Il problema non è tanto (o solo) i “30 km orari”, anche se a quella velocità ti tamponano i moscerini e al distributore poi devi pulire il vetro posteriore, anziché quello anteriore.

Neanche – se vogliamo restare in tema di mobilità e di “governo illuminato” della velocità – gli autovelox. Casomai il loro numero esagerato, vista la notizia clamorosa del record europeo di autovelox in Italia (11.130 in tutta la penisola) contro i 4.700 della Germania e i 3.780 della Francia. Con l’ovvio mare di multe che, nel 2022, nelle 20 principali città italiane, hanno fruttato un incasso di 75.891. 968 euro, con un aumento del 61,7% sul 2021.

Poiché non si è visto uno studio in cui si dimostra che – con questi esagerati controlli e limiti – le strade italiane sono più sicure di quelle tedesche e francesi, molti deducono che il nostro sistema nasconde altro: o l’obiettivo di fare cassa o quello “pedagogico” del controllo asfissianteo entrambi. La polemica è scoppiata su questo.

Dal punto di vista culturale i dati sugli autovelox – come la storia dei limiti esagerati – rientrano nel clima ideologico del decennio a guida progressista, improntato all’eccessiva tendenza a tassare, “sorvegliare e punire” (naturalmente sorvegliare e punire soprattutto i cittadini comuni, perché la delinquenza nelle città in questi anni non ha avuto troppi problemi).

Certo, neanche amministrazioni e politici del centrodestra sono esenti da autovelox e multe. Ma di fatto la “politica stradale” è un’eredità della sinistra che riflette il desiderio di scoraggiare sempre più l’uso dell’automobile privata (una tendenza anche della UE) e la propensione a “rieducare” i cittadini e, magari, tassarli sempre di più (nei giorni scorsi su qualche quotidiano di sinistra si sono discusse varie proposte di aumenti di tasse…).

Naturalmente la sinistra rivendica la necessità di regole per il bene comune. Ed è vero. Tuttavia c’è una pretesa pedagogica che rovescia il giusto rapporto fra Stato e cittadini. Forse è un’eredità psicologica della storia comunista italiana. In fondo Gramsci teorizzava la “riforma intellettuale e morale” che puntava a plasmare “l’uomo nuovo”.

Anche dove, nel corso del Novecento, il comunismo ha instaurato dei regimi – al di là degli aspetti più brutalmente repressivi – oltre all’asfissiante controllo, ha sempre avuto la fissazione della “rieducazione” del popolo, delle classi e degli individui.

Ultimamente, per esempio, in Cina è stata istituito il sistema del credito sociale in cui ogni cittadino ha un tot di punti, viene continuamente controllato e valutato e così può guadagnare o perdere punti, con conseguenti vantaggi o svantaggi nella sua vita lavorativa e sociale (per esempio si guadagnano punti lodando il governo sui social o donando il sangue).

Così è lo Stato che valuta e giudica i cittadini (sottoponendoli a controllo e rieducazione) e non viceversa, come dovrebbe invece accadere. Anche da noi avanza una mentalità del genere. Durante la pandemia più o meno eravamo in un  orizzonte simile. Probabilmente aumenteranno proposte analoghe per premiare (o svantaggiare) in base al discutibile criterio ideologico della “sostenibilità” e del green.

Del resto, a livello globale, l’Onu, assai poco efficiente nella sua funzione primaria, quella di mantenere la pace e comporre i conflitti, sembra volersi dedicare (con le sue varie agenzie) soprattutto all’“educazione” dell’umanità in base a suoi criteri ideologici.

L’idea che i cittadini (e pure gli Stati) debbano dimostrare al potere di essere diligenti e obbedienti è diffuso poi nell’establishment che governa l’UE a Bruxelles che è una miscela di ideologia dirigista di sinistra e di tecnocrazia globalista.

Allo Stato pedagogico che pretende di decidere perfino quanti soldi puoi prelevare dal tuo conto corrente, che vuole importi di non pagare in contanti (sognando l’abolizione del contante per un controllo totale), al sistema ideologico che pretende di decidere quali parole si possono usare e quali no, al pensiero unico dei media che pretende di imporre il politicamente corretto, si somma la cappa politico-ideologica della UE.

Di tale “vincolo esterno” la sinistra italiana è follemente innamorata, perché è il suo punto di forza. Del resto negli anni scorsi si è sentito pure qualche Commissario europeo dichiarare: “I Mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”.

L’establishment di Bruxelles pretende di prescriverlo pure ai Parlamenti: per esempio a quello italiano che sul Mes ha liberamente votato per salvare l’Italia da una trappola, mentre a Bruxelles volevano diversamente.

L’Unione Europea pretende di “insegnarci” cosa mangiare e cosa bere, di farci cambiare l’auto adottando l’elettrico (o magari rinunciare del tutto all’auto privata) e farci spendere per il cappotto termico alla casa.

Hanno concepito un progetto ideologico – di cui è gran parte la cosiddetta “transizione ecologica” – che pretende di costruire “l’uomo nuovo” e che rischia di portarci alla decrescita (in)felice. Riducendoci “al verde”.

Avrà il solo effetto di annichilire la nostra industria e la nostra agricoltura. Già in diversi paesi europei si assiste a una sollevazione dei contadini. La cappa politico-ideologica imposta ai popoli e agli Stati (che, a quanto pare, non hanno più neanche il potere di decidere sui propri confini in materia di migrazioni) potrebbe saltare con il prossimo voto europeo (e pure con il voto delle presidenziali americane). C’è da decidere, in fondo, su una sola cosa: la libertà.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 gennaio 2024