In nome dell’Asor Rosa

Alfonso Berardinelli sul Domenicale del “Sole 24 ore” (8/3) stronca l’ultima opera di Alberto Asor Rosa, “Storia europea della letteratura italiana”. Eugenio Scalfari a sua volta dall’Espresso (19/3) stronca lo stroncatore Berardinelli, che dalle pagine del Sole (15/3) “ristronca Asor” e pure Scalfari. Mentre Giuliano Ferrara sul Foglio (16/3) annuncia che “godo come un pazzo per le belle, brutali stroncature di Asor Rosa”. Amor Roma…
Sostiene Scalfari che non si può cestinare il critico letterario Asor per la sua militanza politico-ideologica comunista. Scalfari aggiunge, con serie ragioni, che era molto più militante Francesco De Sanctis. Infatti nell’opera di questo padre della patria letteraria, evocato da Berardinelli e oggi da tutti celebrato, l’infuocata polemica risorgimentale tracima in ogni pagina. Scalfari ricorda, per fare un esempio, la pagina dei “Saggi” in cui “scrivendo di Machiavelli, l’autore interrompe il suo discorso per annunciare che gli giunge in quel momento la notizia che il potere temporale della Chiesa è caduto e si lascia andare a un vero e proprio empito di giubilante laicismo”. Roba che al confronto il compagno Asor Rosa pare un moderato.
Ma Berardinelli ha i suoi argomenti. Chiede: “(Scalfari) non trova assurdo che valorizzando la prosa giornalistica (quella di Scalfari stesso) Asor Rosa trascuri del tutto la prosa saggistica del Novecento, scritta da autori come Debenedetti, Solmi, Praz, Macchia, Ripellino, Cases, Calasso, senza i quali la cultura europea non sarebbe stata così presente in Italia?”.

Spine della rosa

Antonio Carioti sul Corriere della sera (15/3) stronca la fiction su Giuseppe Di Vittorio, un ritratto “da cui è stato espunto il fatto che Di Vittorio, come molti altri sindacalisti rivoluzionari, si schierò a favore dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale”. Non solo: è “inventato” un attentato dove viene ferito il futuro leader della Cgil. Inoltre nella realtà storica c’erano già due scontri veri fra Di Vittorio e Togliatti (“sul patto Molotov-Ribbentrop e sulla rivoluzione ungherese”) dunque, scrive Carioti, “non era necessario aggiungerne un altro, fittizio, sulla svolta del 1929 che vide il Comintern bollare i socialdemocratici come ‘socialfascisti’ ”.
Anche qui la storia è complessa. Conclude Carioti: “sarebbe stato ingiusto, nello sceneggiato, indugiare sugli episodi in cui il leader della Cgil si comportò da stalinista, ma riscriverne uno in senso opposto è stato un inutile eccesso di zelo”.

Di Vittorio Valletta

Il giornale vicino alla Fiat, La Stampa, è entusiasta della fiction e del sindacalista comunista. Elogia Gianfranco Fini per aver fatto presentare il film in anteprima alla Camera e per aver definito Di Vittorio “patrimonio comune della nazione intera”. Infine La Stampa aggiunge una confusa invettiva di Dario Fo su “le bombe, le repressioni, la criminalità di Stato” che sarebbe la storia “censurata” del dopoguerra, come sarebbe stato “censurato” Di Vittorio dalla divulgazione. Infatti gli viene dedicata un’intera fiction tv con milioni di spettatori. Comunque La Stampa fa l’apologia del “fondatore della Cgil”, che è descritto come una grande figura, maestro di politica, “un sindacalista lungimirante, come mostra l’intuizione del Piano del Lavoro del 1949. Un grande patto per la ricostruzione dell’industria italiana annientata dalla guerra, offerto senza successo a industriali e governo De Gasperi, che ben rappresenta la vocazione della Cgil ad andare oltre la sola contrattazione di orari e salari, l’idea di un progetto di sviluppo ‘nazionale’, attento all’interesse complessivo del Paese”.
Sembra quasi che sarebbe stato meglio se nel dopoguerra avesse governato la Cgil togliattiana anziché De Gasperi. E’ forse questa la più dura delle (auto)stroncature. Ogni riferimento all’auto…

Fonte: © Libero – 17 marzo 2009

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