LA VITTORIA DI TRUMP E LA RABBIA DEI SUOI NEMICI. UN GRANDE PRESIDENTE PER LIBERARSI DALLA DITTATURA POLITICALLY CORRECT
Donald Trump conclude il suo primo mandato presidenziale con due successi straordinari che perfino gli avversari (non accecati dall’odio) hanno dovuto riconoscergli: l’economia e la politica internazionale.
A gennaio scorso, prima della tempesta Covid, l’economia americana macinava record su record, avendo praticamente azzerato la disoccupazione. Poi il “virus cinese” (come lui lo chiama) ha avuto effetti micidiali, ma la ripresa è già formidabile. Venerdì Federico Rampini su “Repubblica” riconosceva: “L’America riparte alla grande. Il dato sulla ripresa del suo Pil (+33% su base annua) è fantastico”.
A livello internazionale Trump ha sbarrato il passo alla marcia trionfale della Cina (favorita dai suoi predecessori) cambiando così l’agenda americana e mondiale. Inoltre ha concluso una serie di importanti trattati di pace, soprattutto in Medio oriente, senza mai fare una guerra (specialità del bipartito Dem/Neocon). In sostanza è lui che avrebbe meritato il Nobel per la pace, non Obama.
Ma (oltre ad altri successi come lo stop all’immigrazione) l’aspetto più clamoroso è un altro: Trump li ha fatti impazzire. Contro di lui è venuta alla luce, senza più ipocrite pose salottiere, tutta la macchina dell’odiointernazionale che si estende dal Deep state americano al sistema mediatico, destabilizzato da questo presidente che demolisce la dittatura del politicamente corretto.
Anche in Italia gli imitatori provinciali dell’establishment mediatico americano hanno dato il meglio (o il peggio) di sé. Dopo tutte le lagne “contro l’odio” che abbiamo ascoltato in questi anni, è emblematico che nessuno si sia mai scandalizzato per il trattamento riservato a Trump dal giornalismo progressista italico (essendo politically correct, non incorre nelle scomuniche dei “buoni” contro gli odiatori).
Il più scatenato è stato Giuliano Ferrara che, nella sua ennesima metamorfosi, in questi quattro anni, ha riesumato i toni della stampa comunista del secolo scorso.
Ha cominciato a bombardare sul “Foglio” del 10 agosto 2015, già prima della sua elezione: “Donald Trump è un noto tamarro, e se gli americani dovessero eleggere quel riporto ambulante presidente o anche solo candidato repubblicano mi strapperei i capelli”.
Il 13 ottobre 2016 lo definisce “cialtrone in chief” e aggiunge che “Donald non sa un cazzo”. Prosegue così per quattro anni definendolo “l’Impostore”. Il 7 maggio 2020 lo descrive come “capo di una cricca”, che ha bisogno di“smaltire lo sterco accumulato in anni di banditismo politico”.
Il 28 luglio scorso accusa il filosofo Agamben di “concedere le sue grazie a Bolsonaro e a Trump… questo non mi stupisce… una verità è una verità… anche se sparsa da fottutissimi statisti criminogeni a Rio de Janeiro e a Washington. Il neototalitarismo però è ravvisabile nello stile dei gangster demagogici che rovinano la salute pubblica”.
Il 29 luglio scrive di Trump che “l’uomo è pericoloso perché infantile e carogna”, gli attribuisce “una vita di abusi e comportamenti sempre sul filo della legalità, in una visione omertosa e coscarola” e attacca “la furia devastatrice di questo incredibile fenomeno di sprezzo verso la democrazia”.
Si resta sorpresi e divertiti dal tracimare di tanta bile che sembra quasi sintomo di qualcosa di personale: cosa gli avrà fatto Trump? Gli ha rigato la macchina? Gli ha investito il cane? Non si sa.
Il 31 luglio Ferrara, in un editoriale titolato “Il perverso Trump sulla via del tradimento”, torna a bombardare il presidente americano definendolo “un gangster, un incubo”, “un demente con alto profilo criminale”,“personalità sleale, vanagloriosa, nevrotica fino alla paranoia”.
Gli attribuisce “una cosca di sodali”, “narcisismo demagogico”, “coscienza infantile, cattiva di perverso polimorfo” ed escogita una nuova definizione: “un ridicolo Grande Fratello di successo, proiettato come un bambino viziato nella carica più importante al mondo”.
Il 12 agosto Ferrara carica di nuovo con un articolo intitolato “America scema” dove parla di “quattro anni di indecenza trumpiana” e di “un impostore di minoranza che ha spadroneggiato sul paese manomettendo impudicamente la sua essenza storica”. Infine tuona contro “i rimbecilliti del trumpismo”.
Si noti che questo fiume in piena viene da quel Ferrara che andava in brodo di giuggiole per George Bush jr, obiettivamente mediocre e disastrosamente guerrafondaio.
Ferrara è il più scatenato fra gli “addetti ai livori” e ovviamente è stato subito scimmiottato nel suo piccolo giornale, dove c’è chi si sente autorizzato (sulla prima pagina) a scrivere – per esempio – “un sovrano imbecille come l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò”, parlando del prelato che Benedetto XVI nominò nunzio apostolico negli Usa e che è definito dal titolo dell’articolo “l’obnubilato di Trump”.
Il 7 ottobre, dopo che si è saputo che il presidente Usa aveva contratto il Covid, il solito Ferrara lancia l’ennesima invettiva intitolata: “Trump narciso e criminale fino all’eroismo”. Sottotitolo: “Non basta una malattia a fare di un clown e di un estorsore, di un pagliaccio cattivo e molesto… un eroe nero di Marlowe”.
Nel consueto tracimante fiume di bile spiccano perle di questo tipo: “Trump, narcisista di tendenza criminale”, “Ecco a voi il cosiddetto presidente Trump (con tutto il corteggio di loschi imbecilli che nel mondo gli hanno retto il moccolo)”. Ferrara parla poi di “abissale impudicizia e volgarità” dell’“Impostore” augurandogli di “togliersi definitivamente dai coglioni”.
Una “raffinata” analisi che ha, appunto, il merito di riesumare (peggiorandola) la prosa dei giornali comunisti di un tempo.
Per restare fra i (post)comunisti ecco Michele Serra che su “Repubblica” l’11 novembre 2016, subito dopo l’elezione di Trump, scrive: “considero Trump una persona dalla biografia ripugnante, dai modi ripugnanti e dalle idee ripugnanti” (sui leader comunisti dell’Est, quando scriveva sull’Unità, Serra avrà mai usato termini simili?).
Roberto Saviano subito dopo la sua elezione dichiara: “è il simbolo dell’America profonda, quella cafona, tracotante e ignorante che non legge giornali né libri”.
Furio Colombo, che ha sempre frequentato capitalisti santi e immacolati, lo definisce “un evasore, un mentitore, un uomo volgare”.
Vittorio Zucconi affermava: “L’uomo (Trump) ha dei seri problemi di stabilità mentale… siamo alle soglie di una tragedia greca: la follia di re Donald”.
Ci sono poi le interviste, come quella di Michael Wolff a Piazzapulita su la7. L’intervistatore gli chiede se è vero quello che qualcuno ha scritto, cioè che Trump “è un idiota circondato da clown”, e lui risponde: “E’ proprio così. Senza alcun dubbio Trump è un’idiota. E tutti quelli che gli stanno attorno stentano a trovare le parole adeguate per descriverlo. C’è chi dice che è un idiota, chi dice che è un deficiente, chi dice che è uno stupido”.
Su “Repubblica” il 4 settembre 2018 usciva un articolo con questo incipit: “‘Il tycoon è uno squilibrato. E anche un idiota. E’ inutile tentare di convincerlo di qualsiasi cosa. E’ andato fuori controllo. Siamo in Crazytown’, avrebbe detto ai colleghi il chief of staff John Kelly”.
A cosa si deve questo incredibile trattamento mediatico? Un po’ forse è il provincialismo di chi imita l’establishment di oltreoceano. Ma riemerge anche quel fiume carsico di odio – di origine comunista – che attraversa disgraziatamente la storia italiana.
Stupisce che queste espressioni per quattro anni siano state stampate sui giornali in cui – in contemporanea – si impartivano lezioni di stile e si tuonava contro l’odio, la volgarità e la rozzezza, ovviamente attribuite agli altri.
Ma, superato lo sconcerto e poi la pena, è stato uno spettacolo divertente veder cadere tante maschere e veder scoppiare tanti fegati. Fra i meriti non piccoli di Trump c’è quello di averli fatti venir fuori al naturale.
.
Antonio Socci
.
Da “Libero”, 1 novembre 2020