiesa (se non l’avversità) è palese.

Tuttavia bisogna sottolineare che non si tratta soltanto della solitudine di Papa Francesco, ma è la solitudine della Chiesa del terzo millennio. Una situazione che inizia con Benedetto XVI e della cui portata storica ancora non ci si è resi conto veramente.

Infatti, fin dalla sua nascita, la Chiesa – come insegnava sant’Agostino – ha sempre cercato, per il bene dell’umanità e per la propria stessa missione, “la tranquillità dell’ordine”, ritenendo la pace “un bene così nobile che, anche tra le cose mortali e terrene, non c’è niente di più gradito all’orecchio, né di più dolce al desiderio, né di superiore in eccellenza”.

Dunque la Chiesa si è sempre rapportata ai poteri della città terrena cercando di evitare sia persecuzioni, che asservimenti, che intromissioni nella sua vita spirituale. Ma esortando a costruire un mondo pacificato e giusto.

Così il rapporto fra la Chiesa e gli Stati (o gli Imperi) è consistito nella ricerca di un equilibrio (a volte teso e temporaneo), ma la Chiesa, nel corso dei secoli, ha sempre avuto interlocutori che – anche solo tatticamente – collaboravano e che poteva considerare alleati.

Dal 1945 al 1990 l’Occidente ha garantito la libertà della Chiesa perché gli Stati Uniti la ritenevano un prezioso argine, nella Guerra Fredda, contro il comunismo dell’est europeo.

I partiti democristiani governavano l’Europa ed erano gli interlocutori naturali della Santa Sede. Crollato il comunismo, la Chiesa (come l’Italia, dove spariva la Dc) ha perso importanza geopolitica e anche la “protezione” americana.

Il pontificato di Giovanni Paolo – per il carisma e il prestigio del papa polacco, che ebbe un ruolo importante nel crollo incruento del comunismo all’Est – ha avuto, anche negli anni Novanta, un peso geopolitico, ma sempre minore.

Mentre per la Chiesa cominciava non il tempo nuovo della libertà religiosa, come si immaginava dopo la caduta del Muro di Berlino, ma un accerchiamento ideologico laicista che partiva dall’Europa (diventata Unione europea) e dalle presidenze liberal americane.

La parentesi necon di George Bush creò un’altra frattura con la Santa Sede perché, con il ciclo delle guerre in Medio Oriente, dopo l’attentato alle Torri gemelle, si rese evidente che la voce del Papa non trovava più ascolto in Occidente.

È apparso chiaro che liberal americani e neocon erano due facce della stessa medaglia e il pontificato di Benedetto XVI, accerchiato politicamente e assediato ideologicamente dallo stesso Occidente, pure dalla nuova Europa laicista, non a caso si è concluso con la rinuncia.

Negli anni di Papa Francesco è crollata anche la speranza vaticana che la Russia, evolvendo verso una democrazia vera, potesse rappresentare un contrappeso culturale e politico su cui contare (tanto meno la Cina).

Oggi l’isolamento politico della Chiesa è speculare all’irrilevanza della UE che, egemonizzata dalla Germania, ha inseguito per anni l’illusione di una prosperità economica senza identità politica e culturale (difesa, politica estera e ideologia sono stati appaltati agli Usa).

Ma questa è anzitutto la disfatta della Dc tedesca (la Cdu che è stata al governo di Berlino e, tramite il Ppe, di Bruxelles) e deriva dalla disfatta della Chiesa progressista tedesca.

I cui vescovi – prima contro Benedetto XVI e oggi contro Francesco – stanno avanzando, con il loro Sinodo, verso lo scisma e verso il suicidio ecclesiale. Tutto si tiene e tutte le crisi hanno un’origine spirituale. A Roma lo sanno.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 marzo 2023

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