Il filosofo Roberto Esposito, su “Repubblica” (9/5), recensisce l’ultimo libro di Massimo Recalcati, “A pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo” (Feltrinelli) e scrive: “Se Freud attribuiva il disagio della civiltà alla repressione che questa esercitava sulle pulsioni, oggi i rapporti di forza appaiono rovesciati. Tutt’altro che inibita, è la pulsione a imporsi sugli obblighi collettivi, erodendoli dall’interno. Da qui l’evaporazione della Legge, rappresentata dalla figura del padre e ora rovesciata nella ricerca del godimento immediato. A subentrare è una nuova religione del corpo, oggetto di una cura che va ben aldilà della ricerca della salute, e diventato il feticcio cui tutto si sacrifica, anche a costo di spezzare il nodo che lega le generazioni. All’irresponsabilità dei padri, intenti solo a compiacere i figli, risponde l’impossibilità di questi a farsi a loro volta padri, di riceverne l’eredità”.

LA CURA PEGGIORE

Dopo questa lucida analisi ci si poteva aspettare che venisse riconosciutala saggezza della Chiesa che da tempo ripete questi concetti. Disse Joseph Ratzinger: Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Invece no. Secondo Esposito la soluzione sono le ideologie, proprio ciò che ha prodotto questa devastazione umana: “Mentre gli adulti sembrano restare adolescenti” scrive “gli adolescenti, esposti a un bombardamento illimitato di stimoli, non riescono a farsi adulti. Senza il cemento dell’ideologia, che ancora animava le generazioni passate, vengono meno i valori collettivi che creavano legame sociale”.

Come se una persona avesse contratto una grave polmonite per essere stata esposta a lungo al gelo e, per curarla, si proponesse di esporla di nuovo a quello stesso gelo.

NIETZSCHE E CRISTO

Dacia Maraini, commentando sul “Corriere della sera” (9/5) un recente dibattito sulla malattia e la morte, non trova niente di meglio che prendersela con il Crocifisso: “Creare come centro e punto di riferimento della rivoluzione cristiana un uomo morente in croce, non ha fatto bene alla nostra cultura”, nei “lunghi secoli di totalitarismo religioso” si è “insistito sulla morte dolorosa come l’unico atto sacro della esistenza umana”.

Ma chi ha mai espresso una tale idea? Qua c’è un totale fraintendimento: Dio si lascia crocifiggere per  abbracciare con amore la debolezza, la fragilità dell’uomo, la sua sofferenza (e salvarle), mentre nella storia umana si è esaltata la forza e disprezzato il vinto.

Nietzsche affermava che – dopo Gesù – “tutto quanto soffre, tutto quanto è appeso alla croce, è divino”. E scriveva: “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani. La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie… E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”.

Quando iniziò una polemica sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, Natalia Ginzburg, sulle colonne dell’“Unità” (22 marzo 1988) scrisse un articolo memorabile intitolato: “Quella croce rappresenta tutti”.

Ne riporto qualche brano: “il crocifisso è l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo?”

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 maggio 2023

 

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