Tutto sembra crollare, l’economia, l’Europa, perfino le case, i capannoni. Ma soprattutto crolla la speranza e si abbattono gli animi.

Eppure nel mare della desolazione e dello scoraggiamento generale, c’è ancora una voce, una voce di padre che spalanca i cuori alla grande avventura della vita, alla speranza, alla costruzione del bene e della bellezza per tutti.

Quando ieri, Benedetto XVI a Milano ha detto ai giovani “cari ragazzi, vi dico con forza, tendete ad alti ideali, siate santi”, mi si sono affollate nella mente tante immagini e tanti ricordi.

Ricordi di secoli, di quante volte la nostra terra (con il nostro continente) è stata ricostruita proprio dai santi, a cominciare dai tempi della grande devastazione seguita alle invasioni barbariche, quando i monaci hanno riportato la vita fra le tenebre e le rovine.

Fino agli anni terribili della Seconda guerra mondiale, quando – nella nuova barbarie (e con l’Italia diventata campo di battaglia, lasciata allo sbaraglio) – solo la Chiesa è rimasta a proteggere il popolo. E poi dalla fede della nostra gente è venuta l’energia per ricostruire.

Soprattutto oggi, con la crisi generale e i crolli materiali, il nostro popolo ha bisogno di ritrovare la sua Casa, il luogo dove Dio abita con gli uomini, dove si impara il senso dell’esistenza, del lavoro, dell’amare, del costruire, del soffrire e del gioire, il luogo della misericordia e della speranza.

Ma allo smarrimento generale, stavolta, si aggiunge anche qualcosa che non era previsto e che ha moltiplicato il disorientamento e la sfiducia: pure la casa di Dio scricchiola paurosamente.

Quasi come le chiese emiliane crollate. Un terremoto morale che lascia senza parole.

E non tanto (o non solo) per le lotte, gli errori e le divisioni di Curia che emergono dai documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi (che un noto cardinale ha detto utile conoscere), ma anche per la reazione spropositata ed eccessivamente muscolare della Curia stessa.

Che prima ha dimostrato di essere incapace di governarsi e controllarsi e poi – scappati i buoi – ha esagerato il dramma facendo una straordinaria campagna pubblicitaria al libro di Nuzzi e rischiando di far passare il Vaticano per un posto di gente che si scanna e la Chiesa per un’istituzione oscurantista, intollerante e retriva.

Un cardinale, uno dei più anziani porporati, ha dichiarato di non ritenere tutta questa vicenda un dramma per la Chiesa. Ha ragione. Perché sì, è vero che da quelle carte alcuni curiali fanno una pessima figura, ma i curiali non sono la Chiesa e le loro scartoffie non sono la tragedia della Chiesa.

La tragedia per la Chiesa è ben altro. E’ il fatto che – come ha detto il Papa – Dio oggi è il grande sconosciuto nelle terre d’Europa. E le genti che brancolano nel buio alla ricerca del Salvatore non riescono a incontrarlo e riconoscerlo.

Per questo Benedetto XVI ha voluto l’ “Anno della fede” che inizierà l’11 ottobre prossimo. E’ un appello alla conversione del mondo per ritrovare la speranza ed evitare il baratro a cui ci stiamo avvicinando.

Per quanto riguarda gli uomini di Curia devono anch’essi decidere, come tutti noi, se convertirsi o no. Se aiutare la missione di Pietro o affaticarla, appesantirla, ostacolarla.

Anche fare umilmente un passo indietro può essere un gesto saggio di amore alla Chiesa. Specie quando si sono fatti danni.

Perché certo da posizioni  di responsabilità dentro la Chiesa o la Curia o la Città del Vaticano si può fare molto del bene, ma anche molto del male. Amplificando o l’uno o l’altro.

La terribile frase che segue – citata da Gianluigi Nuzzi nel suo libro – è di Joseph Ratzinger e risale al 1977:

“La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”.

E’ un giudizio tremendo. E’ ovvio che l’allora cardinale Ratzinger, scrivendo queste parole, non condivideva l’idea che la Chiesa fosse questo, cioè “l’ostacolo principale alla fede”.

Ma è anche altrettanto evidente che sapeva quanto la Curia, il mondo ecclesiastico, l’apparato clericale (che non sono la Chiesa), anziché aiutare la missione salvifica della Chiesa, possono essere un ostacolo, perfino devastante.

Quante volte – per esempio – gli ecclesiastici hanno perseguitato quegli uomini di Dio che poi la Chiesa ha proclamato santi? Anche in tempi recenti. I danni sono incalcolabili nell’ordine terreno e in quello soprannaturale.

E’ inevitabile temere che possa essere così anche oggi. Ciononostante, anche oggi la grande, misteriosa presenza di Cristo continua ad affascinare e a raggiungere la vita di tanti.

Nelle forme che tutti noi conosciamo, ma sempre sorprendenti: splendide e semplici comunità cristiane dove fiorisce una vita nuova, preti e missionari meravigliosi, suore che portano la tenerezza materna della Madonna nel mondo, tanti martiri (semplici fedeli, religiosi e vescovi), poi un fiume di carità che abbraccia e lenisce tutte le ferite dell’umanità, tante famiglie semplici e buone che vivono l’eroismo dell’amore e del sacrificio nella vita quotidiana, un esercito di ammalati che offrono la loro sofferenza per il bene e la salvezza dell’umanità, milioni di giovani che vivono la gioia dell’amicizia di Gesù e scommettono la loro vita per Lui.

Questa è la Chiesa. E ieri, mentre il buon vecchio padre, successore di Pietro, a Milano, parlava ai giovani esortandoli a questi grandi ideali, qualcuno – dentro il suo cuore – cantava la bellissima canzone cristiana della Bay Ridge Band, “My Father sings to me”. Che dice così:

“Nel mondo c’è una voce

e canta con una missione.

Nella mia vita c’è una scelta

e io ho scelto di ascoltare

il suono della vita e della libertà,

un grido forte, insistente.

Nel mondo c’è Qualcuno

che mi chiede di chiederGli ‘Perché?’.

Mio Padre mi canta con giubilo infinito.

Lui canta la mia esistenza.

Lui canta la mia salvezza.

Una canzone che è stata scritta in armonia col desiderio”.

 

Da qui tutto comincia e sempre ricomincia.

 

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 3 giugno 2012

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