L’ASSURDA FATWA DELLA UE CONTRO IL VINO. E’ UNA GUERRA ALL’ITALIA E ALLA NOSTRA CIVILTA’
L’Unione Europea sta per dichiarare guerra al vino e non sarà solo una guerra contro l’Italia, ma pure contro la cultura e la storia della nostra civiltà.
Ecco la notizia: martedì 15 febbraio verrà discusso al Parlamento europeo il cosiddetto “Cancer Plan”. Il quale, di per sé, ha una finalità giusta, combattere il cancro, ed avrà pure un finanziamento di 4 miliardi a integrazione delle risorse investite dagli Stati. Solo che vogliono perseguire questa sacrosanta finalità mettendo nel mirino anche il vino.
L’Unione italiana vini già prevede effetti devastanti per il settore se il piano non sarà cambiato (un crollo del 35% del fatturato, che equivale a 5 miliardi di euro l’anno).
Ma cosa c’entra il vino con il cancro? Sandro Sator, presidente dell’associazione europea “Wine in Moderation” ha spiegato giustamente “come non vi siano evidenze scientifiche che il consumo moderato nell’ambito della Dieta mediterranea sia dannoso”.
Anzi, gli esponenti del settore vinicolo ricordano i molti studi che dimostrano l’esatto contrario. A quanto pare il vino agisce come antiossidante e fornisce all’organismo tante sostanze che hanno proprietà antinfiammatorie e antitumorali. Addirittura contrasta l’insorgere della depressione. Inoltre il vino rosso contiene elementi che fanno bene al cuore e al sistema cardiocircolatorio per prevenire l’ictus, l’angina pectoris e l’infarto.
Ma allora come si spiega un simile abbaglio? L’errore sta nell’idea di assimilare il vino ai superalcolici. Un’assurdità. L’UE infatti è partita facendo sua la trovata francese del “Nutri-Score” (che già tante polemiche aveva suscitato a proposito del Parmigiano e del Grana). Il vino viene classificato insieme a superalcolici e birra, quindi – nella scala tra A (verde) ed F (nero), che indica la dannosità per la salute – avrebbe il semaforo nero, con una serie di penalizzazioni correlate (anche di tipo fiscale).
Tutto questo – scrive Isabella Perugini – “senza tenere conto né della gradazione alcolica differente tra i prodotti, né tanto meno degli stili e delle consuetudini di consumo”.
Ma come si può assimilare il vino ai superalcolici? L’alcolismo da superalcolici di certe aree del Nord Europa non c’entra niente con la raffinata cultura del vino che, per esempio in Italia, si è ormai affermata, insieme alla dieta mediterranea.
In Italia sappiamo da decenni che il vino si gusta, non si tracanna. Il vino si beve per goderne la qualità, non per ingurgitare la quantità, tanto è vero che negli ultimi 35 anni il suo consumo pro-capite si è dimezzato, mentre la qualità si è innalzata.
L’Italia dimostra che la strada giusta non è la fatwa di sapore talebano contro l’alcol genericamente inteso, che ricorda il romanzo distopico di Chesterton: “L’osteria volante”.
La via giusta per prevenire l’abuso – e i danni conseguenti – è piuttosto la cultura, l’educazione del gusto e la diffusione di stili di vita sani. Gli italiani possono insegnarlo: da noi anche i giovani bevono molto meno dei coetanei stranieri.
Nel nostro Paese il vino – che dà lavoro a 1,3 milioni di persone – è anzitutto un fatto di cultura. Ha a che fare con il nostro paesaggio, con la nostra fantastica cucina, con la nostra convivialità, con la vita delle nostre comunità e dei nostri territori e perfino con la nostra tradizione religiosa.
Tempo fa un vescovo toscano scrisse – durante la vendemmia – una bellissima lettera pastorale intitolata “Il vino che allieta il cuore dell’uomo” dove rileggeva le splendide pagine bibliche relative al vino, fino all’Ultima Cena dove il vino è stato scelto da Gesù stesso per diventare, con il pane, il sacramento dell’altare. L’evento per il quale e attorno al quale sono state costruite le nostre cattedrali.
Il vino è parte della nostra civiltà, non è un vizio da proibire, non è fumo, né droga. Una volta Benedetto XVI ha scritto: “Il vino esprime la squisitezza della creazione, ci dona la festa nella quale oltrepassiamo i limiti del quotidiano: il vino ‘allieta il cuore’. Così il vino e con esso la vite sono diventate immagini anche del dono dell’amore, nel quale possiamo fare qualche esperienza del sapore del divino”.
Com’è noto a Bruxelles hanno una certa antipatia per il cristianesimo (basti ricordare il recente caso del presepio) e si potrebbe sospettare che il vino lassù ricordi troppo l’Italia e la tradizione cattolica.
Ma in realtà non è finito nel mirino per questo, quanto per superficialità e scarsa consapevolezza culturale, unite a una mentalità miope, dirigista e punitiva.
Antonio Socci
Da “Libero”, 14 febbraio 2022