Perfino il “New York Times” ha scritto venerdì che questo pontificato può rivelarsi “un disastro” per la Chiesa.

In effetti lo è già, come conferma la figuraccia planetaria del Vaticano: ieri Bergoglio è stato costretto a far pubblicare integralmente la lettera di Benedetto XVI, compresi i passi polemici che maldestramente oltretevere avevano omesso (li vedremo poi).

Ma perché sembra che le cose stiano precipitando? Con il crollo del grande sponsor imperiale di Bergoglio (l’amministrazione Obama/Clinton) e col consolidarsi di Trump, è venuta meno la legittimazione geopolitica in cui è nato questo pontificato.

Da qui la spasmodica corsa di Bergoglio e della sua corte a puntellare la sgangherata stagione sudamericana – troppo esposta a sinistra – cercando nuovi appoggi (perfino nella Russia di Putin, senza tanto successo).

CERCA LEGITTIMAZIONE

Ma soprattutto Bergoglio ora cerca maldestramente legittimazione proprio da quella Chiesa wojtyliana e ratzingeriana che lui e la sua corte per cinque anni hanno bombardato con tutta l’artiglieria polemica.

Ieri è corso addirittura a Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, a omaggiare il santo più tradizionale (per dirla con le sue categorie: il più rigido e conservatore), il più lontano da lui: padre Pio (mentre continua a perseguitare i suoi figli spirituali, i Francescani dell’Immacolata).

Tempo fa ha reso omaggio a Lutero e a Fidel Castro. Ieri a padre Pio: fa ciò che la convenienza politica del momento detta (e proprio nei giorni in cui consegna la chiesa cinese perseguitata al regime comunista).

Crede così di recuperare i consensi perduti. Anche per i recenti e irrisolti problemi ricordati dal “New York Times”: il caso del vescovo cileno emerso durante il recente viaggio di Bergoglio e le polemiche che hanno investito “uno dei suoi principali consiglieri, il cardinale honduregno Óscar Maradiaga”.

Ma il problema maggiore è lo sbandamento in cui ha gettato fedeli, parroci e vescovi in tutto il mondo.

Così pochi giorni fa il Vaticano ha tentato il colpaccio cercando di “usare” la grande autorevolezza di Benedetto XVI per legittimare un papato che fa acqua da ogni parte.

Solo che ne è venuto fuori un pastrocchio planetario. Un colossale autogol.

COSE MAI VISTE

Riassumo i fatti: il prefetto della segreteria per la comunicazione di Bergoglio, mons. Viganò, scrive il 12 gennaio a Benedetto XVI chiedendogli di scrivere una “breve e densa pagina teologica” a commento di undici libretti di vari autori elogiativi della dottrina di Bergoglio.

Passa un mese (si possono immaginare le pressioni) e il 7 febbraio Benedetto XVI gli risponde di no con una lettera “riservata” e “personale”.

Ma Viganò (a nome del Vaticano), un mese dopo, il 12 marzo, alla vigilia dell’anniversario dell’elezione di Bergoglio, rende noti alcuni passaggi estrapolati di quella lettera: “al grande pubblico” scrive Sandro Magister “essa è arrivata come se fosse una sorta di ‘voto’, più che buono, dato da Benedetto al suo successore, al termine del suo primo quinquennio. A favorire questa interpretazione è stato anche il comunicato stampa diffuso per l’occasione dallo stesso Viganò, che citava della lettera solo il secondo e il terzo capoverso”.

Solo dopo si è scoperto che c’era un altro paragrafo dove Benedetto XVI – appunto – rispondeva che non aveva tempo per leggere quei libretti, neanche in futuro, perché aveva altro da fare. E che non avrebbe scritto la cartella richiesta.

L’altroieri è emerso pure che “l’inizio di questo paragrafo era stato artificiosamente reso illeggibile nella foto della lettera diffusa dalla segreteria di Viganò” (Magister).

Infine ieri si è saputo che nella lettera di Benedetto c’era un ulteriore paragrafo “che Viganò s’è guardato dal leggere in pubblico e s’è premurato di coprire ben bene, nella foto, con gli undici libretti sulla teologia di papa Francesco” (Magister).

INDIGNAZIONE

In questo paragrafo Benedetto spiegava perché si rifiutava di scrivere quella cartella. E sono queste righe esplosive:

“Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative anti-papali. Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della ‘Kölner Erklärimg’, che, in relazione all’enciclica ‘Veritatis splendor’, attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la ‘Europäische  Theologengesellschaft’, che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale. In seguito, il sentire ecclesiale di molti teologi ha impedito quest’orientamento, rendendo quell’organizzazione un normale strumento d’incontro fra teologi. Sono certo che avrà comprensione per il mio diniego e La saluto cordialmente”.

Come si può notare non c’è solo il sarcasmo del primo brano omesso, dove si rifiuta di leggere i libretti e di scriverne perché ha altro fare. Qui c’è anche la mite indignazione di un uomo di Dio che subisce un affronto.

Oltretutto quell’Hünermann era arrivato a dichiarare che la “pietra miliare” lasciata da Benedetto XVI nella Chiesa era stata “il fatto di ritirarsi”.

Dunque hanno chiamato a esaltare Bergoglio un teologo che si era schierato pubblicamente contro Benedetto XVI, “un teologo fondatore di un’organizzazione contraria apertamente al magistero pontificio” (Badilla).

Basta questo per capire quale “continuità” ci sia fra il pontificato di Bergoglio e quello dei predecessori.

Il passo polemico di Benedetto XVI fa anche capire come vanno lette le parole che il Vaticano aveva sbandierato come appoggio a Bergoglio. Dove sembrava elogiare lo scopo di questi libretti di “opporsi allo stolto pregiudizio” su Bergoglio e mostrarne “la profonda formazione filosofica e teologica”.

Erano parole di cortesia con cui Benedetto probabilmente riprendeva le espressioni della lettera di Viganò, ma rilette alla luce dei passi omessi assumono tutt’altra luce: sottolineano un colossale problema, non una continuità.

E’ ANCORA PAPA

Proprio alla parola “continuità” – evidentemente suggerita nella lettera di Viganò del 12 gennaio – Benedetto XVI infatti ha aggiunto una parolina: “interiore”. Si noti la stranezza di quel concetto: “continuità interiore tra i due pontificati”.

Anzitutto fa pensare che non si veda una continuità esteriore negli atti e negli insegnamenti.

Ma poi con quella parola richiama una pagina cruciale del suo ultimo libro, “Ultime conversazioni”, nella quale Benedetto spiega che – anche dopo la rinuncia – egli continua ad essere papa usando la metafora del padre: “Anche un padre (che) smette di fare il padre non cessa di esserlo, ma lascia le responsabilità concrete. Continua ad essere padre in un senso più profondo, più intimo, con un rapporto e una responsabilità particolari”.

Ed ancora: “il papa… se si dimette, mantiene la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, non nella funzione”.

Ecco da dove viene quella parola. Con essa Benedetto conferma l’esplosiva conferenza tenuta dal suo segretario, mons. Georg Gaenswein, alla Gregoriana, nella quale affermava – fra l’altro – che “dall’11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima… Benedetto XVI (lo) ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione. Prima e dopo le sue dimissioni” proseguiva Gaenswein “Benedetto ha inteso e intende il suo compito come partecipazione a un tale ‘ministero petrino’. Egli ha lasciato il Soglio pontificio e tuttavia, con il passo dell’11 febbraio 2013, non ha affatto abbandonato questo ministero. Egli ha invece integrato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune”.
La corte bergogliana si scagliò contro questa idea di
“ministero in comune”, ma oggi Benedetto gliel’ha sottilmente mostrata in atto con quell’espressione che non hanno capito e che dice che Benedetto è ancora papa. Il mistero continua.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 18 marzo 2018

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