Emma Bonino è stata delegata dal governo italiano a guidare la delegazione per creare nel mondo la Comunità delle democrazie. Ma perché questa scelta? E quale democrazia? Quella radicale o quella che vuole un rispetto integrale dei diritti umani (a partire dal diritto alla vita)?

La leader radicale Emma Bonino è stata incaricata dal governo italiano di guidare la nostra delegazione alla riunione plenaria della Community of Democracy, come già avvenne nel 2002 a Seoul. Lo rivela la stessa Bonino sul Corriere della sera del 28 aprile (pagina 12). Ci piacerebbe capire in base a quali motivazioni il governo ha ritenuto di fare questa scelta. Personalmente la giudico sbagliata. Con tutto il rispetto per l’europarlamentare radicale, che ha la sua indubbia coerenza, una notevole fetta del Paese (e anche del centrodestra) si sente agli antipodi rispetto all’idea di “diritti umani” e di democrazia che lei sostiene e simboleggia.

La scelta del governo può essere motivata da ragioni di mera tattica (una mano tesa ai radicali) oppure da una certa vicinanza di vedute fra i radicali e certi settori dell’area governativa. In entrambi i casi si pone un problema cruciale soprattutto alla vigilia di un referendum – quello contro la legge 40 – che vede i radicali accanitamente schierati (con i comunisti) contro il primo dei diritti dell’uomo: il diritto alla vita delle creature più deboli.

Oggi la visione radicale della democrazia si oppone a una visione integrale dei diritti umani propria soprattutto dei cattolici (ma non solo) per i quali innanzitutto va difeso il diritto alla vita e alla tutela dei più inermi (si veda Carlo Casini-Marina Casini, Diritti umani e bioetica, Roma 2005).

E’ precisamente su questa frontiera che si sta consumando in Occidente, soprattutto in Europa, un autentico scontro di civiltà. La Chiesa sostiene la crescita di una vera cultura dei diritti umani in compagnia di alcuni laici, uno dei quali fu Norberto Bobbio che, in una memorabile intervista al Corriere della sera nel 1981, esprimendosi criticamente sull’aborto, affermava: “mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.

C’è una pagina della Evangelium vitae (n. 18) di Giovanni Paolo II che centra perfettamente il problema:

(il problema) si pone anche sul piano culturale, sociale e politico, dove presenta il suo aspetto più sovversivo e conturbante nella tendenza, sempre più largamente condivisa, a interpretare i menzionati delitti contro la vita come legittime espressioni della libertà individuale, da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti. In questo modo giunge ad una svolta dalle tragiche conseguenze un lungo processo storico, che dopo aver scoperto l’idea dei “diritti umani” – come diritti inerenti a ogni persona e precedenti ogni Costituzione e legislazione degli Stati – incorre oggi in una sorprendente contraddizione: proprio in un’epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali sono il nascere e il morire. Da un lato, le varie dichiarazioni dei diritti dell’uomo e le molteplici iniziative che ad esse si ispirano dicono l’affermarsi a livello mondiale di una sensibilità morale più attenta a riconoscere il valore e la dignità di ogni essere umano in quanto tale, senza alcuna distinzione di razza, nazionalità, religione, opinione politica, ceto sociale. Dall’altro lato, a queste nobili proclamazioni si contrappone purtroppo, nei fatti, una loro tragica negazione. Questa è ancora più sconcertante, anzi più scandalosa, proprio perché si realizza in una società che fa dell’affermazione e della tutela dei diritti umani il suo obiettivo principale e insieme il suo vanto. Come mettere d’accordo queste ripetute affermazioni di principio con il continuo moltiplicarsi e la diffusa legittimazione degli attentati alla vita umana? Come conciliare queste dichiarazioni col rifiuto del più debole, del più bisognoso, dell’anziano, dell’appena concepito? Questi attentati vanno in direzione esattamente contraria al rispetto della vita e rappresentano una minaccia frontale a tutta la cultura dei diritti dell’uomo. È una minaccia capace, al limite, di mettere a repentaglio lo stesso significato della convivenza democratica: da società di “conviventi”, le nostre città rischiano di diventare società di esclusi, di emarginati, di rimossi e soppressi. Se poi lo sguardo si allarga ad un orizzonte planetario, come non pensare che la stessa affermazione dei diritti delle persone e dei popoli, quale avviene in alti consessi internazionali, si riduce a sterile esercizio retorico, se non si smaschera l’egoismo dei Paesi ricchi che chiudono l’accesso allo sviluppo dei Paesi poveri o lo condizionano ad assurdi divieti di procreazione, contrapponendo lo sviluppo all’uomo? Non occorre forse mettere in discussione gli stessi modelli economici, adottati sovente dagli Stati anche per spinte e condizionamenti di carattere internazionale, che generano ed alimentano situazioni di ingiustizia e violenza nelle quali la vita umana di intere popolazioni viene avvilita e conculcata?

Nel suo ultimo libro, Memoria e identità, Karol Wojtyla ha firmato delle pagine assai aspre proprio sulle democrazie che pretendono di legiferare su beni indisponibili, come il diritto alla vita. Ci sono diritti inalienabili della persona umana di cui nessun Parlamento può disporre. Questa oggi è la battaglia.

Fonte: AntonioSocci.it

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