Spesso giornali e politica vivono in una bolla di polemiche ideologiche. Poi ci sono notizie che fanno tornare di colpo alla realtà. Due esempi di questi giorni.

In Italia mancano 65 mila operatori sanitari e il ministro Schillaci ha spiegato che “dobbiamo reclutare rapidamente un determinato numero di infermieri da qualche Paese straniero, e abbiamo già identificato l’India”.

Ma perché ci troviamo oggi in un’emergenza che ci impone queste scelte? Oltretutto in Italia lavorano già 77.500 sanitari stranieri (22 mila medici, 38 mila infermieri, poi fisioterapisti e altri operatori).

Bisognerebbe fare una riflessione critica sul numero chiuso che è stato imposto da decenni alla facoltà di Medicina e nei corsi per operatori sanitari? Perché nessuno riconosce di aver sbagliato? Quanti giovani italiani, nei decenni scorsi, avrebbero potuto accedere a queste professioni?

Una seconda notizia di questi giorni riguarda il trasporto pubblico locale: in Italia mancano 15 mila autisti. In Veneto il governatore Zaia – di fronte alla mancanza di 600 autisti e dopo l’ultimo bando per l’assunzione che è andato quasi deserto – ha deciso di cercarli in Argentina dove abbondano.

Ancora una volta una scelta emergenziale. Ma perché,  con tanti disoccupati, dobbiamo cercare lavoratori fuori? Una repubblica “fondata sul lavoro” dovrebbe puntare alla piena occupazione.

È vero che nell’ultimo anno il tasso di occupazione è cresciuto di 362 mila unità da luglio 2022 a luglio 2023 (l’1,6% in più) ed è il miglior risultato da decenni, ma in Europa è fra i più bassi.

La Francia ha un po’ di abitanti in più dell’Italia, ma 34 milioni di francesi lavorano, 10 milioni più di noi. Stessa proporzione in Germania. “Da loro” dice Alberto Brambilla (di Itinerari previdenziali) “lavora tra il 52% e il 55% della popolazione, da noi il 39%”.

Anche la nostra disoccupazione ufficiale è al 7,6%, e quella giovanile al 22,1%. Un numero troppo alto di persone che finisce per aver bisogno di sussidi pubblici (per esempio il Reddito di cittadinanza).

Senza lavoro i giovani hanno enormi difficoltà a realizzare stabili progetti di vita, con ricadute disastrose ancora una volta sulla demografia. Un circolo vizioso.

Bisognerebbe far incontrare domanda e offerta di lavoro. La settimana scorsa “Presa diretta” ha raccontato la provincia di Vicenza, il cuore del mitico Nordest. È emerso che per esempio nel distretto conciario, le industrie di lavorazione della pelle, c’è un drammatico bisogno di manodopera e, anche a causa del crollo demografico, si rivolgono a immigrati.

In tutto il Nordest è difficile trovare personale, dagli operai agli ingegneri, e quel sistema industriale rischia di rimanere ingolfato per questo motivo.

Già l’anno scorso la Fondazione Nord Est faceva sapere che nel Triveneto il 62,5% degli imprenditori intervistati aveva manifestato l’intenzione di assumente nei successivi sei mesi. Con punte del 76,8% nel commercio e del 71,4% nel metalmeccanico. Erano soprattutto le grandi aziende a cercare personale (94,6%).

Le figure professionali ricercate erano operai specializzati, tecnici e dirigenti. Ma il reperimento è assai arduo. Oggi Silvia Oliva, della Fondazione, spiega che “circa il 70% delle imprese dichiara di avere difficoltà molto rilevanti” e questo potrebbe penalizzare lo sviluppo industriale del Nordest.

Per quanto riguarda la manodopera non qualificata, di cui c’è molto bisogno, ormai si ricorre soprattutto a immigrati (ecco perché il governo ha dovuto fare un decreto flussi per 500 mila persone in tre anni).

Ma perché in Italia non si incontrano domanda e offerta di lavoro?Secondo un rapporto di Confartigianato nell’ultimo anno, sulle assunzioni previste, la cosiddetta “quota di lavoratori introvabili” è passata dal 40,3% del luglio 2022, al 47,9% del luglio 2023.

L’allarme degli imprenditori riguarda tutti i settori e varie figure professionali, ma in modo particolare i tecnici specializzati nella carpenteria metallica (70,5% di personale difficile da trovare), nelle costruzioni (69,9%), nella conduzione di impianti e macchinari (56,6%).

E non si parla solo del Nord: “nell’ultimo anno – spiega Confartigianato – la quota di lavoratori difficili da trovare è salita di 9,1 punti nel Mezzogiorno, di 6,9 punti nel Centro, di 7,4 punti nel Nord Ovest e di 6,5 punti nel Nord Est”.

La carenza di manodopera – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – è diventato uno dei maggiori problemi per le nostre imprese. Siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E, nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del made in Italy”.

O peggio: il futuro dell’Italia.

“Il dibattito su salario minimo e lavoro povero” dichiara Granelli “deve allargarsi ad affrontare con urgenza il vero problema del Paese: la creazione di lavoro di qualità. Serve un’operazione di politica economica e culturale che avvicini la scuola al mondo del lavoro, per formare i giovani con una riforma del sistema di orientamento scolastico che rilanci gli Istituti Professionali e gli Istituti Tecnici, investa sulle competenze a cominciare da quelle digitali e punti sull’alternanza scuola lavoro e sull’apprendistato duale e professionalizzante. Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite, per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro”.

C’è dunque un problema di formazione professionale, ma forse anche di approccio al lavoro, di mentalità. Ieri “Libero” spiegava che su 180 mila ex percettori del Rdc “solo 41 mila si sono registrati sul sito dedicato alla formazione. Gli altri rinunciano a 350 euro al mese”.

Come si spiega? Occorre una vera svolta culturale in Italia per tornare ad essere l’Italia della ricostruzione e del miracolo economico.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 settembre 2023

 

 

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