Con il Motu proprio “Traditionis custodes”, papa Bergoglio ha spazzato via la liberalizzazione della messa in rito antico di Benedetto XVI che, nel 2007, aveva voluto rispondere alla richiesta di tanti, anche giovani, attirati dall’antica liturgia la quale era stata proibita dopo il Concilio.

Joseph Ratzinger, che pure era un uomo del Concilio Vaticano II, aveva raccontato: “rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale”.

Ratzinger sottolineò che “Pio V (dopo il Concilio di Trento) si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli… senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta… Ora invece” spiegava Ratzinger “la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche… si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro”.

Ratzinger sottolineava che ora “per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta”.

Quindi Benedetto XVI, con il “Summorum pontificum” del 2007, riparò un errore che non era affatto dovuto al Concilio Vaticano II, infatti la proibizione della liturgia latina contraddiceva la stessa Costituzione conciliare sulla liturgia e anche la Lettera Apostolica “Sacrificium laudis” di Paolo VI come pure la “Veterum sapientia” di Giovanni XXIII.

La cancellazione dell’antico rito era andato di pari passo con la scristianizzazione galoppante del ‘68 e con un drammatico crollo di civiltà.

Nel 2005, alla vigilia dell’elezione al pontificato di Benedetto, lo scrittore Guido Ceronetti, in una lettera aperta al nuovo papa su “Repubblica”, chiede: “che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore della voce latina della messa” e sia possibile celebrarla come quella in volgare “imposta da una riforma liturgica distruttiva”.
Lo scrittore aggiungeva: “Certamente non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali; non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro, percepito che si era aperta una falla”.
In effetti il rito latino era il concreto legame universale che univa i cattolici di tutto il pianeta in un’unica Chiesa guidata da Pietro e in un’unica fede.

D’altra parte, già negli anni Sessanta, in difesa dell’antica liturgia attaccata dai cattoprogressisti, si era pronunciata la migliore cultura laica e cattolica, che metteva in guardia dalla grave perdita di bellezza, di cultura e sacralità.

Nel 1966 e nel 1971 uscirono due appelli pubblici in difesa della Messa tradizionale di s. Pio V firmati da personalità come Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain (il filosofo vicino a Paolo VI a cui il Papa consegnò, alla fine del Concilio, il documento agli intellettuali), Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Ettore Paratore, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Guido Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e tanti altri come il famoso direttore del “Times”, William Rees-Mogg.

La decisione di Benedetto XVI, nel 2007, di recuperare la tradizione ebbe anche il sostegno di altre personalità come René Girard, Vittorio Strada, Franco Zeffirelli e il citato Guido Ceronetti.

Papa Bergoglio ora sostiene di aver azzerato la libertà di rito introdotta da Benedetto XVI perché essa, invece di creare unità del corpo ecclesiale (come volevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), ha prodotto divisione e “un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’”.

Qui c’è anche del vero. In effetti c’è chi ha vissuto “la messa in latino” in modo un po’ settario, sentendosi “la vera Chiesa”. Ma papa Bergoglio confonde l’effetto con la causa.

A provocare il rifiuto (sbagliato) del Concilio in realtà non è il rito antico, ma casomai certe innovazioni “rivoluzionarie” del suo pontificato (che non c’entrano nulla col Concilio) o certi abusi nella liturgia in volgare che papa Bergoglio riconosce, ma su cui non interviene con proibizioni.

La decisione di Francesco, che azzera un pilastro del pontificato di Benedetto XVI, è un doloroso errore che toglie libertà e provocherà nuove divisioni. Il papa fa il grosso regalo ai lefebvriani dell’esclusività del rito antico e di alcuni fedeli. E la Chiesa è sempre più smarrita e confusa in questo tramonto di pontificato.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 luglio 2021

 

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