Il 4 maggio la Chiesa cattolica celebra la memoria liturgica (istituita 500 anni fa) della Sacra Sindone di Torino. Non si è mai trovata la spiegazione scientifica dell’immagine (non dipinta) di quell’uomo impressa sul lenzuolo. Come si sia formata è un mistero.

L’immagine e il sangue appartengono a un uomo sui 30 anni morto crocifisso, il supplizio degli antichi romani, esattamente con le stesse modalità descritte nel Vangelo per Gesù.

In base agli studi scientifici compiuti con le più moderne apparecchiature si è accertato che il lenzuolo avvolse sicuramente un corpo morto, che quel corpo rimase lì contenuto non più di 40 ore (perché non c’è traccia di putrefazione) e che uscì dal telo senza alcun movimento fra corpo e tessuto (lo dicono i coaguli di sangue). Come se avesse attraversato il telo. È ragionevole ritenere che sia la Sindone di Gesù di cui parlano i Vangeli.

VIAGGIO A TORINO

Tante novità emergono ogni anno dallo studio della Sindone. Quest’anno ne segnaliamo una che attiene alla storia dell’arte.

Si tratta del libro di Daniela Di Sarra, “Bernini, il Salvatore e la Sindone” (Gangemi). L’autrice ha studiato il rapporto che uno dei più grandi scultori di tutti i tempi, Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) ebbe con il sacro telo di Torino.

In particolare si sofferma sull’ultima opera dell’artista, il busto di Cristo, il “Salvator mundi”. Il figlio del Bernini scrisse: “Et adesso corre l’anno 82 della sua età con ottima salute havendo operato in marmo sino all’anno 81 [1679], quale terminò con un suo Salvatore per sua devotione”.

A lungo si pensò che quest’opera fosse andata perduta. Finché fu “riscoperta” e identificata nel 2001, presso la basilica di San Sebastiano fuori le mura, a Roma.

Di Sarra afferma che il volto della Sindone e quello del “Salvator mundi” sono pressoché sovrapponibili. Nel libro si ricostruisce soprattutto il viaggio dell’artista a Parigi (dove scolpì un busto di Luigi XIV, il Re Sole) durante il quale si fermò a Torino e – secondo l’autrice – ebbe modo di vedere e studiare la Sindone concependo l’idea di fare una scultura con il volto del Re dei re.

Molte personalità del tempo si facevano scolpire ritratti, ma la caratteristica del Bernini – per cui era richiestissimo e insuperabile – era la sua capacità di rappresentare il soggetto scelto non in modo statico, in posa, non cercando solo la somiglianza fisica, ma quasi in movimento, vivo, in modo da coglierne l’anima.

IL RE SOLE E GESU’

In effetti l’anima si vede nella differenza fra il busto di Luigi XIV e quello del Salvatore. “Il ritratto del Re” scrive Di Sarra “trasmette energia, potere, volontà, intelligenza e progettazione: una potente maestà di questo mondo. Il viso del Salvatore esprime forza, dolcezza, sacralità, assoluta bellezza, una visione profonda e vasta, e una regalità che non è di questo mondo”.

Il Re dei re esprime la regalità dell’Amore, il suo trono è la croce, la sua corona è fatta di spine. È il mite agnello sacrificale che offre se stesso per la salvezza di tutti. Ribalta ogni gerarchia mondana: esalta ciò che è piccolo, debole e umile e mostra la nullità di ciò che si ritiene potente, ricco e sapiente.

La sua è una regalità eterna. Non finisce. Del resto il Bernini, che aveva scolpito per sé il Salvatore, volle donare l’opera alla giovane regina Cristina di Svezia che aveva rinunciato al trono per convertirsi al cattolicesimo. I salmi 26 e 44 racchiudono questa storia: “Il tuo volto, Signore, io cerco”, “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 6 maggio 2023