C’è chi li chiama “poteri forti” (perché si tratta del mondo finanziario) e chi li chiama “poteri morti” (alludendo alla debolezza e all’indebitamento dell’industria italiana). Si teme sempre che – avendo il controllo dei giornali – vogliano condizionare l’opinione pubblica e la politica. Ovviamente vorrebbero farlo, ma a considerare il clamoroso flop del referendum dell’anno scorso sulla legge 40 (sostenuto forsennatamente da Corriere della sera, la Stampa, Repubblica e tutto l’establishment) e considerando – per dire – il flop elettorale della Rosa nel pugno (o meglio Le Mosche nel pugno, lista pompatissima dal Corriere) viene da pensare che spostino meno voti della bocciofila di Battipaglia.

Tuttavia il mondo economico è una realtà importante, del tutto legittima, che va ascoltata e capita. Per esempio stavolta – sulla paralisi italiana prodotta dalle elezioni – mi pare che i “poteri forti” abbiano ragione. Le cannonate sparate fino ad ora sono due – una del Financial Times e una del Corriere della sera – ma il significato è uno solo: l’Italia ha bisogno di un governo Monti (nel senso di Mario o Supermario, come veniva chiamato in Europa). Il quale – nominato commissario europeo dal governo Berlusconi e confermato dal governo di Sinistra – è colui che, prima delle elezioni, aveva spiegato, sul Corriere della sera, l’intrinseca debolezza dei due Poli e la necessità, per l’Italia, di un governo che faccia una serie di cose vitali e indispensabili con la fiducia dei moderati dei due schieramenti, che oggi sono ostaggio delle estreme o di gruppi conservatori.

La frase che fece più discutere uscì come editoriale del Corriere il 12 agosto: “Forse un Centro, se esistesse, avrebbe una più credibile affinità con un progetto del genere (lo sviluppo in Italia di una moderna economia di mercato), ma una simile ipotesi sembra sollevare una serie di altri problemi (che superano la mia capacità di comprensione)”.
L’ironia delle ultime parole alludeva a quel teatrino della politica che spesso mette “chiacchiere e distintivi” prima degli interessi generali del Paese. Il 28 agosto, dopo tante polemiche, Monti precisa: “non ho indicato formule politiche o costituzionali” e aggiunge che “non mi sfuggono i meriti del bipolarismo”, anche se precisa che “il vecchio Centro dell’era pre-bi-polare non ha prodotto solo danni”. Non che Monti voglia tornare a quello scenario, purtroppo “dedito al consociativismo più che alla costruzione di una ordinata economia sociale di mercato”. Ma anche l’attuale bipolarismo è diventato “una grande frittata che non funziona e che non può funzionare” (qui Monti prendeva a prestito le parole, stavolta giuste, di Giovanni Sartori). In pratica l’ex commissario europeo concludeva: “non so se a questa situazione paralizzante si possa rimediare con un solido partito di Centro liberale che l’Italia non ha mai avuto, o con una Grande Coalizione temporanea per rilanciare l’economia, o con un governo di uno dei due poli, capace però di ricercare e ottenere, su decisioni necessarie a tale scopo, l’appoggio di una parte del polo antagonista”.

Va detto che questa sostanziale liquidazione dell’attuale bipolarismo non era condivisa da Paolo Mieli, il direttore del Corriere che alla vigilia del voto si è schierato esplicitamente per Prodi. Ma forse comincia ad essere condivisa oggi, dopo il risultato di stallo uscito dalle urne e dopo che la situazione economica e quella internazionale chiedono all’Italia un governo forte e stabile: col petrolio oltre i 72 dollari al barile, l’economia mondiale che traballa (vedi il report mensile dell’Opec) e l’acuirsi della crisi mediorentale, dalla Palestina all’Iran, tutto possiamo permetterci fuorché un “governicchio Prodino” paralizzato dai numeri del Senato e dalla pesante zavorra comunista.

E’ ciò che ha scritto il “Financial Times” nell’editoriale che ha fatto tanto discutere: “La risicata vittoria della coalizione di centrosinistra costituisce il peggior esito immaginabile”. Il FT ipotizza addirittura l’uscita dell’Italia dall’euro. Prodi – con grande sprezzo del ridicolo – si è affannato a rispondere che il quotidiano economico inglese ce l’aveva con Berlusconi. Ma le parole del FT sono chiare: “Prodi offre il tipo sbagliato di riforme, che consiste nello stesso tipo di riforme dell’offerta che sono fallite in altri paesi europei”. E poi “la sua frammentata coalizione di moderati, socialisti e comunisti potrebbe anche non essere in grado i portare a compimento il suo insufficiente programma”.

Capisco che questo colpo sia duro da digerire, dal momento che tante volte la Sinistra ha usato il FT come autorevole censore di Berlusconi. Ma non si possono cambiare le carte in tavola. Il mondo economico internazionale vede la nascita di un governicchio Prodi con grande allarme. E anche il mondo economico italiano che trova il suo punto di coagulo nel Corriere della sera sembra condividere. Il quotidiano di Mieli ci arriva per un’altra strada, quella istituzionale.
Ieri il Corriere infatti aveva una “informale” intervista al presidente Ciampi che – fra altre cose interessanti – annunciava di non essere disponibile a una rielezione. In Italia però le apparenze ingannano. Dunque dell’intervista di Ciampi si può dare anche un’altra interpretazione: se proprio serve al Paese posso sacrificarmi, ma a patto che me lo chiedano tutti i partiti e che sia un mandato pieno e non a termine. Già questo significa che l’elezione del Capo dello Stato deve avvenire con larghe intese. Ma la necessità assoluta di un mandato pieno o comunque l’importanza di far nominare il nuovo governo da un presidente non dimezzato era spiegata, sempre ieri, dall’editoriale di Pierluigi Battista (molto, molto vicino a Paolo Mieli, che ha fama di gran tessitore).

Battista difende la scelta di Ciampi di non nominare, adesso, a fine mandato, in fretta e furia, Prodi, nonostante le pressioni degli azzeccagarbugli di parte prodiana. Innanzitutto perché il Capo dello Stato ha una “giusta preoccupazione per le prospettive di uno scenario politico reso enormemente più complicato dal margine sottilissimo” di voti che ha visto prevalere la Sinistra. “Ma c’è una ragione in più, politicamente molto delicata”, spiega Battista.
Infatti “è probabile” che il presidente della repubblica, chiunque egli sia, si trovi “di fronte a un inedito bivio. Se infatti”, dopo tutti i ricalcoli del caso, “lo schieramento che ha perso le elezioni dovesse suggerire un altro nome da affiancare a quello del candidato premier del centrosinistra Romano Prodi, a questo punto il compito del Quirinale non si ridurrebbe a un ruolo di mera notifica istituzionale”. In pratica “se chi ha perso le elezioni, adducendo le ragioni della ‘ricucitura’ di un Paese spaccato in due, intendesse suggerire un nome di ‘decantazione’ – un nome di una personalità vicina al centrosinistra ma non invisa allo schieramento opposto – il capo dello Stato che pure volesse restare fedele alla doverosa scelta di incaricare Romano Prodi non potrebbe uscire improvvisamente di scena senza assumersi l’onere di impegnarsi negli sviluppi che inevitabilmente conseguiranno a quella scelta”.

In soldoni, un governo Monti, “governo di decantazione”, magari “governo a termine”, qualora fosse proposto dal centrodestra, sarebbe molto più forte di un governo Prodi e il Capo dello Stato non potrebbe esimersi dall’esplorare questa via. A quanto pare con il consenso del Corriere della sera e anche del mondo che rappresenta (considerato l’allarme con cui già la Confindustria considera i proclami della Cgil e di Rifondazione comunista).

Credo che una prospettiva del genere incontrerebbe anche il consenso della Chiesa, che per bocca del Papa stesso ha chiesto riconciliazione e unità per il nostro Paese. Anche una realtà a cavallo fra mondo cattolico e mondo produttivo come la Compagnia delle Opere, che ha appoggiato la Casa delle libertà, ha fatto un’analisi che va in questa direzione: “nelle aree più sviluppate e popolose del Paese la maggioranza (del centrodestra) è stata netta, se non addirittura schiacciante. Il consenso deriva da un forte radicamento nel mondo produttivo, nelle realtà sociali, nelle aggregazioni ideali…. In poche parole questo consenso nasce dalla libertà e dalla sussidiarietà, che sono urgenti per quel rilancio dal basso di cui l’Italia ha assoluto bisogno.
I segni non mancano: Draghi parla di ripresa, c’è fervore in mondi produttivi che disdegnano la rendita, Paesi come la Svezia e la Gran Bretagna abbandonano il welfare state e ci indicano la nuova strada maestra. Ci vorrebbe subito un accordo tra le componenti realmente riformiste dei due schieramenti (sull’esempio dell’Intergruppo per la Sussidiarietà)”.

E dopo aver denunciato l’aumentato peso dei massimalisti di sinistra, la Cdo fa un appello: “Occorre qualcuno che compatti le parti più responsabili di maggioranza e opposizione, che riunifichi il Paese e, sulla base di ciò che è più urgente, sappia affrontare la crisi economica, politica e, soprattutto, ideale che l’Italia attraversa”.
Politicamente il centrodestra avrebbe tutto l’interesse ad appoggiare una prospettiva del genere che rappresenterebbe l’accantonamento di Prodi e dei massimalisti. Anche la parte responsabile del centrosinistra sa che essere cotti a fuoco lento in un governicchio Prodi, dalla vita breve, sarebbe disastroso. Quindi un governo Monti a termine, con nuove elezioni fra un anno sarebbe per tutti la soluzione ideale.

Fonte: © Libero – 19 aprile 2006

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