Suggerisco la lettura del Messaggio Urbi et orbi del Papa per la Pasqua QUI.

*                                                  *                                          *

Il nome Pasqua viene dall’ebraico Pesach che significa passaggio (il passaggio degli Ebrei attraverso il mar Rosso, dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione). Per i cristiani è la resurrezione: il passaggio di Gesù dalla morte alla vita.

Ma in questi giorni sembra che la settimana di Passione non passi e resti inchiodata al buio del venerdì santo. Infatti il mondo rimane sull’orlo dell’abisso, fra violenze atroci e guerre che rischiano di diventare planetarie.

Papa Francesco ha portato tutte queste tragedie nelle meditazioni della via Crucis, mettendole nelle mani di Gesù, evocando le lacrime che ha versato per noi: “hai pianto sulla durezza del nostro cuore”.

Cosa significa questo per i cristiani? La loro è una speranza vana? Che potere salvifico ha il loro Dio? Il filosofo italiano più noto all’estero, Giorgio Agamben recentemente ha scritto:

Quando Nietzsche, quasi centocinquant’anni fa, formulò la sua diagnosi sulla morte di Dio, pensava che questo evento inaudito avrebbe cambiato alla radice l’esistenza degli uomini sulla terra. ‘Dove ci muoviamo ora? – scriveva – Non è il nostro un continuo precipitare? […] Esistono ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando attraverso un infinito nulla?’. (…) È un fatto sul quale non ci si dovrebbe stancare di riflettere che un secolo e mezzo dopo questo pathos sembra ora completamente sparito. Gli uomini sono placidamente sopravvissuti alla morte di Dio e continuano a vivere senza far storie, per così dire come se niente fosse. Come se niente – appunto – fosse. Il nichilismo, che gli intellettuali europei avevano salutato all’inizio come il più inquietante degli ospiti, è diventato una condizione quotidiana tiepida e indifferente.

Ma è davvero così? Non sembra, se guardiamo la situazione del mondo e lo smarrimento in cui ci dibattiamo. Se consideriamo il disordine internazionale si vede proprio quel “continuo precipitare”. E se guardiamo quest’Europa “scristianizzata” che arranca (il suo avvitarsi illiberale, il suo impoverirsi, la sua irrilevanza e il suo crollo demografico) si osserva quel vagare “attraverso un infinito nulla”. E poi lo smarrimento dei nostri ragazzi: è un grido che mendica il senso della vita.

Uno storico dell’arte americano, padre Timothy Verdon, commentando un’opera del Pontormo, Il trasporto di Cristo (dopo la deposizione dalla croce), spiegando quell’affollarsi caotico e variopinto di figure, scrive che il mondo senza più il Salvatore è “un’immagine da incubo” perché“assistiamo al pauroso trionfo dell’irrazionale: uno sconvolgimento ‘demoniaco’ dell’esperienza comune dello spazio, della statica e delle proporzioni corporee. È come se, morto ‘Colui che dà le leggi alla natura’ – Cristo, cioè Logos divino e ‘logica’ strutturante dell’esistente – nessuna legge tiene più. Tutto vacilla, nulla è più stabile e l’unica ‘norma’ è lo smarrimento dei singoli”.

Sembra la descrizione del nostro tempo. Ma davvero Dio è morto? Davvero non c’è più luce di speranza? C’è un episodio di questi giorni che forse pochi hanno visto. Il Papa è andato, il giovedì santo, nel carcere femminile di Rebibbia, un luogo di disperazione, e lì ha celebrato il rito della lavanda dei piedi con dodici detenute.

Francesco guardandole negli occhi una per una ha parlato loro dell’infinita misericordia di Dio: “Gesù non si stanca mai di perdonare! Perdona tutto! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”.

E mentre lavava (e baciava) i loro piedi, tutte loro sono scoppiate a piangere. Era impossibile non commuoversi vedendole perché rappresentavano tutti noi. Le ferite dei loro cuori sono diventate le feritoie che da cui è arrivata una grande luce.

Vedendo quelle immagini struggenti veniva in mente un pensiero di don Luigi Giussani:

“Quando sei al massimo dell’esasperazione nel disprezzo di te e nel rifiuto della vita, dici, accusandoti: ‘io sono un verme strisciante’; e chi ci trovi al tuo livello, al tuo basso livello? Ci trovi Dio, Gesù Cristo, volontariamente disceso con te al tuo livello, al tuo basso livello. I piedi arrivano fino a terra, fino alla superficie della terra, e lì c’è Dio, curvo a lavarteli e a baciarli“.

Questa è la misericordia che libera anche se si è in galera, perché libera dal male e dalla morte. Gesù era venuto infatti – dice il profeta – “a portare il lieto annunzio ai miseri,/ a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,/ a proclamare la libertà degli schiavi,/ la scarcerazione dei prigionieri,/ a promulgare l’anno di misericordia del Signore”.

Può farlo perché dopo essere stato incatenato, lui è realmente e storicamente morto un giorno di aprile di duemila anni fa a Gerusalemme, morto sulla croce come uno schiavo e poi è stato chiuso in un sepolcro, che è il carcere più orrendo, il più irrevocabile. Sembrava la fine di tutto. Invece fu l’inizio di tutto. La liberazione dalla morte e da tutte le catene.

All’inizio del suo pontificato il Papa ha commosso tutti parlando della misericordia di Dio, ma poi – come ha notato padre Giuseppe Barzaghi – ha scelto di usare di più un’altra parola “compassione”. Perché la misericordia può sembrare una bontà elargita dall’alto, mentre quella di Dio è il cum-patire di chi si abbassa fino a terra per caricarci sulle sue spalle.

Lo ha detto Francesco alla Via Crucis: “Viviamo un tempo spietato e abbiamo bisogno di compassione”. E dopo aver ricordato il coraggio e “la grandezza delle donne” – le sole (con Giovanni) che seguirono Gesù sul Calvario – ha chiesto a Dio, per tutti, il dono delle lacrime di fronte al mare di dolore che ci circonda e di fronte alle nostre miserie: “dammi la grazia di piangere pregando e di pregare piangendo”.

Francesco ha ricordato le parole di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro”. Sembra una consolazione intima, una liberazione personale, emotiva, ma Francesco ci dice che non è così perché la forza che cambia il cuore dell’uomo è la stessa che cambia la storia. Ed è la forza del Risorto. È la liberazione di tutti gli uomini.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 31 marzo 2024

Print Friendly, PDF & Email