Gad Lerner, nel suo blog, prima di occuparsi della fondamentale causa delle sue galline, ha fatto “una modesta proposta ai vescovi italiani”: sostituire Dino Boffo alla direzione di “Avvenire”

con “un collega il cui nome evidenzierebbe la loro indisponibilità a sottomettersi di fronte alla prepotenza. Un collega formatosi nel settimanale diocesano torinese ‘Il nostro tempo’; un collega puntuale e coerente nella pratica religiosa così come nella devozione. Mi riferisco a Marco Travaglio”.

Lanciata (credo a sua insaputa) la candidatura di Travaglio – come un ragazzo tutto casa e chiesa, peraltro devoto a Santoro – per liberare la Chiesa da Berlusconi, è passato a un’altra delle sue crociate riguardante l’oppressione di un pennuto domestico: la gallina.

Dal suo blog c’informa di averne comprate dieci a Casale (con tanto di gallo), per la sua cascina nel Monferrato. L’attento osservatore della vita italiana – e oggi pure dei pollai – ha notato che le bestiole, abituate a stare recluse in uno spazio angusto, impossibilitate a qualsiasi movimento, anche una volta liberate nel suo pollaio stavano schiacciate una sull’altra. E qui è tornata fuori, prepotente, l’acutezza analitica con la passione umanitaria di Gad che le vede “immobili per il terrore”.

Scrive: “mi colpisce la sindrome del prigioniero (sic!). Quel pollaio che a me pare uno spazio vitale minimo, le spaventa per una vastità a loro inconcepibile. Mi auguro che in futuro razzolino pure nel prato, di giorno. A mala pena si affacciano fuori dalla casetta, sempre appiccicate l’una all’altra. Mi hanno spiegato che solo tra qualche giorno riusciranno a vincere la paura e a prendere le misure di una vita più comoda”.

Come mai le galline si comportano così? A Gad non viene in mente la spiegazione che ci daremmo tutti noi insensibili: cioè che le galline per definizione sono stupide. Si dice infatti: hai un cervello di gallina. Lui, che è per vocazione un filantropo e un liberatore, pensa invece alla “sindrome del prigioniero”.

E subito, senza riflettere sul fatto che potrebbe essere offensivo per gli emigranti essere paragonati a quelle stupide galline, ci elargisce questa profonda meditazione: “Lascio a voi l’esercizio di paragonare il comportamento delle galline con quello degli umani ridotti in condizioni di vita molto peggiori delle nostre. Per esempio coloro che si allontanano, finalmente, dopo avere vinto la paura, dai luoghi oppressivi in cui sono nati. Il trasporto di costoro non avviene in condizioni molto più confortevoli di quello toccato alle mie galline. Ma qualcuno pensa davvero che possano essere fermati da un divieto?”.

Dunque: galline di tutto il mondo unitevi. Gad è il vostro conducator, il liberatore, il vostro ideologo e lìder Maximo. Praticamente non il gallo, ma colui che ne fa le veci. Era partito – in gioventù – dall’idea di liberare il proletariato dalle sue catene sotto la leadership di quel club di filantropi che fu Lotta Continua.

Considerato che il proletariato non volle saperne di essere salvato da quei liberatori, il club si disperse nei salotti e nelle redazioni. Anche Gad ripiegò sul giornalismo, ma sempre ispirato e filantropico: raccontare gli operai della Fiat, raccontare il profondo Nord, raccontare i derelitti della terra, gli immigrati, i rom. E pure i disoccupati come Romano Prodi.

Ora finisce per parlare e scrivere in ordine: 1) del suo cane, 2) del suo vino (“la mia vigna nuova metà di barbera metà di nebbiolo”); 3) delle zanzare del Monferrato; 4) delle sue galline.

La mutazione bucolica è avvenuta da quando si è dato all’agricoltura. Non nelle vesti di bracciante o mezzadro: ha una casa con vigna nel Monferrato e partecipa a una cantina cooperativa precisando “che di ettari ne abbiamo solo 9, non 23: la nostra è una produzione minuscola”.

Da qui salta fuori il suo commovente reportage sulle sue galline. Che però solleva il sospetto di qualche suo lettore: che Gad abbia acquistato i polli, in realtà, per mangiarseli arrosto dopo averli immortalati come poveri alienati in un articolo? In effetti, per quale altro motivo uno può comprare delle galline?

Forse per mostrarle ad Alessandro Profumo o a Romano Prodi o a Carlo De Benedetti. O per puntare al Nobel per la pace in quanto gran benefattore. C’è infatti il lettore Ypsilon che lo elogia: “Almeno Gad offre agli animali una vita dignitoso e li sottrae all`orrore degli allevamenti intensivi”. Ma c’è pure il lettore secondo cui “Gad allude ai palestinesi, tenuti nel pollaio della striscia di Gaza”.

Tuttavia il sospetto rimane quello dell’arrosto. Perché Gad ha comprato le galline? La sua lettrice Adele spera sia solo per le uova: “Povere galline, prigioniere di una società (che manco si son data) e traumatizzate… Meno male che c’è Karl Lerner che ci disvela le loro catene. Quale palingenesi potrà salvarle? Mi viene un dubbio: Gad non è che poi te le magni, no vero? Ti servono solo per le uova, non è così?”.

Gad, oltre a scrivere per “Vanity Fair” – la rivista più letta fra gli operai della Thyssenkrupp, gli immigrati dei barconi che puntano a Lampedusa e i rom – scrive anche per Nigrizia, la rivista più letta nei salotti illuminati. E tutto finisce nel suo blog dove si intrattiene con i lettori. Ma non gliene va bene una e da buon democratico (bisogna riconoscerlo) pubblica tutti i commenti anche quelli irriverenti e sarcastici.

Parla delle sue galline e lo sospettano di volerle fare arrosto. Scrive su Agnelli (nel 2008) e salta fuori il lettore Attilio Berti che gli ricorda i voli in elicottero (“Si cresce nella vita, si cambia. Da ragazzo Gad lottava assieme a Sofri contro l’imperialismo delle multinazionali. Da uomo adulto girava in elicottero con Agnelli e ostenta una bella amicizia con Profumo. Sempre con la medesima sicurezza di sé”).

Non parla di De Benedetti, nella cui villa sarda è stato fotografato, e di nuovo i suoi lettori lo punzecchiano: “Com’è che ami frequentare ville e non ti ritroviamo mai in mezzo a quelli per i quali porti avanti le tue battaglie di civiltà?”, si chiede pungente “Sean l’Irlandese”. Che prosegue: “Una decina di giorni in un campo rom non pensi che possa essere un atto di riconciliazione tra ciò che professi e ciò che pratichi, che è esattamente l’opposto?”.

Ora qualcuno di questi esigenti lettori potrebbe sbattergli in faccia la contraddizione fra la compassione per le galline e la guerra contro le zanzare. L’ultima vittoriosa battaglia culturale del famoso giornalista infatti è stata quella contro le odiose zanzare che infestano il Monferrato per colpa delle risaie vercellesi.

Le stupide bestiole, che da secoli ammorbano i contadini piemontesi, non hanno pensato che conveniva loro evitare di infastidire un così importante esponente del giornalismo democratico. Se la sono cercata. Gad – memore delle organizzazioni rivoluzionarie sessantottine – ha fondato il club “La libellula” che è “un insetto benemerito che mangia le zanzare”.

Poi ha fatto un tale baccano, ha coinvolto tutti gli enti locali, dal Comune alla Regione (alla cui presidente Mercedes Bresso ha scritto una lettera aperta sulla Stampa), ha preteso tolleranza zero contro l’immigrazione clandestina di zanzare attorno alla sua cascina, che, “hasta la victoria siempre!”, alla fine ce l’ha fatta e sul suo blog ha annunciato: “Ha piovuto molto questa primavera in Monferrato… Ma la notizia che cambia la vita agli abitanti e ai turisti di queste meravigliose colline è che le zanzare praticamente non ci sono più… a Vercelli e a Casale Monferrato è finito il coprifuoco, ci stiamo riprendendo l’estate”.

Che – bisogna ammetterlo – è un grande trionfo. Stavolta però, chissà perché, diversamente dalle galline, a Gad non è venuto in mente di paragonare la sorta tragica delle povere zanzare a quella terribile degli immigrati.

 

Fonte “Libero” © 9 settembre 2009

Print Friendly, PDF & Email