La segretaria del Pd, Elly Schlein, che “rilancia” come simbolo lo storico segretario del Pci Berlinguer, vuole anche “tornare” a Marx (ma fraintendendone le idee).

Ecco cosa è successo. Un lungo articolo di Dario Olivero, su Repubblica del 10 ottobre, ci rivela che l’intellettuale giapponese Saito Kohei, autore del libro Il Capitale nell’Antropocene (Einaudi), “quando cadde il Muro di Berlino non era ancora nato”. Subito dopo scrive che ha trentasette anni. Problema: considerato che il Muro di Berlino è stato “abbattuto” il 9 novembre 1989 e Kohei è nato il 31 gennaio 1987, che tipo di calendario hanno a Repubblica? Il 1989 viene prima del 1987? Misteri del pensiero progressista.

Ma c’è di più. Il titolo di quelle due pagine di Repubblica è: “Perché possiamo ricominciare da Marx”. Il sottotitolo spiega: “La segretaria del Partito democratico Elly Schlein e il filosofo giapponese bestseller Saito Kohei. Un confronto d’eccezione che prende il via dalla tesi di lui: ‘Oggi l’autore del Capitale manifesterebbe per i migranti e con gli attivisti per il clima’”.

Il dibattito fra i due è confuso. La Schlein ripete il solito elenco delle sue battaglie e infondati luoghi comuni come la presunta desertificazione (in realtà, ha spiegato il professor Luigi Mariani, accade l’opposto: “la più elevata disponibilità di CO2 sta dando luogo ad un arretramento generalizzato dei deserti e a un rinverdimento del pianeta”).

L’intellettuale giapponese sintetizza il suo pensiero con parole che ricordano il Catalano di Quelli della notte: “Dobbiamo sforzarci di creare un mondo migliore”. Resta da capire cosa c’entra Marx, in particolare con gli attivisti per il clima e con la difesa dell’immigrazione incontrollata.

A proposito dell’ecologismo, Giovanni Sallusti, su queste colonne, ha già ricordato come Marx fosse in realtà “uno scatenato produttivista, addirittura un apologeta compulsivo della Rivoluzione Industriale”. È il pilastro del suo “socialismo scientifico”.

Immaginare oggi Marx come teorico della decrescita fa sorridere: significa smantellare tutto il suo sistema di pensiero. Così, più che “ricominciare da Marx”, ricominciano da Beppe Grillo.

Peraltro “il modello” che “sta distruggendo l’ecosistema” – nel XXI secolo – non è, come crede Schlein, quello del capitalismo occidentale (che anzi con le nuove tecnologie tende a salvaguardarlo e lo sta migliorando), ma casomai quello asiatico, a cominciare dalla Cina comunista che professa un furioso produttivismo incurante dell’ambiente. Però sui sistemi comunisti Schlein e Saito Kohei sorvolano.

Veniamo all’immigrazione. Marx, il 9 aprile 1870, scrivendo a Sigfrid Meyer e August Vogt, trattò il problema dell’immigrazione irlandese in Inghilterraed è “la più estesa trattazione di Marx sull’immigrazione”, come scrive David L. Wilson sulla rivista socialista americana Montly Review. Wilson aggiunge che questo testo di Marx “ha ricevuto sorprendentemente poca attenzione dalla sinistra moderna”, in particolare “i sostenitori dei diritti degli immigrati hanno ignorato i pensieri di Marx sulla questione”.

Il motivo è chiaro. Marx sostiene che è il capitalismo britannico che persegue i suoi interessi in Irlanda, così induce gli irlandesi all’immigrazione, “fornisce il suo sovrappiú al mercato del lavoro inglese e in tal modo comprime i salari nonché la posizione materiale e morale della classe operaia inglese”.

Ma, commenta Wilson, se “l’afflusso di immigrati irlandesi sottopagati in Inghilterra forzava verso il basso i salari dei lavoratori inglesi nativi” di fatto “molti sostenitori attuali dei diritti degli immigrati si sono schierati dalla parte degli economisti liberali” per i quali l’immigrazione “aumenta i salari per i lavoratori nativi”. Che cortocircuito! In ogni caso il pensiero di Marx sull’immigrazione era diametralmente opposto a quello di Schlein.

Anni fa lo ricordò anche Federico Rampini: “è singolare che in questa fase di ‘riscoperta di Marx’ – segnalata da una fioritura di saggi che ne rivalutano alcune intuizioni – ci sia una congiura del silenzio per cancellare la sua dura critica agli effetti economici dell’immigrazione”.

La sinistra – scrive Rampini – ripete che l’arrivo di stranieri “ci arricchisce o addirittura è un toccasana per risanare il bilancio delle nostre pensioni”, ma “raramente ci si preoccupa di fare delle verifiche puntuali, precise, su casi concreti. Sono dei dogmi, guai a metterli in discussione”.

La realtà infatti dice cose diverse. Ci sarebbero poi da fare altre considerazione di tipo sociale e umano. È sempre più evidente che un’immigrazione incontrollata pone enormi problemi di convivenza civile e di ordine pubblico. Non solo rischia di far saltare il welfare state, ma anche il sistema. Inoltre l’emigrazione di massa rappresenta anche – come dicono i vescovi africani – un grave impoverimento dei Paesi d’origine e un arricchimento dei “mercanti di uomini”.

Infine, proprio perché i migranti “non sono pacchi da sbattere da una parte all’altra”, come ha detto l’altro ieri il vicepresidente della Cei, bisogna capire che – a differenza delle merci, che possono trasferirsi da un continente all’altro – gli uomini e i popoli sono portatori di culture, costumi e identità: sradicarli dalla loro terra è traumatico e trapiantarli in massa in culture e civiltà diverse è molto difficile e doloroso, spesso impossibile.

Se poi il loro numero è grande la prospettiva è addirittura drammatica. Come scriveva Giovanni Sartori, “in Europa, se l’identità degli ospitati resta intatta, allora l’identità da salvare diventa, o diventerà, quella degli ospitanti”. Non c’è bisogno di Oriana Fallaci per capire che, così, di questo passo, il futuro è tragico. Ma la sinistra neanche lo considera.

Antonio Socci

Da “Libero”, 23 ottobre 2024