C’è stato un tempo in cui proprio l’imperatore cattolico ha voluto il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, mentre quelli pagani l’avevano negato. Per capire perché, per capire l’attuale papa, per capire il senso del suo libro su Gesù e il senso “programmatico” – per il suo pontificato – della visita a Pavia, alla tomba di sant’Agostino, il 21 aprile, è utile scorrere un mensile cattolico, “30 Giorni”, nato nell’area di Comunione e Liberazione e attualmente diretto dal senatore Andreotti. L’ultimo numero della rivista ha in copertina una foto del Santo Padre ed è dedicato ai suoi 80 anni. Titolo: “Ad multos annos”. Un numero monografico con articoli su Papa Ratzinger di tutti i maggiori cardinali. E’ insomma una rivista molto autorevole nella Chiesa, “ratzingeriana” e agostiniana (capiremo dopo che significa).
Il numero dell’aprile 1995 uscì con una sorprendente copertina. Titolo: “I cristiani e le leggi dello Stato”. Sottotitolo: “ ‘Il diritto civile o delle genti non si allontana del tutto dal diritto naturale, ma neppure obbedisce ad esso sotto ogni aspetto’. Così l’imperatore cristiano Giustiniano descrive il limite delle leggi dello Stato. Sant’Agostino ne aveva già data la ragione”.

All’interno un articolo puntava i riflettori proprio sulla leggi per la famiglia. E rivelava alcune cose sorprendenti. Bisogna premettere che Giustiniano (VI secolo) è il grande legislatore, quello del “Corpus iuris civilis”, a cui Dante riserva tutto il VI canto del Paradiso, quello che – secondo il poeta – “d’entro le leggi trasse il troppo e ‘l vano”. Il cristianesimo era religione di Stato e l’imperatore si considerava il protettore della Chiesa, eppure – rivela “30 Giorni” – la sua legislazione sul matrimonio sembra “in contraddizione con una difesa dell’istituto matrimoniale addirittura rispetto all’età classica. Anzitutto Giustiniano non proclama il principio dell’indissolubilità in modo pieno e reciso”. Continua ad ammettere l’istituto del divorzio per mutuo consenso (che veniva dall’età classica ed era rimasto anche nell’epoca di Costantino). “La Novella 22 del 535 di tutte le leggi di Giustiniano, la più ampia per estensione, ripete a proposito del matrimonio: ‘Nelle cose umane tutto ciò che si lega si può anche sciogliere’ ”. Poi questa norma ebbe mutamenti vari. Ma più sorprendente è il “riconoscimento giuridico del concubinato”. Il buffo è che “nell’epoca pagana il concubinato era privo di regolamentazione giuridica”. Era un casino. Costantino prese di mira i costumi con leggi punitive per spingere al matrimonio. Così otteneva però l’opposto della “moralizzazione” e provocava l’ingiusta sofferenza dei soggetti più deboli (per esempio i figli naturali).

“Giustiniano” scrive 30 Giorni “ottiene di più col rendere il concubinato ‘legitima coniunctio’ a condizione che si tratti di unione stabile e monogamica (cfr. Digesto 23, 2, 24). Il concubinato resta inferiore al matrimonio solo quanto a dignità (inequale coniugium). Con ciò Giustiniano non fa nient’altro che accogliere un principio già vigente nella prassi pastorale della Chiesa. Scrive papa Leone Magno nell’Epistola 167: ‘Chi non ha moglie e ha una concubina per moglie (pro uxore) non sia allontanato dalla comunione’ ”.
Naturalmente si parlava di coppie di fatto eterosessuali, non omosessuali. A voler sovrapporre le due cose oggi è l’ideologia nichilista, ma la differenza è enorme e anche oggi la Chiesa distingue i due casi. Torniamo al passato. Pure la “filiazione naturale” – che in epoca classica neanche veniva considerata – “viene riconosciuta con benevolenza dalle leggi di Giustiniano”. Poi “30 Giorni” proponeva un’intervista al teologo agostiniano Nello Cipriani che spiegava l’atteggiamento della Chiesa antica nei confronti delle leggi dello Stato: “la Chiesa riconosce semplicemente che la finalità dello Stato è quella di assicurare e mantenere la convivenza pacifica tra i cittadini. E a questo scopo non è necessario che lo Stato, in tutta la sua legislazione, persegua il fine di adeguare le singole leggi civili alla legge naturale. Anche da parte della tradizione patristica non venne alcuna preclusione alla possibilità di tollerare le leggi imperfette da parte dei cristiani… Soprattutto sant’Agostino, nel ‘De libero arbitrio’ e poi nel ‘De Civitate Dei’, ripropone proprio questa concezione: lo Stato deve garantire la pace sociale tra i cittadini e per far questo le leggi civili non debbono necessariamente corrispondere alla legge naturale”.

Come si ricorderà la “legge naturale” è l’argomento oggi usato contro i Dico dai cattolici, accusati di voler cristianizzare lo Stato. “30 Giorni” nel 1995 citava il cardinal Ratzinger per il quale “l’idea di una cristianizzazione dello Stato e del mondo non appartiene ai punti programmatici di sant’Agostino”.
Tre anni dopo “30 Giorni” pubblicò il volume “Il potere e la grazia. Attualità di sant’Agostino”. A presentare quel volume con Andreotti, Claudio Petruccioli e Massimo Borghesi, fu il cardinale Ratzinger. Il numero di ottobre 1998 propose questi interventi riservando la copertina a Ratzinger. Il prelato spiegò che a quella convinzione Agostino (e con lui la Chiesa) era arrivato proprio per difendere l’essenza della fede cristiana.
Egli viveva “in un Impero giuridicamente cristiano”, l’Imperatore “quasi identificava la Chiesa con l’Impero. E in uno Stato in cui il cristianesimo è religione ufficiale” diceva Ratzinger “è grande il pericolo che anche il teologo e il vescovo perdano di vista la differenza fra le due cose e si arrivi a una politicizzazione della fede incompatibile sia con la sua libertà sia con la sua universalità”.

Prima di Agostino, Eusebio di Cesarea aveva teorizzato che “l’Impero diventa il modo in cui Dio realizza il suo progetto per la storia”. Questa identificazione però si rivelò devastante quando l’imperatore pretese di imporre alla Chiesa l’eresia ariana. Dunque Agostino sottolineò sempre la “differenza” di Chiesa e Stato. Anche dopo il sacco di Roma nel 410 per mano dei goti, “Agostino capisce e vede che l’identificazione è una caratteristica della religione pagana… e così insiste sul fatto che Chiesa e Stato non possono confondersi”.
Cosa dev’essere dunque la Chiesa? Un’agenzia di moralizzazione della società e dello Stato? In quell’occasione Ratzinger rispose, parlando proprio della polemica di Agostino con l’eretico Pelagio che proponeva un “moralismo nel quale si costruisce, con le forze della moralità umana, la nuova società”. E il prelato tedesco scandì queste parole: “La tentazione di ridurre il cristianesimo a un moralismo è grandissima anche nel nostro tempo e sono molto grato che ’30 Giorni’ sottolinei spesso questo problema. Perché noi viviamo un po’ tutti in un’atmosfera di deismo. La nostra idea delle leggi naturali non ci permette più facilmente di pensare a un’azione di Dio nel nostro mondo”, da qui la tentazione di “trasformare noi il mondo, creare noi la redenzione, creare il mondo migliore, un mondo nuovo. Se si pensa così, ecco che il cristianesimo è morto, il linguaggio religioso diventa un linguaggio puramente simbolico e vuoto”.
br> Perché dunque – ci si chiede – l’opposizione di oggi della Chiesa di Benedetto XVI ai Dico? Perché i Dico sono stati voluti non per i diritti delle persone concrete, non per il bene comune e la pace civile, ma per imporre un’ideologia che è estranea al sentire comune: il riconoscimento giuridico delle coppie gay. Un’ideologia dissolutrice della legge naturale (contraria pure alla Costituzione). E’ un allarme laico quello che la Chiesa lancia. Ma consapevole che poi la redenzione cristiana viene dall’ “intervento di Dio”, non dalla “nostra azione”. Viene dall’ “attrattiva” che Gesù Cristo è, come insegna Agostino e come Ratzinger ha ripetuto nel suo libro in uscita domani. Viene dalla Grazia, non dalla Legge.

Fonte: © Libero – 15 aprile 2007

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