Il 25 maggio alla Camera dei Deputati è stato celebrato il centenario della nascita di Enrico Berlinguer. Un giusto omaggio a un uomo da tutti stimato.

Ma il segretario del Pd Enrico Letta, intervenendo, ha rivendicato anche l’eredità storico-politica del Pci: come Segretario del Partito Democratico, sento questo dovere come un momento di confronto con l’eredità politica di quel Partito Comunista Italiano che Berlinguer e la sua generazione – mi faccia qui ricordare l’ex Presidente della Repubblica Napolitano (…) – quella generazione costruì appunto quella storia politica che ha lasciato un segno così forte e indelebile nella storia del nostro Paese che noi consideriamo, noi, la nostra comunità dei democratici e delle democratiche, una parte fondamentale dell’eredità che vogliamo portare avanti. Il nostro partito oggi vuole seminare in tempi nuovi quei valori che sono stati il meglio della prima repubblica, perché noi non rinneghiamo la storia del nostro Paese… una grande storia politica in cui la figura di Enrico Berlinguer è una delle migliori espressioni e uno dei migliori esempi”.

Oggi il Pd è ultra atlantista, i suoi esponenti si ergono a giudicidell’atlantismo altrui e “processano” il passato dei partiti del Centrodestra. Ma quando mai i comunisti italiani confluiti nel Pd hanno fatto processi al proprio passato? Il Pd non ha mai preso le distanze dall’“eredità politica” del Pci. L’ha rivendicata.

Al massimo è stato criticato “lo stalinismo”. Ma Aleksandr Solzenicyn ha spiegato che “non c’è mai stato nessuno stalinismo… è una invenzione di Kruschev e del suo gruppo per attribuire a Stalin quelli che sono invece i caratteri fondamentali del comunismo, le sue colpe congenite. E sono perfettamente riusciti nel loro intento”.

Oggi vediamo in Italia post o ex comunisti che, con una certa arroganza, accusano questo e quello di essere filo russi, dimenticando il lungo e originario rapporto del loro Pci con Mosca e dimenticando che Putin era un compagno del Pcus, nonché funzionario del Kgb. È parte della storia del comunismo.

Quasi venti anni fa un grande intellettuale ebreo, Gabriele Nissim, scrisse sul “Corriere della sera” che “la battaglia per la memoria dei Gulag” non poteva essere lasciata solo a qualche storico: “come oggi è quasi un imperativo morale per i politici europei visitare Auschwitz o il memoriale di Yad Vashem in Israele, così dovrebbe diventare una consuetudine per ogni politico europeo che si reca in Russia chiedere di rendere omaggio alle vittime del terrore nei grandi cimiteri… dove sono seppellite decine di migliaia di vittime senza un nome”.

Nissim aggiungeva: “Un simile comportamento politico mostrerebbe che l’Europa non vuole dimenticare il Gulag”. Poi osservava che in particolare questo “dovere dovrebbe essere sentito proprio dai dirigenti di quei partiti che sono nati dalla disgregazione dei partiti comunisti”.

Infine scriveva: “Come Gianfranco Fini si è recato a Yad Vashem, per fare i conti con la propria storia, così Piero Fassino e Massimo D’Alema dovrebbero avere il coraggio di visitare il Museo di Perm… Sarebbe uno straordinario atto di responsabilità, più importante di tante parole”. Nissim concludeva che “la memoria del passato… ha bisogno di atti morali, altrimenti vince l’oblio”.

Non ho notizia di eredi politici del Pci che abbiano fatto questi gesti. Però si può stare sicuri che, prima delle elezioni, pretenderanno di fare a Giorgia Meloni l’esame sul passato del suo partito.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 18 giugno 2022

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