“Ho letto con immensa curiosità e grande piacere la sua ricerca sull’Omero baltico”. Firmato: Massimo Cacciari.

“Tutta la civiltà greca delle origini, e tutti i miti classici, ci sono arrivati di là, tra Circolo Polare Artico e Mare del Nord (…). Scommetto che il Vinci può vincere”. Firmato: Edoardo Sanguineti(l’Unità, 11 ottobre 2003).

“Ciò che qui è messo in gioco non è soltanto la questione omerica, ma una nuova visione della preistoria europea”. Firmato: Rosa Calzecchi Onesti.

Con queste autorevoli parole di apprezzamento, riportate nella quarta di copertina, si presenta il libro di Felice Vinci, “I segreti di Omero nel Baltico” (Leg Edizioni).

Quelle parole si riferiscono al suo precedente saggio del 1995, “Omero nel Baltico” (Fratelli Palombi Editori), che è stato tradotto in otto lingue (il nuovo volume approfondisce e arricchisce quello studio).

Dal 1995 infatti la sua tesi rivoluzionaria ha fatto strada, fino a entrare nel dibattito accademico e ad essere discussa in convegni come quello di Toija in Finlandia nel 2007 e poi nel 2011. O in quello organizzato dall’Università di Roma nel 2012 i cui atti sono stati pubblicati nel numero monografico della “Rivista di cultura classica e medioevale” (n. 2, luglio-dicembre 2013). O al convegno di Atene del 2017.

La sua tesi – che di per sé riguarda la letteratura classica e la storia antica – acquista poi una sorprendente attualità per due problemi che oggi occupano le cronache quotidiane: il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina.

Cosa c’entrano con “I segreti di Omero nel Baltico”? “Quattro millenni e mezzo fa il nostro pianeta era di 4° più caldo” spiega l’archeologa Alessandra Giumlia-Mair “in Scandinavia vi era il cosiddetto Optimum climatico post-glaciale” e vi “cresceva persino la vite”. Lì fiorì l’età del bronzo durante la quale la Scandinavia fu “la culla della metallurgia europea”. Poi “il cambiamento climatico iniziò verso il 2700 a.C.”, molte regioni nordiche divennero inabitabili provocando migrazioni di quei popoli.

Secondo Vinci “fu probabilmente un motivo climatico quello che ad un certo punto, forse non molto tempo dopo che si erano svolte le vicende cantate da Omero, indusse gli Achei a trasferirsi nel Mediterraneo”.

Così “i migratori achei discesi dal nord raggiunsero la Grecia e qui dettero origine alla civiltà micenea, fiorita a partire dal XVI secolo a.C.”.

Dunque tutto deriverebbe da uno dei ciclici cambiamenti climatici della Terra (o forse dalla “crisi climatica causata dall’esplosione del vulcano di Santorini”).

Le antiche trasmigrazioni di popoli, di culture e di lingue sono certe. In questo caso, secondo Vinci, si trattò probabilmente degli “Iaones omerici che provenivano dalla Svezia” e che portarono con sé anche la tradizione orale della loro età eroica la quale poi “fu messa per iscritto verso l’VIII secolo a.C., quando in Grecia fu introdotta la scrittura alfabetica, dando così origine all’Iliade e all’Odissea nella loro forma attuale”.

Del resto Bertrand Russell, già nel 1945, nella sua “Storia della filosofia occidentale”, a proposito dell’origine dei Micenei, scriveva: “Vi sono tracce che fanno ritenere probabile che essi fossero dei conquistatori che parlavano greco”. Secondo Russel “almeno l’aristocrazia” era costituita da “invasori nordici che portavano con sé la lingua greca”.

Molto tempo dopo dalle stesse popolazioni scandinave verrà il principe Vladimir di Kiev che, nel X secolo d.C., si convertì al cristianesimo. La Rus’ di Kiev è il primo Stato slavo orientale (lì, con il contributo di altri popoli, è l’origine di ucraini e russi).

Peraltro – secondo Vinci – l’“autostrada” naturale che potrebbe aver portato gli Achei dal Nord Europa alla zona del Mar Nero e alla Grecia, è il fiume Dniepr, che attraversa l’attuale l’Ucraina e bagna Kiev. Oggi – per una strana coincidenza – divampa una tragica guerra, che potrebbe espandersi a un conflitto mondiale, proprio nelle stesse terre che, secondo questa tesi, hanno visto nascere la civiltà europea.

L’indagine di Vinci iniziò molti anni fa grazie a uno spunto fornito da Plutarco che collocava l’isola di Ogigia – punto di arrivo dei viaggi di Ulisse prima del ritorno ad Itaca – nell’Atlantico del nord, “distante cinque giornate di navigazione dalla Britannia, verso il tramonto”.

Peraltro pure Tacito riferiva certe tradizioni antiche: “alcuni ritengono che anche Odisseo nel suo lungo e leggendario peregrinare sia giunto in questo Oceano e sia approdato alle terre della Germania”.

Vinci ha anzitutto lavorato sull’ambientazione dei poemi omerici che – sostiene – non ha nulla del mondo Mediterraneo, mentre rimanda, in mille dettagli, al mondo nordico.

Inoltre c’era l’annosa questione omerica che gli studiosi non erano mai riusciti a far quadrare, ovvero la geografia dei due poemi la quale non corrisponde ai luoghi che storicamente, nel Mediterraneo, portano i nomi omerici. Tanto meno corrisponde alle descrizioni omeriche la Troia di Schliemann.

Gli addetti ai lavori giustificano queste clamorose difformità sottolineando che Omero non era un geografo ed evidentemente l’invenzione letteraria nelle sue opere prevaleva sulla realtà geografica.

Ma Vinci mostra che invece nella collocazione baltica dei poemi tutta la geografia omerica calza a pennello: coincidono le descrizioni di zone, paesaggi, città, distanze, coste, isole, pianure e fiumi fin nei dettagli.

A suo parere resta anche, nella zona baltica, un’impressionante quantità di toponimi che rimandano proprio a quelli omerici in perfetta coincidenza con la loro collocazione nell’Iliade e nell’Odissea.

Nella collocazione nordica dei poemi omerici trovano spiegazione anche i passi enigmatici delle due opere che nessuno ha mai potuto spiegare (per esempio le notti bianche, il sole di mezzanotte, le “danze dell’alba”, l’aurora boreale, l’oscurità del solstizio d’inverno, le anomalie nelle fasi lunari).

Il libro di Vinci contiene una gran quantità di spunti affascinanti e originali che meritano riflessione, anche critica. Ma seria.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”,  7 agosto 2022

 

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