Tutti da adolescenti abbiamo “preso una cotta”. Ma uno solo ha scritto la Divina Commedia. Siamo così abituati a considerare il Poema sacro un monumento inavvicinabile, che sta al vertice della letteratura mondiale, che ci sfugge l’essenziale.

Nasce infatti da un innamoramento giovanile: l’incontro di due adolescenti, che si salutano, si sorridono, nella Firenze di fine Duecento, con l’emozione tipica di quei primi palpiti giovanili. Un episodio minimo e normalissimo. Però Dante scopre che esso contiene non solo l’universo intero, ma anche la salvezza sua e quella di tutta l’umanità.

Si è molto scritto su Beatrice Portinari (Firenze 1265/1266 – Firenze 8 giugno 1290). Se n’è fatta un’allegoria. Ma la Beatrice che Dante incontra di nuovo a metà del suo cammino verso il cielo è proprio la Beatrice di cui si era innamorato da giovane e che era morta a 24 anni (“conosco i segni de l’antica fiamma”, Purg. XXX, 48).

Cosa significa? Che “il Verbo si è fatto carne”. La salvezza cristiana si incontra in circostanze quotidiane: è uno sguardo che colpisce, un cuore che palpita (“non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre parlava con noi?”, si dicono i due pellegrini di Emmaus. E così riconoscono Gesù).

Antonio Socci   

Da “Libero”, 14 febbraio 2025